La notte – di Michelangelo Antonioni

DI WASHOE

Tra i film più amati di Michelangelo Antonioni, La notte (1961) porta in scena la solitudine e l’incomunicabilità, mettendo a nudo attraverso un’analisi sagace l’angoscia esistenziale di un’intera società. Considerata vero e proprio cult, la pellicola ottenne numerosi riconoscimenti, come l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, mentre il regista si aggiudicò il Nastro D’Argento e il David di Donatello; una serie di premi impreziosita dall’apprezzamento di Alberto Moravia, tra i protagonisti del panorama letterario dell’epoca, e dall’inserimento nella lista dei film preferiti di un grandissimo del cinema come Stanley Kubrick.

La trama de La notte

La notte segue una giornata della vita di due coniugi, dalla visita ad un amico moribondo fino all’alba successiva, dopo un’elegante festa in casa di un ricco industriale brianzolo. Nel mezzo, un mare di nulla e insieme il racconto di un’epoca intera: il marito, Giovanni Pontano (Marcello Mastroianni), è uno scrittore che guarda alla letteratura con disillusione; la moglie, Lidia (Jeanne Moreau), vaga annoiata attraverso il proprio mondo e la propria esistenza. Il loro matrimonio è un rapporto ormai in putrefazione, a causa della noia e dell’impossibilità di esprimersi se non attraverso frasi vuote e prive di ogni senso logico.

Lidia (Jeanne Moreau) e Giovanni (Marcello Mastroianni)

L’accostamento a Moravia e De Chirico

Il modo di fare cinema di Antonioni si allontana spesso da quello a cui il grande pubblico ha fatto l’abitudine, e La notte non è da meno. Il tempo molto lento della narrazione e la trama asciutta e semplice danno vita ad un racconto estremamente poetico, introspettivo, capace di superare il concetto di cinema di intrattenimento per avvicinarsi alla pura opera artistica. È una sorta di ribellione contro la necessità di significare qualcosa, lontano da pretese didascaliche, che assomiglia per intenti e per linguaggio alla narrativa di quegli anni, come quella del già citato Moravia. Ma Antonioni prende in prestito anche dal linguaggio delle arti figurative, e il film può essere accostato per la gestione dello spazio all’opera di De Chirico: le forme danno corpo alle ombre, le ombre esaltano le forme, l’ambientazione interagisce con i personaggi e si riempie e si svuota al ritmo dello stato d’animo degli stessi, seguendone i desideri e le necessità. La colonna sonora del film è molto semplice ma estremamente funzionale, caratterizzata da un jazz che dà alla narrazione un tocco di malinconia.

L’importanza dell’amico moribondo

Marcello, Lidia e il loro amico malato Tommaso

Per capire il clima de La notte non si può prescindere dall’importanza della scena con cui si apre, ossia la visita all’amico malato, perché è in essa che Antonioni pone le basi per la caratterizzazione dei due personaggi principali. Non solo, infatti, la presenza dell’uomo resta costante nel sottofondo di tutto il film, persino quando non viene nominato; non solo la sua morte è l’elemento scatenante del confronto finale tra Giovanni e Lidia; ma la sua lucidità, la sua capacità di vedere oltre agli inganni e le bugie che si dicono ai moribondi, è il metro di paragone attraverso il quale si misura l’incoscienza dei coniugi Pontano, incapaci di vedere la propria condizione e di parlare con franchezza.

La morte dell’eros nel matrimonio de La notte

Ciò che non riescono a vedere, o meglio, ciò che scelgono di non vedere, come il bambino che di fronte al pericolo si copre gli occhi con la mano, è il binario morto a cui è giunto il loro matrimonio, ormai incancrenito dalla mancanza di stimoli e di sentimento. Con la scena della vasca da bagno, in cui Lidia, nuda tra la schiuma, chiede al marito la spugna e questi nemmeno la guarda, Antonioni mette bene in chiaro una cosa: la sessualità della coppia si è ridotta al lumicino, e con essa si è spento l’amore. Il successivo episodio del tabarin serve invece a creare l’ennesimo efficacissimo contrasto: da una parte i frigidi Pontano, dall’altra la seducente ballerina che, con le sue movenze sensuali, le membra scoperte poco alla volta, il vino rosso nel bicchiere, diventa il simbolo dell’eros perduto, a cui i due guardano con una certa nostalgia.

