Pedro Páramo, di Juan Rulfo

Di Washoe

Un romanzo di silenzi, di rumori soffocati, di piogge e deserti. Un romanzo di fantasmi. Questo è Pedro Páramo, l’opera che ha consegnato il messicano Juan Rulfo all’Olimpo della letteratura. Capostipite e ispiratore del realismo magico, è un romanzo, se così lo si può chiamare, che non lascia indifferenti, e che avvolge il lettore in un’atmosfera difficile da dimenticare. Dalla sua uscita, nel 1955, non ha mai smesso di stupire, influenzando per decenni tutta la letteratura in lingua spagnola e non solo.

“[Il libro] era Pedro Páramo. Quella notte non potei dormire prima di averlo letto una seconda volta. Mai, dalla notte tremenda in cui lessi La Metamorfosi, dieci anni prima, in una lurida pensione per studenti a Bogotá, avevo provato una commozione simile.”

Gabriel García Márquez
Gabriel García Márquez, grande estimatore di Juan Rulfo (fonte: sapere)

La trama

La madre morente di Juan Preciado ottiene dal figlio una promessa: quella di recarsi al suo paese natale, Comala, per cercare il padre che non ha mai conosciuto, un tale Pedro Páramo. Juan Preciado parte in viaggio e raggiunge il paese, che però è ormai in rovina, popolato da poche persone che a una a una sembrano rivelarsi tutti (o quasi) dei fantasmi: schiacciato dal terrore di non saper più distinguere i morti dai vivi, Juan Preciado si lascia morire e viene seppellito lì a Comala. Accanto alla narrazione della ricerca (destinata già in partenza a fallire poiché il padre era morto da molto tempo) si sviluppa però anche la storia del suo oggetto, Pedro Páramo: di famiglia modesta, era riuscito ad aprirsi la strada verso la ricchezza a viva forza, e pezzo dopo pezzo si era impadronito della città. E accanto ai due racconti principali si sviluppano altre trame secondarie, la maggior parte legate proprio alla storia di Páramo, che contribuiscono a tratteggiare i contorni del personaggio che dà il titolo all’opera.

Frammenti

Parlando del suo romanzo, Juan Rulfo ha detto:

“È un romanzo difficile, ma che fu scritto con questa intenzione, che ci fosse bisogno di tre letture per comprenderlo.”

Juan Rulfo in “A Fondo” del 17 aprile 1977, programma della tv spagnola condotto da Joaquín Soler Serrano, visibile qui.

In effetti non è semplice approcciarsi all’opera, perché si compone soltanto di frammenti, spesso incoerenti, distribuiti tra le pagine un po’ come fossero stati lasciati cadere alla rinfusa. In realtà, però, la loro disposizione è stata studiata con grande cura da Rulfo, che costruisce la narrazione in maniera sapiente e poco convenzionale, dando vita ad un quadro di una profondità sorprendente. Al lettore si chiede però un grande sforzo di riflessione e di ricostruzione, come se la storia fosse stata strappata in brandelli e per leggerli fosse richiesto di accostarli non nel modo corretto, che forse non esiste, ma nel modo migliore possibile: ogni volta che si riapre il libro si intraprende una nuova scrittura di Pedro Páramo e si diventa coautori dell’opera, per questo mai uguale a se stessa.

La rottura del tempo e dello spazio

Se la storia è frammentata, lo stesso accade forzatamente al tempo e allo spazio della narrazione, presi a martellate fino a farli a piccoli pezzi. E infatti inizialmente il lettore annaspa per stare dietro alla cronologia, all’esatta ubicazione, ai personaggi che sembrano interscambiarsi all’improvviso.

“Il tempo e lo spazio sono rotti, perché ho lavorato con i morti, e questo crea l’impossibilità di ubicare il racconto in un momento preciso”

Juan Rulfo in “A Fondo”, 17 aprile 1977

Quando però ci si rende conto di come sia impossibile restare a galla in quella tempesta di istanti e di luoghi, quando ci si lascia andare a fondo, la storia sommerge completamente il lettore e lo avvolge in un abbraccio nebuloso e rassicurante. Tutto sembra avvenire nello stesso momento, nello stesso luogo; lo spazio-tempo è indefinito, eppure perfettamente coerente, e dopo le multiple letture prospettate da Rulfo i pezzi vanno al proprio posto in maniera quasi naturale, organica, completa. Non importa più il quando, né il dove: Pedro Páramo diventa un racconto universale, di dolore, memorie, amore e morte.

