Rayuela, di J.Cortázar – Parte II: il Kibbutz del Desiderio

Rayuela

Di Washoe

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Rayuela ruota attorno alla personalità indecifrabile di Horacio Oliveira, contraddittoria perché sempre in bilico tra l’essere un uomo geniale e un idiota troppo pieno di sé. Il suo carattere assume i contorni di una sorta di massa informe: passa dall’essere tenero amante a freddo opportunista, da uomo appassionato a completo menefreghista, da amico sincero a mela della discordia. La fluidità del personaggio non è però suo malgrado, me è piuttosto una scelta sua consapevole, fatta in funzione di quella ricerca che lo accompagna per tutto il romanzo e che sembra condurlo fino alla follia.

La ricerca di Oliveira in Rayuela

Ma cosa cerca Oliveira? Difficile dirlo con chiarezza, perché in fondo non lo sa nemmeno lui: un nuovo punto di vista, la Conoscenza, il Centro, il Kibbutz del desiderio. Il fulcro del suo vagare per il mondo si trova in un concetto astratto, talmente ipotetico da non avere nemmeno un nome, o da averne tanti. Alla base di tutto c’è la convinzione che la società occidentale, con le sue regole e i suoi strumenti logori, tenga ingabbiato l’uomo in quella che per millenni, fin dalla civiltà greca, è sembrata essere l’unica via possibile verso il progresso e il benessere dell’uomo, ossia la ragione. Ragione che però è intrinsecamente limitante, poiché composta per sua natura da schemi sempre uguali a sé stessi (la ragione si identifica con il linguaggio, senza il quale non esiste; linguaggio che è composto da un numero limitato di parole) che, se da un lato portano benefici evidenti, come lo sviluppo della tecnica e della scienza, dall’altro fanno dell’uomo come l’ingranaggio di una grande macchina universale che cancella le sue libertà, fissando la mansione e la posizione di ogni individuo all’interno del sistema e condizionandone persino la percezione delle cose, e dunque la capacità di conoscenza.

Cortazar
Un giovane Julio Cortázar (fonte: andreameregalli)

La conoscenza, la ragnatela razionale, le scissioni

Oliveira sente che la conoscenza razionale è una conoscenza del tutto incompleta della realtà, poiché si avvale di un unico canale che permette di osservare solamente una faccia del grande poliedro del Mondo. Egli cerca per questo di divincolarsi dalla ragnatela razionale, ma nel tentativo di liberarsi finisce inevitabilmente per muoversi come un cieco, andando a sbattere continuamente, inciampando qua e là, facendo del male a se stesso e agli altri, perché cerca di percorrere una metaforica landa mai esplorata prima da altri esseri umani. La sua risoluzione è quella di scivolare via dalla società in cui è invischiato, e per questo vive senza lavorare, un clochard con appartamento; ma per quanto si sforzi non riesce a trovare la libertà agognata, per via degli influssi che inevitabilmente gli giungono da ciò che lo circonda: la sua amante, i suoi amici, la Parigi degli anni Cinquanta. Oliveira si rende conto della portata titanica della ricerca in cui si è imbarcato, eppure non demorde, perché sente fortissimo il bisogno di superare quelle angosciose scissioni dialettiche operate nell’uomo dalla ragione (e dall’uomo attraverso la ragione, di cui la dialettica è strumento principe) tra anima e corpo, tra yin e yang, tra il giorno e la notte.

Il Kibbutz del Desiderio

Oliveira sente infatti una grande spaccatura nel proprio essere che finisce per alienarlo da una parte di sé, ossia da tutto ciò che non è in lui razionale e catalogabile. Egli aspira allora al ritrovamento di una Unità, di un Centro che possa in qualche modo renderlo nuovamente una cosa sola e farlo sentire, finalmente, completo. Cerca dunque di spogliarsi da tutto per rimanere idealmente nudo con la propria natura, andando alla ricerca di strumenti di conoscenza nuovi ed alternativi che gli permettano di andare al di là di ciò che l’uomo occidentale considera come l’unica realtà possibile. L’idea dell’Unità, del Centro assume un’importanza crescente con il proseguire della storia, fino a quando, sul finire dell’esperienza parigina di Oliveira, si materializza in un’immagine, che egli stesso chiama il Kibbutz del Desiderio. Il kibbutz è una unità produttiva israeliana basata su idee di stampo socialista, come la collettività dei beni dei suoi abitanti e il lavoro a favore della comunità [fonte: Wikipedia]: un tentativo, insomma, di uscire dalla spirale consumistica per dare forma ad uno stile di vita nuovo, più aderente alla vera natura umana, poiché capace di non trattare la persona come fosse soltanto un consumatore (o, per riprendere un’analogia già utilizzata, un ingranaggio). Si capisce dunque la vicinanza del concetto di kibbutz con quello della ricerca di Oliveira, che pure afferma di non saper definire cosa sia in realtà il suo Kibbutz del Desiderio, nonostante lo senta dentro di sé “presente e attivo”; e così deve essere, in quanto la definizione cadrebbe nuovamente preda di quegli schemi razionali dai quali il kibbutz rappresenta il rifugio, o un’isola felice.

