La città e i cani – Mario Vargas Llosa

Di Washoe

La città e i cani è il primo romanzo del Premio Nobel peruviano Mario Vargas Llosa, pubblicato in Spagna nel 1963 grazie all’intercessione del grande editore catalano Carlos Barral. Si tratta di un’opera ambiziosa, innovativa e stupefacente nella tecnica, ma soprattutto importantissima nella storia della letteratura, perché capace di dare il via a quello che oggi è conosciuto come il Boom Letterario Latinoamericano, fenomeno che ci ha regalato capolavori del calibro di Cent’anni di solitudine o Rayuela. Esso forma con altri due suoi romanzi successivi, La casa verde e Conversazione nella Cattedrale, una sorta di trittico probabilmente insuperato nella produzione personale dell’autore di Arequipa. Con La città e i cani Vargas Llosa si proponeva di raccontare un paese intero, il Perù, che era (ed è) profondamente diviso tra regioni, etnie e culture differenti. Un problema in apparenza difficile da superare, ma scavalcato alla grande grazie all’intuizione di ambientare la narrazione al Leoncio Prado: un collegio militare di Lima in cui lo scrittore stesso aveva studiato, un ambiente violento, maschilista, a tratti crudele, dove però il giovane Mario si era ritrovato per la prima volta di fronte ad un perfetto campione di tutte le diversità che compongono il paese.

Il Leoncio Prado oggi (fonte: deperu)

I protagonisti e il Leoncio Prado

La storia non ha un vero protagonista, ma ne ha diversi. La maggior parte dei personaggi centrali sono allievi del collegio militare, ragazzi di quattordici anni circa e di estrazione sociale diversa, con personalità profondamente distinte. Sono Ricardo Arana, detto lo Schiavo,il Poeta Alberto Fernández (che molti considerano essere un alter ego dell’autore), il Giaguaro, violento e carismatico leader della camerata, e il Boa, suo fedele compagno. Ma non sono soltanto studenti: c’è Teresa, una ragazzina che vive all’esterno del collegio e che risulterà avere un ruolo primario nella vicenda; c’è il tenente Gamboa, uno degli ufficiali della scuola; ci sono i familiari dei protagonisti, e tutte le persone che popolano il Leoncio Prado, compresa la malconcia cagnolina Malpapeada. Attraverso le pagine del romanzo Vargas Llosa si addentra nei meandri della vita del collegio, raccontandolo con grande crudezza e con una cifra narrativa quasi militare: i fatti narrati prendono a pugni, demoliscono, scaraventano a terra il lettore, perché sono diretti, senza filtri, senza edulcorazioni. È un ambiente, quello del Leoncio Prado, dove si pratica un culto malsano della virilità, dove sopravvivono soltanto gli uomini forti, quelli che non piangono mai, quelli che sanno farsi rispettare, quelli che sanno fare a botte. E dove ogni problema può essere risolto soltanto prendendosi a cazzotti.

La città e i cani e il legame con la vita dell’autore

Una parte di ciò che viene narrato nel libro Vargas Llosa lo trasse dalla propria esperienza personale nel collegio, lui che era stato mandato dal padre al Leoncio Prado nella speranza che i militari gli togliessero dalla testa la letteratura e lo trasformassero in un uomo virile e all’antica. Mario era di famiglia benestante, viveva in una zona ricca di Lima, il quartiere Miraflores, dove la vita scorreva tranquilla e dov’era circondato soltanto da ragazzi bianchi e ricchi come lui. All’improvviso si era ritrovato catapultato in un nuovo microcosmo, senza più la protezione del proprio status sociale e immerso in una diversità a cui non era stato preparato.  Il Leoncio Prado era frequentato da bianchi, neri, mulatti, indios, ragazzi provenienti dalla costa, dalla montagna (i cosiddetti serranos), dalla selva; e ogni categoria si portava dietro la propria etichetta, generata da pregiudizi che ne condizionavano la vita nel collegio e non favorivano certo l’integrazione tra i gruppi. Fu un trauma tremendo per lui il confronto con un ambiente così crudele e differente da quello a cui era abituato. Eppure, ancora oggi quando ne parla Vargas Llosa non nega mai l’importanza di quell’esperienza, che è stata sì brutale, ma che gli ha permesso di avere per la prima volta un quadro completo del proprio paese, in tutte le sue sfaccettature. Ma soprattutto gli ha fornito il materiale per il suo romanzo d’esordio, in barba a quello che suo padre si sarebbe aspettato dalla ferrea disciplina dei militari del Leoncio Prado.

Spoler Alert: non proseguire oltre se hai intenzione di leggere il romanzo!

