La Casa Verde – Mario Vargas Llosa

DI WASHOE

Un pezzo dopo l’altro, lentamente, ogni tessera trova il proprio posto, e si compone un mosaico meraviglioso di quella che è la realtà del nord del Perù, tra la regione desertica che circonda Piura e la natura lussureggiante attorno a Santa Maria de Nieva. Questo è La Casa Verde (1966), secondo romanzo del Premio Nobel Mario Vargas Llosa, con cui l’autore peruviano vinse il prestigioso Premio Rómulo Gallegos nel 1967.

L’ambientazione: Piura e Santa Maria de Nieva

La narrazione de La Casa Verde si svolge in due luoghi all’apparenza scollegati, separati da circa seicento kilometri di strada e incastonati in due paesaggi agli antipodi: da una parte Piura, edificata in mezzo a terre aride e desertiche, sferzata da continue tempeste di sabbia; dall’altra Santa Maria de Nieva, cittadina nascosta nella selva amazzonica sulle rive del fiume Marañon, circondata dagli alberi e dai villaggi delle popolazioni indigene spregiativamente chiamate chunchos. Tra queste ambientazioni così diverse si sviluppano tre storie, o filoni, che al principio appaiono completamente estranee l’una all’altra ma che con il passare dei capitoli rivelano collegamenti inaspettati, creando una rete in cui ogni cosa ed ogni persona resta, ciascuno in misura diversa, ingarbugliata.

Piura oggi, nella centrale Plaza de Armas

Lituma o il Sergente

La prima delle tre storie è quella di Lituma, chiamato anche il Sergente, uomo originario di Piura che si arruola nella Guardia Civil e viene inviato nella selva, a Santa Maria de Nieva. Qui innamora di Bonifacia, ragazza di origine aguaruna (una delle innumerevoli tribù indigene che popolano l’Amazzonia) che sposa e porta con sé a Piura; nella città natale, tuttavia, il Sergente si lascia trascinare dalle brutte amicizie, quel gruppo di ragazzi che si fa chiamare gli Inconquistabili, e, dopo una notte di follia in cui rimane coinvolto nella morte di un uomo, viene mandato in prigione a Lima. Quando torna dal carcere scopre che Bonifacia è diventata una prostituta in un bordello, chiamato la Casa Verde, con il soprannome di Selvática; sebbene scottato, Lituma non fa nulla per rimettere le cose a posto e finisce per passare la vita a bighellonare facendosi mantenere dalla moglie.

Il bandito Fushía

Il secondo filone è quello di Fushía, bandito nippo-brasiliano che ha passato la vita a condurre affari loschi e a perpetrare tradimenti ed inganni. Dopo essere stato dipendente del governatore di Santa Maria de Nieva, Julio Reátegui, ed averlo aiutato nel contrabbando di caucciù, si dà alla macchia e si stabilisce in un’isoletta non lontana dal confine con l’Ecuador, dove si occupa di rubare alle tribù indigene con l’aiuto dell’aguaruna Jum. Ha un figlio da Lalita, una ragazza di Iquitos fuggita con lui tempo addietro, la quale però lo abbandona per scappare con un suo collaboratore, Adrián Nieves; ruvido, violento e arrogante, Fushía si ammala di lebbra e finisce i suoi giorni nel lebbrosario di San Pablo (lo stesso, curiosamente, visitato da Ernesto Guevara nel suo viaggio giovanile attraverso tutto il Sud America) dimenticato da tutti meno che dal suo unico amico, l’anziano Aquilino.

Una veduta di Santa Maria de Nieva

Don Anselmo e la Casa Verde

La terza storia è infine quella di don Anselmo, un uomo misterioso che arriva silenziosamente a Piura e vi si stabilisce, costruendo un bordello da tutti conosciuto con il nome che deve al peculiare colore della facciata: la Casa Verde. Con la sua attività si attira l’antipatia dei conservatori della città e in particolare di Padre García, che inizialmente si limita ad inveire contro di lui dal pulpito della sua chiesa; quando si scopre però del rapimento da parte di don Anselmo di una ragazza cieca, e di come questi l’abbia stuprata, messa incinta, e infine di come ella sia morta di parto, Padre García aizza la folla contro la Casa Verde, che viene distrutta e data alle fiamme. L’uomo si salva dal linciaggio perché viene visto con in braccio la figlia appena nata; questa, una volta cresciuta e conosciuta come la Chunga, ricostruirà il bordello e gli darà il medesimo nome, mentre don Anselmo passerà il resto della sua vita a suonare l’arpa, in una Piura dove la distruzione e l’incendio della vecchia Casa Verde si sono trasformati in una leggenda.