La ballerina del tabarin

L’incapacità di parlarsi e l’onestà intellettuale di Valentina

Nonostante tutti i problemi, però, Giovanni e Lidia non ne vogliono sapere di parlarsi per cercare di capire “cosa c’è che non va”: tutte le frasi che si rivolgono sono vuote, senz’anima, un’accozzaglia di parole messe in fila in maniera casuale. Per loro è impossibile comunicare, e nella situazione si inserisce Valentina (Monica Vitti), con cui entrambi si confrontano ma con cui la sola Lidia riesce ad avere un vero contatto. Giovanni, invece, se ne illude solamente, perché nonostante un bacio rubato la ragazza resta lontana anni luce, troppo diversa, troppo più lucida. Valentina riconosce infatti senza fingere la propria incapacità di esprimersi, è consapevole di non sapersi raccontare, di non potersi spiegare, e per questo sfugge bisogno di registrare i propri pensieri. Giovanni scrive e non cancella; Valentina registra la propria voce ma ripulisce il nastro poco dopo, in un atto cinico di onestà intellettuale che rappresenta in fondo una speranza per il suo futuro.

Valentina (Monica Vitti)

La peculiarità di Lidia

In un’analisi come sempre intelligente, Pasolini parlò dei personaggi de La notte come di persone che soffrono di un male che non sanno cos’è, «come l’ape non sa di essere ape, la rosa non sa di essere rosa, il selvaggio non sa di essere selvaggio». La descrizione è calzante per la maggior parte di essi, ma ce ne uno che sfugge a questa logica, almeno in parte: Lidia. La donna ha infatti il merito di rendersi perlomeno conto della propria malattia, che riesce ad identificare con l’angoscia; anche per lei, tuttavia, la consapevolezza è incompleta, poiché per quanto ci provi non riesce a stabilire l’origine di ciò che prova. La sua passeggiata per la città fino a Sesto San Giovanni assume dunque i contorni di un’indagine, la ricerca di sensazioni che possano aiutarla a vedere chiaro nelle profondità della propria anima. Solo al termine della notte, dopo aver visto la propria immagine riflessa nella tentazione di tradire il marito, ha una rivelazione, e si rende conto di come la fonte delle sue pene non sia altro che la mancanza d’amore, la morte del sentimento coniugale, la susseguente incapacità di divertirsi e di provare emozioni.

«Non c’era gelosia, in quello che ti ho detto prima. Neanche un po’. Il guaio è tutto qui.»

Lidia a Valentina

L’incoscienza di Giovanni

Al contrario della moglie, invece, Giovanni è come una di quelle api citate da Pasolini, perché è ignaro di tutto, incapace di percepire la propria angoscia; anche per lui il nuovo giorno è però portatore di una nuova lucidità, e quando Lidia legge una vecchia sua lettera d’amore si rende finalmente conto di non riconoscersi più, di avere perso il contatto con la realtà e con se stesso. Quel che è peggio è che nemmeno l’arte ha ormai il potere di connetterlo con il mondo, perso com’è in una crisi per cui la  scrittura si è ridotta a un mettere in fila le parole senza un perché. Il sesso convulso della scena finale è l’estremo suo tentativo di ritrovare ciò che ha perduto, l’amore, la sensibilità, la capacità di connettersi e di comunicare, usando come ultima risorsa la più antica e viscerale forma di espressione del mondo animale.

L’alba dopo La notte

Giovanni e Lidia lasciano la festa all’alba

L’incomunicabilità e la mancanza di sensazioni reali non sono però solamente una caratteristica dei personaggi principali, poiché gli altri non ne sono esenti, specie quella borghesia che parla per luoghi comuni e si spiega attraverso scarabocchi senza senso. Tutti sono preda dell’angoscia, del distacco dal mondo e dagli altri, nessuno escluso. In questo desolante scenario sociale, l’alba che conclude la notte (e La notte) non assume per Antonioni il significato di un nuovo inizio che redime dai peccati, ma è semplicemente la luce che consente di (e costringe a) guardarsi per quello che si è, senza i filtri dei balli, del cibo, dell’alcool. Con il sorgere del nuovo giorno tutti si accorgono della pena esistenziale che li attanaglia, anche lo spettatore, forse, e il boccone viene reso più amaro ancora dal fatto che Antonioni non offra alcuna soluzione, limitandosi a descrivere l’angoscia senza sapere cos’è, con l’unico obiettivo di obbligarci a guardarla in faccia, di accettarla come parte del gioco. Obiettivo pienamente raggiunto.

Monica Vitti con Michelangelo Antonioni (fonte: aziendenelterritorio)

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