Mario Vargas Llosa ai tempi del Leoncio Prado (fonte: twitter)

I narratori

La città e i cani è particolarmente interessante sotto il profilo della tecnica narrativa. La storia si compone infatti di tanti pezzi di puzzle, ciascuno formato dalle esperienze dei vari personaggi che di volta in volta si susseguono come narratori o come soggetto della vicenda. L’esperienza di Alberto Fernández, detto il Poeta, viene ad esempio raccontata in due modi diversi, attraverso l’occhio di un narratore esterno oggettivo e tramite la tecnica del monologo interiore; monologo interiore che è anche la lente attraverso cui sono narrate le azioni dello Schiavo Ricardo Arana e del tenente Gamboa. Per quanto riguarda il personaggio del Boa, invece, Vargas Llosa fa un passo ulteriore, entrando nello scorrere dei suoi pensieri per raccontare le vicende di cui è testimone attraverso la tecnica del flusso di coscienza. Infine, un ultimo narratore è rappresentato da un ragazzo la cui identità rimane occulta per gran parte del romanzo, e che racconta fatti avvenuti non soltanto al di fuori del collegio, ma che sembrano non avere alcun collegamento con esso. Solamente sul finale si scoprirà che si tratta del Giaguaro e della narrazione dei suoi anni precedenti al Leoncio Prado, ed è una rivelazione di estrema importanza: è un vero coup de théâtre, capace di dare nuovo spessore ad un personaggio che all’improvviso si trova ad esser visto da tutta un’altra (interessantissima) prospettiva.

I vasi comunicanti

Ma non sono soltanto i punti di vista a cambiare, poiché Vargas Llosa piega il tempo e lo spazio a suo piacimento, intrecciando vicende avvenute in luoghi e tempi diversi che si completano e si spiegano anche a distanza di decine di pagine, offrendo, malgrado la complessità, una costruzione che nell’insieme risulta armoniosa ed efficace. Ed è una costruzione che opera non soltanto su di un piano razionale, ma che gioca con le sensazioni del lettore e penetra come l’acqua nel terreno all’interno della sua percezione, fino ad arrivare ad offrirgli nel finale il quadro completo. Ma la visione d’insieme che si ottiene svoltando l’ultima pagina non viene sentita come qualcosa che è stato scoperto in quell’istante preciso, quanto piuttosto come un’unità che c’è sempre stata e che finalmente è riuscita a venire a galla. Si tratta di un effetto voluto, risultato di una tecnica che Vargas Llosa stesso chiama “dei vasi comunicanti”: richiamando il noto fenomeno fisico, l’autore peruviano utilizza un’immagine efficace per dare l’idea di una narrazione che consiste nello sviluppare “in altezza” filoni diversi, i quali sono tuttavia legati tra loro da un substrato comune che li collega e li alimenta.

Una rappresentazione del principio dei vasi comunicanti (fonte: iistelese)

Il centro de La città e i cani: Teresa

Il substrato che lega i filoni non è però, come si potrebbe facilmente pensare, il collegio Leoncio Prado, ma addirittura un personaggio ad esso esterno, la cui vera centralità si evidenzia soltanto dopo la rivelazione finale sull’identità del narratore ignoto. Si tratta di una ragazza di nome Teresa, di cui a turno si innamorano tre dei personaggi principali: il Poeta, lo Schiavo e il Giaguaro. Teresa è colei che dà una vera coerenza alla storia de La città e i cani, perché è il centro attorno a cui gravitano le esperienze di coloro che finiscono in qualche modo per avvicinarsi a lei, e che poi sembrano non pensare ad altro né agire per altro motivo se non quello di farla innamorare e renderla felice. Ed è emblematico che il vero fulcro della vicenda non sia il collegio né un suo studente, ma una ragazza, con buona pace del culto esasperato della virilità praticato nel Leoncio Prado. Teresa è la persona capace di restituire umanità a quei ragazzi che si erano ritrovati a vivere in un ambiente del tutto disumano: una ragazza poverissima, orfana, bruttina, che ciò nonostante riesce in qualche modo a mantenere intatta la sua dignità e la capacità di empatia. Per questo se ne innamorano, e per questo Teresa diventa il simbolo di un’umanità che è più forte di tutto, anche delle rigide regole militari e dell’esaltazione della violenza. Ed è questo, alla fine, il significato profondo de La città e i cani.

Mario Vargas Llosa (fonte: The Wall Street Journal)

Leggi altri articoli della categoria Letteraturasu Mario Vargas Llosa o sulla Letteratura Latinoamericana

Seguici sui nostri social:

Facebook: Aquile Solitarie

Instagram: Aquile Solitarie (@aquilesolitarieblog)

Twitter: Aquile Solitarie (@AquileSolitarie)