Di Washoe
Rayuela (1963) è il romanzo che più di tutti ha contribuito alla consacrazione dell’argentino Julio Cortázar nell’Olimpo dei grandi della letteratura, con Tolstoj, Hugo, Faulkner e altri grandi romanzieri, lui che era conosciuto specialmente per i suoi racconti. Eppure, Rayuela non è un romanzo nel vero senso del termine, perché ha caratteristiche proprie che lo rendono unico, discostandolo molto da ciò che è stato scritto prima ed anche da ciò che è stato scritto dopo. I tentativi di definirlo sono stati molteplici. C’è chi l’ha chiamato controromanzo, chi antiromanzo (parola che però a Cortázar piaceva poco), chi ha azzardato un’immagine suggestiva: il buco nero di un enorme imbuto. La realtà è che forse, se proprio lo si vuole riassumere in una singola espressione, si dovrebbe dire che Rayuela non è soltanto un libro, ma una grande, meravigliosa ricerca.
Un mosaico di ricerche
Una ricerca, o meglio un mosaico di numerose ricerche differenti. C’è la ricerca del protagonista Horacio Oliveira, del Centro di tutto e del Centro di se stesso, o di ciò che egli chiama il kibbutz del desiderio. C’è la ricerca del lettore, che deve muoversi tra le pagine per trovare il prosieguo della storia (se ne parlerà più avanti). C’è la ricerca di Cortázar (o del suo alter-ego Morelli), che nel romanzo persegue la distruzione degli schemi della società moderna a partire dal suo strumento principe, il linguaggio. E ovviamente c’è molto, moltissimo di più: prendendo in prestito le parole dell’autore, Rayuela è «in sé molti libri», infiniti libri, una creatura che muta e si trasforma a seconda dello stato d’animo in cui si trova il lettore in quel preciso istante della sua vita nel quale decide di aprire il romanzo. E quella di avventurarsi in un libro come questo non è una decisione da prendere a cuor leggero, perché Rayuela è, in definitiva, un grido d’allarme, una sveglia, una bomba atomica: una volta letto (in maniera attiva e consapevole) non si torna più indietro.
La trama: Oliveira a Parigi
Il romanzo ha un carattere fortemente frammentario, e non è dunque affatto semplice raccontarne la trama. Il protagonista è Horacio Oliveira, esule argentino a Parigi, uomo propenso al pensiero filosofico e all’inazione, che non si capisce bene cosa faccia nella vita. Oliveira fa parte di una cerchia di amici, la maggior parte stranieri in Francia come lui, che si fa chiamare il Club: nelle loro riunioni si parla di arte, letteratura, filosofia, e soprattutto si discute degli scritti di un tale Morelli, intellettuale misterioso che si propone di trasformare il linguaggio ed ottenere attraverso il suo rinnovamento un’umanità nuova e migliore. Fa parte del gruppo anche la Maga, una giovane mamma urugaiana che di nome in realtà fa Lucia e che con il gruppo c’entra poco: non sa nulla di niente e non capisce mai le cose di cui si parla al Club, eppure tutti sembrano volerle un gran bene; in particolare Oliveira, che è il suo amante e convivente. Ha un figlio di pochi mesi, Rocamadour, avuto con un uomo di cui non si sa nulla, ed ha un modo di stare al mondo tutto proprio, che affascina Horacio a tal punto da portarlo a credere di poter riuscire attraverso la natura di lei a raggiungere la vera conoscenza, una conoscenza completa in quanto non razionale. Tuttavia, quando Rocamadour muore tragicamente la relazione si interrompe, e dopo un incidente con una senzatetto Oliveira viene rimpatriato a Buenos Aires.
Oliveira a Buenos Aires
Tornato nella sua città natale, Horacio si lega ad un vecchio amico d’infanzia, Traveler, nel quale finisce per identificare se stesso se non avesse mai lasciato l’Argentina, e alla moglie di lui, Talita, nella quale intravede ciò che sarebbe potuta essere la Maga se non si fossero mai lasciati, o se si fossero conosciuti già in Sudamerica. Va a vivere assieme a Gekrepten, una donna devota e follemente innamorata di lui ma ottusa e vuota, e quando il padrone del circo in cui lavorano Traveler e Talita decide di acquistare un ospedale psichiatrico vi si stabilisce assieme a loro per lavorarci. Ironicamente, proprio nel manicomio Oliveira sembra perdere la ragione, svuotato da quella spasmodica ricerca del Centro che finisce per portarlo all’autodistruzione. Assurdamente convinto che Traveler voglia ucciderlo, Oliveira crea una sorta di fortino nella propria stanza con cordini e scodelle, come fanno i bambini quando giocano ai soldati, e si lascia poi cadere dalla finestra; salvatosi dal salto, viene preso in cura dal personale dell’ospedale, dove probabilmente viene internato per sempre. Eppure, il finale non è un finale chiuso, perché rimane un dubbio profondo ad aleggiare nell’aria: è davvero Horacio Oliveira il folle, o lo sono piuttosto tutti gli altri, che accettano di vivere secondo gli schemi della società?
