Lolita – Vladimir Nabokov

Di Washoe

Un pugno nello stomaco ed una carezza sul viso. Lolita di Vladimir Nabokov colpisce duro e consola al contempo, apre ferite e poi le ricuce, provoca lacrime e poi le asciuga, in una tempesta di opposti che lascia senza fiato i suoi ammiratori più convinti e i suoi detrattori più irriducibili, senza possibilità di appello. Ci sono lettori che non sono mai riusciti a finirlo, Lolita, per via del troppo disgusto morale; altri invece che l’hanno chiuso in anticipo per i frequenti attacchi di noia causati da un narratore a cui piace compiacersi della propria cultura. Ma molti, moltissimi, lo hanno assaporato con gusto fino ad innamorarsene; ed è uno di quegli amori che fanno toccare il cielo con un dito, portano allo zenit del piacere e poi fanno male, molto male. Ma il suo ricordo resta, indelebile, da qualche parte, come la traccia di qualcosa di bello e di segreto che appartiene soltanto a noi.

Lolita
Lolita (Sue Lyon) nell’omonimo film di Stanley Kubrick del 1962

Humbert Humbert, il protagonista

L’argomento tabù, la pedofilia, ha spaventato molti dei potenziali lettori. Protagonista dell’opera è un tale Humbert Humbert, uomo ombroso dai geni francesi, svizzeri e mitteleuropei, professore di letteratura francese dalle oscure perversioni. Ancora bambino (o poco più), aveva perduto a causa del tifo Annabel, il suo primo grande amore giovanile; distrutto da quel prematuro incontro con la morte e con il dolore, Humbert aveva finito per ricercare la figura nell’amata nelle altre ragazzine, covando un desiderio che con il passaggio all’età adulta era sconfinato chiaramente nel campo della pedofilia. È un desiderio che però si esprime inizialmente soltanto su di un piano platonico, di osservazione cauta ed efficace immaginazione, avendo per centro di gravità le fanciulle che giocano dei parchi della Vecchia Europa o scorrazzano per le strade delle città. Non tutte le bambine, tuttavia, sono in grado di far scattare qualcosa in lui, ma necessitano una caratteristica particolare: devono essere ciò che Humbert chiama delle “ninfette”.

“Accade a volte che talune fanciulle, comprese tra i confini dei nove e i quattordici anni, rivelino a certi ammaliati viaggiatori – i quali hanno due volte, o molte volte, la loro età – la propria vera natura, che non è umana, ma di ninfa (e cioè demoniaca); e intendo designare queste elette creature con il nome di «ninfette».

[…]

Bisogna essere artisti e pazzi, creature di infinita melanconia, con una bolla di veleno ardente nei lombi e una fiamma ipervoluttuosa perennemente accesa nella sensitiva spina dorsale (oh, quanto bisogna dissimulare e farsi piccoli!) per discernere a prima vista, grazie a segnali ineffabili – il profilo impercettibilmente felino di uno zigomo, la snellezza di una gamba appena velata di lanugine, e altri indizi che la disperazione e la vergogna e le lacrime di tenerezza mi vietano di enumerare – , il micidiale diavoletto tra le brave bambine; e lei, non ravvisata dalle sue compagne, posa tra loro a sua volta ignara del proprio fantastico potere.”

L’entrata in scena di Lolita

Quando, per beneficiare di un’eredità, Humbert Humbert si trasferisce negli Stati Uniti, il destino sembra porgergli un regalo inaspettato. Per via di una serie di coincidenze, finisce ad essere il pensionante di una vedova della cittadina di Ramsdale, Charlotte Haze; la casa non è granché, ma contiene un tesoro che lo convince a restare: la figlia dodicenne Dolores, chiamata da tutti Lolita, la regina di tutte le ninfette. La perversione di Humbert si impossessa di lui, portandolo al punto di sposare Charlotte per stare vicino alla figlia; la donna scopre tutto ma, poco dopo, muore in un provvidenziale incidente d’auto. Forte del suo ruolo di patrigno, Humbert prende con sé Lolita in un viaggio attraverso gli Stati Uniti, dove si approfitta di lei a più riprese, sfruttando la fragilità di una bambina che non aveva nessun altro posto dove andare. Ad un tratto però, Lolita riesce a fuggire con il drammaturgo Clare Quilty; la ritroverà molti anni dopo, ormai diciassettenne, sposata e incinta, poco prima di raggiungere Quilty ed ucciderlo per averlo privato della sua ossessione.