Juan Rulfo (fonte: dispersioni)

I fantasmi

I fantasmi a cui accenna Rulfo sono i veri protagonisti della storia. Perché fantasma è Pedro Páramo, ormai morto da molto tempo quando Juan Preciado raggiunge Comala; fantasmi sono Abundio, doña Eduviges, Damiana Cisneros, Dorotea. Fantasma è persino Juan Preciado, che si scopre essere morto di terrore a Comala, e che probabilmente già era stato sepolto quando aveva cominciato il racconto del proprio viaggio. Per questo anche le voci che raccontano e che popolano la narrazione assumono i connotati di echi lontani o, per usare l’espressione preferita da Rulfo, di mormorii (murmullos): mormorii che permeano l’aria del paese, che sembrano trasudare dalla terra, dalle pareti, che sibilano dalle tombe e portano con sé antichi lamenti, ricordi e richieste di preghiera. Mormorii che schiacciano chi si aggira nel paese, gli tolgono l’ossigeno, il fiato, come fossero veleno. La Comala di oggi è molto lontana dal pueblo primaverile e pieno di vita che ricordava Dolores, la madre di Juan Preciado, un altro fantasma le cui memorie vengono impietosamente sovrapposte alla realtà di morte e deserto, mettendo in risalto la rovina ormai consumata della cittadina.

Il significato dei nomi

Ma Comala non era sempre stata così, e a ridurla in quelle condizioni era stato proprio Pedro Páramo. D’altronde, il nome stesso del personaggio ha i contorni di un oscuro presagio sul suo destino e su quello del paese: Pedro deriva da pietra, e rappresenta la durezza, l’irremovibilità, il potere inattaccabile; páramo ha invece in spagnolo il significato di terreno desertico, ossia la forma in cui a lungo andare egli plasma il paesaggio in cui vive. Ma anche quello di Comala non è un nome scelto a caso. Deriva dal comal, la grande piastra di ceramica che si usa in Messico per cuocere le tortillas: un’immagine perfetta per descrivere l’atmosfera asfissiante del paese, e per suggerire l’idea di una sorta di castigo divino per un luogo macchiato dalla violenza. Violenza che è quella perpetrata da Pedro Páramo con la complicità dei suoi concittadini, in particolare del parroco padre Rentería, simbolo del clero corrotto che offre la salvezza soltanto a chi può pagarla. Nel ruolo di dominatore di Comala, Pedro Páramo opera come un dio e condanna il paese alle braci dell’Inferno (come quelle che stanno sotto al comal): dà la vita, generando nelle sue violenze sessuali un gran numero di figli che poi non riconosce; decide chi può mangiare, chi può lavorare, chi può avere il perdono dei peccati; sceglie chi può vivere e chi può morire.

Il comal messicano (fonte: cocinafacil)

Pedro Páramo e la sua ossessione

A mano a mano che ci si immerge nella storia, tuttavia, si scopre come dietro all’ascesa di Pedro Páramo ci sia più del semplice desiderio di comando. Perché come spesso accade nelle vicende di potere, alle spalle dell’ambizione c’è in realtà un’ossessione, incarnata in questo caso nel corpo di una donna, Susana San Juan. Con lei Páramo era cresciuto quando erano bambini, e con il suo ricordo aveva convissuto per i molti anni nei quali il padre di Susana l’aveva tenuta nascosta da lui; quando poi l’aveva ritrovata, già vedova del suo primo amore Florencio, aveva fatto uccidere il padre per renderla vulnerabile, prima di prenderla finalmente con sé. Era però un’ossessione destinata a rimanere tale: Susana non si rassegnò mai ad essere sua, e si protesse dalle sue grinfie rifugiandosi nel ricordo del marito, nel sonno tormentato dagli incubi, e infine nella follia, sempre in fuga da una realtà che non aveva ormai più niente da darle. Persino in punto di morte: quando padre Rentería, su ordine di Pedro Páramo, prova a darle l’estrema unzione, Susana per tutta risposta lo sfida e prima di morire ricorda ad alta voce i momenti di intimità con Florencio, i suoi unici istanti di felicità.

