Di Washoe
Splatter, imprecazioni, gangster, sparatorie, immagini forti e linguaggio decisamente esplicito. Un regista normale ci sarebbe andato molto piano all’esordio, così, tanto per tastare il terreno. Ma un regista normale Quentin Tarantino non lo è mai stato. Già nella sua prima pellicola, Le Iene (titolo originale: Reservoir Dogs, anno 1992), ha voluto mostrare tutto o quasi il ventaglio di caratteristiche che ha reso il suo stile immediatamente riconoscibile. Ma non è questo, o meglio, non è soltanto questo ciò che rende speciale il primo dei suoi tanti capolavori.
La trama
La trama è asciutta, quasi essenziale. Nella scrittura del film Tarantino (che ha firmato anche la sceneggiatura) ha ricercato una semplicità quasi Hemingway-ana, facendo fuori tutto ciò che non era strettamente necessario, quasi fosse d’impiccio per un’entrata in scena col botto nel cinema statunitense. Le Iene racconta di un gruppo di otto rapinatori, di cui sei di loro si conoscono soltanto tramite un soprannome (per evitare delazioni): sono il capo Joe Cabot (Lawrence Tierney), Mr. White (Harvey Keitel), Mr. Orange (Tim Roth), Mr. Blonde (Michael Madsen), Mr. Pink (Steve Buscemi), Mr. Brown (interpretato dallo stesso Tarantino), Mr. Blue (Edward Bunker) e il figlio del capo Eddie (Chris Penn). Radunati da Cabot, il gruppo ha progettato una rapina in una gioielleria, ma qualcosa va storto e un po’ per volta i criminali si ricongiungono in grande capannone. Una volta sul posto, Mr. White e Mr. Pink cominciano a ragionare sull’accaduto, e giungono alla conclusione di aver avuto un infiltrato all’interno del gruppo. La polizia è infatti intervenuta troppo rapidamente per fermare la rapina, e l’unica spiegazione possibile è che conoscessero già in anticipo i dettagli del colpo. Da lì in avanti, raggiunti da altri componenti della banda, i due cercheranno di identificare il presunto traditore.
Le Iene e la rapina… “fantasma”
Al centro del film si trova dunque una rapina. Eppure, di quella rapina non si vede una sola immagine: tutto ciò che viene mostrato avviene prima o dopo, ma mai durante. Un espediente non di semplice gestione, ma che assolve meravigliosamente il proprio compito di creare la suspense che regge in piedi la narrazione. La rapina c’è, si sa che è avvenuta, e ci si aspetta che prima o poi l’azione venga mostrata; l’attesa è del tutto vana, eppure lo spettatore resta sulle spine, con la curiosità stuzzicata da una serie di piccole rivelazioni che piano piano arrivano a spiegare l’accaduto, senza mai però fornire il quadro completo. Non era semplice riuscire a creare un coinvolgimento di questo tipo con una trama tanto scarna, ma Tarantino ci è riuscito, giocando abilmente non soltanto col detto-non-detto ma anche con la sovrapposizione di diversi piani temporali.
Una struttura episodica
La storia non viene raccontata linearmente, ma si compone di episodi che si accavallano e insieme vanno a formare un grande mosaico. Si parte con l’iconica chiacchierata al bar della prima scena, l’unica in cui si vede la banda al completo, e poi all’improvviso ci si ritrova catapultati ai momenti che seguono la rapina; da lì inizia un valzer di flashback e punti di vista diversi, che raccontano il background di alcuni dei personaggi e il processo di formazione della banda. Nel mezzo, splatter, tanto splatter: un uomo ferito all’addome e inzuppato nel suo stesso sangue, un poliziotto pestato e privato dell’orecchio con un coltello (è un’idea che piace a Tarantino, quella degli sfregi a colpi di pugnale: vedere per esempio Bastardi Senza Gloria), una serie di sparatorie ed uccisioni. Usando tutti questi elementi nel perfetto ordine e seguendo il ritmo giusto, il regista diventa mago e riesce a creare l’illusione di una storia intricatissima dove in realtà c’è ben poco: fondamentalmente soltanto otto malviventi e una rapina andata male per colpa di un infiltrato della polizia.
Il gioco dei punti di vista in una delle scene di Le Iene
Tra tutti gli “incantesimi” di cui si avvale Tarantino in Le Iene vale la pena di concentrarsi su uno in particolare, uno dei flashback, in cui viene mostrato un episodio mai accaduto: un aneddoto divertente inventato di sana pianta da Mr. Orange, la talpa, per convincere Joe Cabot a coinvolgerlo nella rapina. Non è una sequenza banale, perché attraverso di essa il regista gioca con i punti di vista per mantenere il sottile dinamismo del film, spostandoli da Mr. Orange a Cabot e Mr. White e viceversa. Perché fino a che si vede Orange parlare il punto di vista è il suo, ma quando il racconto si materializza la percezione diventa quella di chi lo ascolta (Mr. White e Joe Cabot): Mr. Orange sa che quello che dice non è mai accaduto; coloro che se lo stanno figurando sono White e Cabot, perché credono che sia reale e la storia si materializza dunque nella loro mente così come noi la stiamo vedendo sullo schermo.
La chiacchierata iniziale
La natura episodica di Le Iene di cui si è parlato poc’anzi si manifesta fin da subito tramite la scena più iconica di tutto il film, quella dell’inutile chiacchierata al bar prima della rapina. Inutile perché gli otto discutono di argomenti del tutto casuali, slegati dal resto della pellicola: del significato della canzone Like a Virgin di Madonna e dell’opportunità di dare mance alle cameriere. La sequenza è quasi un cortometraggio a sé stante, che sta in piedi da solo e sembra non centrare assolutamente nulla con la rapina; eppure introduce l’ambiente, le caratteristiche di alcuni personaggi (specialmente dell’odioso Mr. Pink di Buscemi) e la bravura registica di Tarantino, che fa riprendere la scena da una telecamera sempre in movimento, un po’ malferma, oscurata a tratti dai corpi stessi degli attori, quasi a sottolineare la natura volatile e vana delle parole di coloro che di lì a poco si scopriranno essere spietati criminali.
La caratterizzazione dei personaggi
Nel sovrapporsi di scene e flashback, Tarantino trova anche il tempo di dare una caratterizzazione ai personaggi. Tra gli altri risalta il Mr. White di Harvey Keitel (che è anche coproduttore del film), all’apparenza un galantuomo e una brava persona, che si dimostra però pronto ad uccidere il traditore senza pensarci due volte. Ma anche Mr. Pink, che si fa odiare per la sua maniera esagitata di parlare, per i ragionamenti contorti da chi pensa che “sono tutti stupidi tranne me”, e per il suo ripetere come un mantra “sono un professionista”. E soprattutto Mr. Blonde, che Micheal Madsen dipinge come uno psicopatico criminale, con fortissime tendenze sadiche (e che, curiosamente, sembra essere idealmente il fratello di Vincent Vega di Pulp Fiction: il suo vero nome è Vic Vega). Proprio a causa della caratterizzazione estrema di Mr. Blonde, alle varie prime visioni in giro per il mondo molte persone uscirono dalla sala scandalizzate molto prima della conclusione del film. Non per colpa loro: nessuno li aveva preparati al genio assurdo e prossimo alla follia di Tarantino, capace di impressionare come pochi altri, in tutti i sensi, i suoi spettatori. Le Iene fu un esordio col botto, non c’è dubbio. E un degno assaggio della splendida produzione tarantiniana che avrebbe segnato il cinema dei successivi trent’anni.
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