Lolita e Humbert
Lolita (Dominique Swain) e Humbert (Jeremy Irons) nel film del 1997 di Adrian Lyne

Un’ammaliante confessione

La storia è scritta da Nabokov sotto forma di confessione, redatta in carcere da un Humbert in attesa di giudizio per l’assassinio di Quilty. Essendo tutto narrato in prima persona dal protagonista stesso della vicenda il narratore risulta poco affidabile, poiché tutto quello che dice è sporcato da un’innegabile sensazione di soggettività. A mano a mano che si avanza nella lettura, ci si rende conto facilmente di come Humbert stia cercando la nostra complicità e la nostra comprensione, o la nostra compassione, in un evidente tentativo di giustificare i propri comportamenti. Eppure, si finisce per dimenticare tutto questo: il suo tono non è la classica lagna del penitente, ma piuttosto un’artistica miscela di poesia, gusto estetico e giocosità che seduce molto velocemente il lettore, trascinandolo in qualcosa di simile alla sottile complicità. Chi dice di non aver mai, nemmeno per un momento, empatizzato con Humbert mente spudoratamente: è semplicemente impossibile restare indifferenti al suo racconto, perché il flusso delle parole è impregnato di una malìa che cattura il lettore in una rete impossibile da eludere, impossibile da rompere. Non è detto che chi menta lo faccia coscientemente; di sicuro, però, sta in qualche modo raggirando se stesso, nel tentativo di zittire una voce nella propria coscienza che gli urla ferocemente: “Depravato!”.

Il rapporto di Lolita con la morale

Proprio nella capacità di indurre il lettore in una spiacevolissima empatia per un uomo orribile si rileva tutto lo spessore letterario di Nabokov. Alcuni trovano che sia una maniera disdicevole di impiegare il proprio talento, perché intravedono tra le righe i tratti di un’apologia alla pedofilia. Non c’è nulla di più sbagliato, in quanto durante la gestazione di Lolita Nabokov si è tenuto ben lontano dall’inquinare la sua opera con un qualsiasi intento moralistico, né ovviamente di apologia, ma nemmeno di esplicita esecrazione, che viene sottilmente lasciata al buonsenso del lettore (e si può dire che il romanzo pretenda, in questo modo, che arrivi da lui una netta condanna dell’operato di Humbert). Ciò che interessava all’autore russo era creare un’opera d’arte capace di dipingere un lato oscuro dell’essere umano da cui molti si tenevano alla larga, raccontare ed analizzare la psicologia di un depravato, e farlo con un senso estetico raffinato ed assolutamente piacevole che elevasse la narrazione ad un piano prossimo alla poesia.

Lolita
Lolita, ancora dal film di Lyne

L’umorismo e l’inganno

L’umorismo è componente fondamentale dell’opera e della cifra narrativa di Humbert, poiché concorre in qualche modo a rendere digeribili i lati più scabrosi della vicenda. Se si mette da parte il malessere causato dagli abusi ai danni di una ragazzina, ci sono diversi momenti in cui si è portati a sorridere per un gioco di parole o una battuta di spirito dell’Humbert narratore; ed è uno degli strumenti di cui egli si avvale per catturare la simpatia di cui sopra. Non è il solo: Humbert affascina perché dipinge ciò che vede impiegando tutta la propria cultura, come un professore che impartisce una lezione, con una superiorità che incute rispetto e lo rende estremamente convincente, tanto da portare a credere davvero che ciò che lo legava alla bambina fosse amore e non un egoistico impulso sessuale. E inevitabilmente anche il lettore, catturato dai suoi tentacoli verbali, finisce per innamorarsi di Lolita, questa bambina falsa, dolce, innocente e perversa al contempo che confonde con le sue provocazioni e i gli atteggiamenti troppo maturi per la sua età. Atteggiamenti che, forse, sono frutto non della realtà ma delle esagerazioni ingannatrici con cui Humbert vuole scaricare su di un’improbabile lascivia della ragazzina parte della sua colpa.

L’egoismo della passione

Soltanto sul finire della vicenda, quando è ormai prossimo all’accesso di follia che lo porterà all’omicidio di Quilty, Humbert si rende conto della portata di ciò che ha inflitto a Lolita. Con quel viaggio folle attraverso il paese l’ha privata della sua infanzia, sporcandone il candore con le sue richieste e le sue perversioni, senza darle il tempo di metabolizzare le prime esperienze sessuali che pure aveva già avuto prima di lui, senza darle la possibilità di una famiglia normale, in cui crescere ed attraversare le fasi turbolente dell’adolescenza. Con questa rivelazione viene sottolineato tutto l’essenziale, inutile, doloroso egoismo di ogni passione, di ogni brama, di ogni bisogno profondo; quell’egoismo che ha finito per rendere Humbert cieco di fronte alle conseguenze terribili delle sue azioni sulla vita della piccola Lolita.

Lolita, un libro difficile

Certo, alla luce di tutto questo risulta evidente come Lolita non sia un romanzo semplice da leggere. Ma non è solo per via dell’argomento: nella seconda parte rallenta molto, con frequenti descrizioni e qualche aneddoto di scarsa importanza che può portare a perdere la pazienza. Per questo si tratta di un libro che non va divorato, ma sorseggiato, come una tazza di tè. E tra un sorso e l’altro, superato, o meglio, accantonato come un male necessario il ribrezzo per le azioni orrende del protagonista, Lolita può sprigionare tutto il suo aroma, ricercato, dolceamaro, inavvicinabile. E molto, molto conturbante.

Nabokov
Vladimir Nabokov (fonte: brainpickings)

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