È curioso che ti venga una frase, così, e non abbia senso, un kibbutz del desiderio, ma alla terza volta ti si chiarisce pian pianino e allora senti che non era una frase assurda, come per esempio: “La speranza, quella grassa Palmira”, che è del tutto assurda, un borborigma sonoro, mentre kibbutz del desiderio non è assurdo, è un modo di riassumere, abbastanza ermetico, questo sì, il tuo vagolare, il tuo andare qua e là.

Rayuela, capitolo 36

E quand’anche quel desiderio fosse una vaga definizione di forze incomprensibili, lo sentiva in sé presente e attivo, presente in ogni errore e anche in ogni balzo in avanti, voleva dire essere uomo, e non un’anima e un corpo, ma quell’inseparabile totalità, quell’incontro incessante con le carenze, con tutto ciò ch’era stato rubato al poeta, la veemente nostalgia di un luogo ove la vita potesse pronunciare il primo balbettio da altre bussole ed altri nomi.

Rayuela, capitolo 36
Kibbutz
L’immagine aerea di un Kibbutz in Israele (fonte: touristisrael)

La Maga

Oliveira è però convinto di non potercela fare da solo, lui, intellettuale e dunque preda facile della ragione; ed è qui che subentra il personaggio della Maga. La Maga è importante per Oliveira poiché egli la considera quasi come il suo opposto, o il suo completamento: ella è infatti libera dagli schemi tipici del pensiero razionale, nei quali si sentirebbe ingabbiata, ed è dotata piuttosto di una straordinaria capacità di intuizione, che le permette percepire cose che altri non sentono o vedono e di farlo senza sentire la necessità di inscatolarle all’interno di concetti già esistenti. Oliveira la ritiene capace di squarciare, attraverso le sue intuizioni irrazionali, quasi artistiche, il Velo di Maya che separa l’uomo dalla conoscenza vera e pura, spogliata di ogni modello precostituito. Egli spera, standole vicino, di poter imparare a fare lo stesso, come per osmosi; questo però non può succedere, e la separazione tra Oliveira e la Maga è pressoché inevitabile. Tuttavia, egli non smette mai di desiderare di poter godere ancora delle sue intuizioni estemporanee e, a proprio modo, geniali, e non smette mai di cercarla; quando ormai ritrovarla diventa impensabile, finisce per rivederla in altre donne, identificandola infine con Talita, la moglie dell’amico Traveler.

Rayuela: un tentativo di destrutturare la società occidentale

La ricerca di Oliveira di una conoscenza che possa fare a meno delle trappole della ragione non è però soltanto sua, ma si identifica con quella dell’autore stesso, Cortázar, anch’egli impegnato nel medesimo, titanico progetto. Tutta Rayuela, infatti, può essere considerata come un suo tentativo di destrutturare la società occidentale partendo dalle sue fondamenta, ossia la ragione, il logos, e dunque dal suo strumento principe: il linguaggio.

Be’, io non la critico in blocco [la società occidentale], non la respingo ingenuamente, come Rousseau rigettava la civiltà credendo che il buon selvaggio fosse l’essere perfetto. Ciò che io denuncio nella nostra cultura è la mostruosa ipertrofia di alcune potenzialità umane (per esempio la ragione) a scapito di altre che si collocano appunto ai margini dell’orbita razionale. Ma non sono un nemico della ragione, sarebbe puerile. Ciò che mi provoca inquietudine è constatare quotidianamente lo squilibrio risultante da un “umanesimo” di radice greca che in definitiva mette l’accento sul sapiens più che sull’uomo.

Da una lettera di Cortázar a Graciela de Sola, 7 gennaio 1964

La ricerca viene affidata, oltre che ad Oliveira, a un alter ego dell’autore, lo scrittore Morelli. Le sue note (che si trovano nella sezione Da altre parti e che dunque non si leggono nella prima modalità di lettura di Rayuela) sono un laboratorio retorico, volto non a cancellare l’uso del linguaggio ma a ripulirlo da schemi triti e ritriti; in quest’ottica si inserisce ad esempio il celebre capitolo 7, una maniera mai vista di descrivere un bacio. Quello di Morelli, di Oliveira e dunque di Cortázar non è perciò un rifiuto totale del logos (altrimenti, appunto, si cadrebbe nell’idea del buon selvaggio che l’autore argentino ripudia) ma un suo superamento, per accostare allo strumento ragione una serie di altri strumenti ad essa complementari. Quali siano questi strumenti ancora non è chiaro: in questo sta appunto la ricerca del libro, che finisce per condurre Oliveira verso la follia. Per avanzare nell’investigazione occorre infatti lasciarsi alle spalle millenni di evoluzione, causando un trauma potenziale per l’uomo che si imbarca nell’impresa; per evitare che questo accada anche al lettore, Cortázar sceglie in Rayuela di fare affidamento sul gioco, sull’ironia e sulla leggerezza.

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Cortazar
Cortázar (fonte: lindiependente)

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