Il legame nascosto

Le tre vicende si intrecciano in maniera del tutto peculiare, ma il legame resta nascosto per gran parte del romanzo, attraverso un gioco di nomi che rende impossibile capire in anticipo come due personaggi che appaiono in storie diverse siano in realtà la stessa persona. Solo alla fine, dunque, il lettore si rende conto di come Lituma e il Sergente siano un solo uomo, o di come quella ragazzina spaventata e ingenua che vive con le suore a Santa Maria de Nieva sia quella Selvática che fa la prostituta nel bordello della Chunga. Ed è proprio Bonifacia a rappresentare l’anello di congiunzione tra la storia di don Anselmo, quella di Lituma e quella di Fushía, arrivando a conoscere il primo, sposare il secondo e a vivere con l’ex compagna del terzo.

L’utilizzo dei “vasi comunicanti” ne La Casa Verde

Vargas Llosa ha utilizzato per il suo romanzo una tecnica che egli stesso chiama la “tecnica dei vasi comunicanti”, che consiste nella creazione di una connessione tra storie apparentemente distanti che però traggono vantaggi dal fatto di essere accostate.

«[La tecnica dei vasi comunicanti] è narrare creando una unitarietà con episodi che succedono in tempi o spazi differenti che però hanno qualche tipo di denominatore comune che non rende incompatibile quella fusione di episodi distinti.»

(frase tratta dal seminario “La letteratura è fuoco” tenuto da Mario Vargas Llosa a Monterrey, México, nel maggio del 2000)

L’unitarietà del romanzo, il serbatoio da cui partono i suoi vasi comunicanti, il “denominatore comune” è rappresentato proprio dalla Casa Verde che dà il titolo al libro, e che è il centro attorno al quale orbitano, in maniera più o meno evidente, tutti e tre i filoni del romanzo.

Mario Vargas Llosa

Lo stile e la sovrapposizione di piani spazio-temporali

Lo stile del racconto è tutt’altro che semplice, e anzi il romanzo richiede uno sforzo intellettuale considerevole per essere compreso: tra le sue pagine si incastrano e si sovrappongono piani spazio-temporali diversi, che si intercambiano senza preavviso e a volte anche senza un apparente senso logico. In alcuni momenti, infatti, l’autore porta avanti contemporaneamente due o tre dialoghi avvenuti in tempi e luoghi diversi tra loro, pronunciati dai medesimi personaggi ma anche da personaggi diversi, alternandoli in maniera audace e costringendo il lettore a compiere lo sforzo di collegare la singola battuta al singolo momento della storia. È un modo di narrare che si avvicina molto alla cinematografia, specie allo stile di quegli autori che amano sovrapporre in fase di montaggio scene differenti con lo scopo di ricreare il caos e il dinamismo del pensiero umano.

La manipolazione del tempo

Il tempo viene manipolato da Vargas Llosa come fosse il suo giocattolo, e le storie dei personaggi vengono raccontate attraverso sequenze montate apparentemente in maniera casuale. Passato, presente e futuro si fondono e si confondono, e vengono rivelati in maniera contro intuitiva, senza alcun ordine, prima un pezzo dell’uno e poi dell’altro; in questa maniera l’autore riesce a creare ritratti del tutto peculiari che smussano la percezione del lettore rispetto alla malvagità di alcuni personaggi, rendendo più mite il giudizio morale nei loro confronti. Scoprire infatti come don Anselmo sia diventato un vecchio arpista disilluso e senza passato, o come Fushía sia un lebbroso ridotto ad un ammasso di piaghe maleodorante, allevia il disgusto nei confronti di due uomini che sono in realtà l’uno un rapitore e uno stupratore, l’altro un violento e un ladro.

La Casa Verde: un affresco del nord del Perù

La selva peruviana lungo il fiume Marañon

Nel complesso, la lettura de La Casa Verde offre un quadro piuttosto completo della realtà di tutta la regione del nord del Perù, tra lo sfruttamento delle popolazioni indigene, la civilizzazione e l’evangelizzazione forzata delle stesse, il moralismo della Chiesa Cattolica. L’intento dell’autore, che si tiene ben lontano da commenti di tipo morale, è quello di descrivere un angolo di mondo con l’umanità che lo abita, senza prendere le parti di nessuno, offrendo un’esperienza letteraria completa e soddisfacente. Nonostante le difficoltà della lettura, nel finale tutti i nodi vengono al pettine e la matassa viene districata, lasciando così nel lettore un retrogusto di soddisfazione per essere riuscito a ricostruire quello che inizialmente sembrava un mosaico senza né capo né coda.

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