Il processo creativo dietro a Rayuela
Il processo creativo che c’è dietro alla stesura di Rayuela ha di per sé qualcosa di straordinario. Tutto comincia con un’immagine che si presenta di fronte a Cortázar a Buenos Aires: un gruppo di persone affacciate alle finestre di due palazzi, distanti pochissimi metri l’uno dall’altro, che in un giorno d’estate caldissimo cercano di passarsi un pacchetto di yerba mate e dei chiodi. Fulminato dal surrealismo della scena, Cortázar inizia a scrivere un racconto sull’episodio, che poi si sarebbe trasformato nel capitolo 41 di Rayuela: ben presto viene colto infatti dalla certezza che la storia che ha cominciato a scrivere non è soltanto un racconto, ma il capitolo di un romanzo che attende di essere ricostruito. Comincia allora per l’autore una ricerca delle origini del protagonista della scena, Horacio Oliveira; ricerca non soltanto ideale, ma anche materiale e, diciamo, geografica. “Scopre” infatti che il protagonista ha un passato a Parigi, e seguendone le tracce immaginarie torna fisicamente in Francia; a mano a mano che ricostruisce la storia e la caratterizzazione di Oliveira a colpi di intuizioni le annota dove può, su foglietti volanti, tovaglioli e frammenti di carta che raccoglie in attesa di riordinarli. Con somma sorpresa di Cortázar stesso, a mano a mano che la ricerca prosegue vengono fuori correlazioni impensate tra personaggi ed episodi apparentemente scollegati, e significati reconditi che su qualche piano del subconscio dell’autore dovevano esserci sempre stati, ma che avevano preso forma soltanto col proseguimento del lavoro. A questa scrittura disordinata, fatta di pura ispirazione, segue per Cortázar una fase razionale, di raccolta, riordino e pulizia della grande quantità di materiale annotato.
La struttura del romanzo
Dopo una fase creativa tanto atipica, lo scrittore argentino non avrebbe mai potuto trasformare il materiale in un libro tradizionale, o perlomeno non a costo di sacrificare quelle peculiarità che erano derivate dal processo di scrittura: da una prima stesura fisicamente frammentata non poteva che venire fuori un romanzo fatto di frammenti sparsi, distribuiti nel libro come fossero stati lasciati alla rinfusa in un cassetto. Caratteristica, questa, evidenziata da Cortázar nell’introduzione al libro, dove indica la possibilità di due differenti letture: la prima è una lettura tradizionale, consecutiva, dal capitolo 1 al 56 (sui 155 totali), ossia la lettura delle sezioni “Dall’altra parte” (ambientata a Parigi) e “Da questa parte” (ambientata a Buenos Aires); la seconda, invece, è una lettura “nuova”, portata avanti seguendo un ordine indicato in una tabella, il quale permette di godere anche di quei capitoli, appartenenti alla sezione “Da altre parti”, che con la lettura tradizionale vengono messi da parte. Per capire meglio di che cosa si tratta, ecco la sequenza proposta.
73 – 1 – 2 – 116 – 3 – 84 – 4 – 71 – 5 – 81 – 74 – 6 – 7 – 8 – 93 – 68 – 9 – 104 – 10 – 65 – 11 – 136 – 12 – 106 – 13 – 115 – 14 – 114 – 117 – 15 – 120 – 16 – 137 – 17 – 97 – 18 – 153 – 19 – 90 – 20 – 126 – 21 – 79 – 22 – 62 – 23 – 124 – 128 – 24 – 134 – 25 – 141 – 60 – 26 – 109 – 27 – 28 – 130 – 151 – 152 – 143 – 100 – 76 – 101 – 144 – 92 – 103 – 108 – 64 – 155 – 123 -145 – 122 – 112 – 154 – 85 – 150 – 95 – 146 – 29 – 107 – 113 – 30 – 57 – 70 – 147 – 31 – 32 – 132 – 61 – 33 – 67 – 83 – 142 – 34 – 87 – 105 – 96 – 94 – 91 – 82 – 99 – 35 – 121 – 36 – 37 – 98 – 38 – 39 – 86 – 78 – 40 – 59 – 41 – 148 – 42 – 75 – 43 – 125- 44 – 102 – 45 – 80 – 46 – 47 – 110 – 48 – 111 – 49 – 118 – 50 – 119 – 51 – 69 – 52 – 89 – 53 – 66 – 149 – 54 – 129 – 139 – 133 – 40 – 138 – 127 – 56 – 135 – 63 – 88 – 72 – 77 – 131 – 58 – 131
La tavola di lettura proposta da Cortázar
Le infinite possibilità di Rayuela
Con grande sorpresa dell’autore, tuttavia, si scoprì presto come le due modalità non fossero le uniche possibili: Cortázar iniziò a ricevere lettere di persone che avevano scelto l’ordine lanciando i dadi, usando i tarocchi, leggendo dove capitava aprendo il libro a caso; insomma, le letture immaginabili erano potenzialmente infinite. Rayuela aveva sostanzialmente preso vita non appena lasciate le mani del suo autore, ed era esattamente ciò che egli si proponeva: creare un romanzo che costringesse il lettore ad essere attivo, a distanziarsi dalla maniera passiva di affrontare un libro di quello che uno dei personaggi (lo scrittore Morelli) chiama lettore-femmina, invitandolo ad andare avanti, indietro, ad arrabbiarsi e a desiderare di poter discutere con i personaggi, anche di prenderli a schiaffi se fosse stato il caso; Cortázar si sarebbe detto perfettamente soddisfatto anche se avesse saputo che qualcuno aveva lanciato il libro dalla finestra in un moto di rabbia. Voleva cioè che il romanzo fosse un pugno nello stomaco, capace di smuovere le coscienze e di costringere le persone a porsi delle domande. Per queste sue caratteristiche rivoluzionarie Rayuela, che Cortázar pensava di aver scritto per uomini di mezza età come lui, ebbe un successo straordinario tra i giovani, diventando una lettura obbligata per intere generazioni.
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