La fine di Comala

Devastato dalla morte di Susana San Juan e dal suo rifiuto che ormai non può più essere cambiato, Pedro Páramo si rinchiude nel proprio dolore e fa suonare a lutto per giorni interi le campane di Comala. Il suono però viene frainteso dalla popolazione del paese e di quelli vicini: credendole campane di festa, la gente dà il via a giorni di musica e di baldoria. Scottato dall’affronto, Pedro Páramo decide di vendicarsi di chi gioisce invece di piangere: «Incrocerò le braccia e Comala morirà di fame»; ed è così che Comala diventa il pueblo di fantasmi che Juan Preciado trova sulla propria strada. Ma Pedro Páramo non sceglie davvero di lasciar morire il paese a causa della festa improvvisata: a spingerlo è piuttosto il suo orgoglio, ferito dal rifiuto perpetuo di Susana San Juan. La donna rimane l’unico suo desiderio insoddisfatto, ed è in ultima istanza il vero motivo per cui Pedro aveva ritenuto giusto fare tutto ciò che aveva fatto nel corso della sua esistenza: è a causa (causa, non colpa!) sua se arriva ad odiare tanto il mondo da desiderare di vederlo in malora. Sul mondo, tuttavia, non ha potere; su Comala, sì.

«L’amore per Susana San Juan era l’unica cosa pura in quell’esistenza tanto disordinata. Susana pesava di più sulla sua coscienza che i suoi crimini, che erano stati soltanto uno strumento per raggiungere il potere. Susana San Juan era l’unico simbolo di redenzione che gli era rimasto, l’unica forma tangibile e bella per la quale aveva compiuto così tante atrocità. Lei significava il suo perdono, e per questo quando la perde si sente il più sventurato tra gli esseri umani. Non crede che per certe persone le donne sono come un duplicato del cielo, o forse persino il cielo stesso?»

Juan Rulfo, intervistato da Máximo Simpson (fonte: adncultura)

La figura di Pedro Páramo

È interessante però soffermarsi sulla maniera con cui nel romanzo si costruisce la figura di Pedro Páramo. È l’unico personaggio che non ha una voce propria, che non parla in prima persona se non negli episodi dell’infanzia e in prossimità della sua morte, o nei rari momenti di angoscia; come se il suo potere lo rendesse inattaccabile quando si trova all’auge, persino dalla narrazione stessa. La forma assunta dalla sua figura dipende quindi quasi interamente dalla voce delle persone che gli stanno attorno, dai testimoni delle sue azioni. È ironico: il suo ricordo, l’unica cosa che resta di lui, è sottomesso al potere di quelle stesse persone che lui aveva dominato in vita, e uccidendo il paese di Comala finisce anche per soffocare la sua memoria e la sua eredità. Si vede dunque il limite invalicabile a cui si ferma il suo potere, ossia il confine del materiale: per quanto Pedro si sforzi non può dominare i pensieri, le memorie della gente, né l’amore di una donna. La violenza da lui perpetrata, che tanto gli aveva giovato, soffoca Susana San Juan e cancella Comala, ma con Comala Pedro Páramo cancella pure sé stesso.

Il Messico e l’universalità

Al di là della storia, tuttavia, leggere Pedro Páramo significa anche addentrarsi nel sentire del popolo messicano. Le immagini, il lessico, tutto quanto riporta alla campagna, alle pianure del Messico, alla sua struttura sociale e alle peculiarità del suo potere, troppo spesso concentrato nelle mani di pochi. Pedro Páramo è infatti l’emblema di un problema di distribuzione dell’autorità che per secoli ha afflitto l’America Centrale, in quanto incarnazione del cacique, o cacicco, colui che domina indisturbato su di un pueblo e le sue campagne, amministrando potere e giustizia in maniera del tutto arbitraria. Ma, nonostante questo carattere profondamente centroamericano, la portata del romanzo non si ferma certo ai confini del Messico. Nella sua storia ci sono elementi tipici della mitologia umana, che lo caricano di significati universali: amore, morte, ricordo, peccato, potere. C’è la ricerca del padre, la discesa agli inferi (in quale altro modo si può descrivere l’esperienza di Juan Preciado a Comala?), la sofferenza d’amore, la corruzione del potere. Qui è la grandezza di Pedro Páramo, qui è la grandezza di Rulfo: attraverso le voci, i mormorii, i fantasmi è riuscito a costruire un racconto totale che, pur componendosi di frammenti, offre in qualche modo un quadro completo e reale di tutto ciò che è umano.

Un giovane Juan Rulfo (fonte: ilvillaggiodeglihobby)

Leggi altri articoli della categoria Letteratura o sulla Letteratura Latinoamericana

Seguici sui nostri social:

Facebook: Aquile Solitarie

Instagram: Aquile Solitarie (@aquilesolitarieblog)

Twitter: Aquile Solitarie (@AquileSolitarie)