Cronaca di una morte annunciata – Gabriel García Márquez

DI WASHOE

Gabriel García Márquez aveva la straordinaria capacità di creare romanzi diversissimi per temi e contenuti senza che la sua straordinaria identità ne risultasse annacquata, ma lasciando sempre sulle pagine la stessa inconfondibile impronta, lo stesso meraviglioso retrogusto di magia e di estrema soddisfazione nella bocca dei suoi lettori. Ovviamente non fa eccezione a questa regola Cronaca di una morte annunciata (1981), concettualmente un report giornalistico, concretamente un racconto coinvolgente, una fotografia del mondo caraibico in cui l’autore è cresciuto, una sottile analisi di temi millenari quali la morte, il destino, il caos, la ricerca della verità.

La vera vicenda dietro a Cronaca di una morte annunciata

García Márquez amava affermare, non senza una punta di orgoglio, come non ci fosse una sola riga nei suoi libri che non avesse avuto origine in un fatto reale; e se in alcuni dei suoi romanzi risulta difficile da credere (basti pensare al fantasma di José Arcadio Buendía legato ad un castagno in Cent’anni di solitudine), è più facile dargli ragione per quanto riguarda Cronaca di una morte annunciata. Non solo i fatti narrati sono verosimili, persino quelli più surreali, ma si conosce effettivamente la vicenda da cui trae origine, ossia un feroce omicidio che aveva segnato la gioventù dell’autore di Aracataca. L’assassinato si chiamava Cayetano Gentile, ed era un amico di García Márquez: immediatamente l’istinto di scrittore gli aveva rivelato la presenza nella vicenda di tutti gli elementi per un grande romanzo, ma la stesura aveva dovuto attendere. La madre di Gabo, infatti, gli aveva fatto promettere di non scrivere nulla sull’assassinio fino a quando fosse stata in vita la madre di Cayetano, con cui aveva uno stretto rapporto; quando, a distanza di trent’anni, la donna morì, ebbe il via libera per cominciare a mettere su carta una vicenda assurda che aveva decantato per più di un quarto di secolo.

La trama

Miguel Reyes Palencia, trasfigurato nel libro in Bayardo San Roman (fonte: ElMundo)

Rispetto ai fatti originali l’autore colombiano cambiò quasi tutti i nomi e romanzò in parte il contorno; tuttavia, la struttura portante della vicenda è la stessa. L’ambientazione è un paese non precisato della costa colombiana, il giorno è un lunedì; gli assassini sono i fratelli Pedro e Pablo Vicario, l’uomo che viene ucciso è il ricco e giovane arabo Santiago Nasar. Nelle ore precedenti al fattaccio la sorella dei Vicario, Ángela, era stata riportata a casa dopo la prima notte di nozze dal marito, Bayardo San Román, offeso dal fatto che la recentissima moglie non fosse vergine. La giovane aveva accusato della sua deflorazione Santiago, e i due fratelli si erano trovati costretti dalle regole non scritte della loro società a commettere un delitto d’onore per restaurare la dignità della famiglia. Essendo i due di buona indole, avevano fatto di tutto per dare la possibilità agli abitanti del villaggio di fermarli, in maniera da evitare la morte di un uomo da un lato e salvare la faccia dall’altro; tuttavia la connivenza della popolazione, la curiosità generale, il fatalismo atavico della Colombia caraibica e una serie di sfortunate coincidenze avevano fatto in modo che l’omicidio venisse portato a termine.

L’incipit e la struttura di Cronaca di una morte annunciata

«Il giorno che l’avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5 e 30 del mattino per andare ad aspettare il battello con cui arrivava il vescovo.»

Incipit del libro

Sulla falsa riga di quanto fatto da Jorge Luis Borges nel suo racconto La morte e la bussola, sin dall’incipit García Márquez svela sfacciatamente il finale, dando già un nome a quella che sarà la morte annunciata.  Una rivelazione così palese è però figlia di una scelta precisa, volta a stringere una sorta di patto tra autore e lettore che renda il romanzo un’esperienza diversa dal solito:  io ti racconto di come si è giunti all’omicidio, ma tu mi prometti di concentrarti sul percorso, sulle sue cause, di godere del viaggio e non del punto di arrivo. Dalle premesse viene fuori una perfetta struttura circolare, che parte dalla morte di Nasar e si ripiega su se stessa per ritornare dove era partita, evolvendosi tuttavia in maniera ampia, e occupando attraverso analessi e prolessi un arco temporale di trent’anni. Sempre però ruotando attorno allo stesso fulcro: l’omicidio, il punto fermo che rimane sempre al centro di tutto. Specie quando ci si rende conto di come probabilmente la morte di Santiago Nasar sia l’unico fatto davvero certo tra tutti quelli raccontati.

Jorge Luis Borges (fonte: artwave)

La ricerca della verità

Infatti, sebbene il romanzo abbia tutti gli elementi della cronaca giornalistica, dalla citazione di atti giudiziari alla raccolta di testimonianze, la ricerca della verità intrapresa dal narratore fin dalle prime pagine fallisce miseramente. Il punto di vista sull’omicidio è molteplice, costruito attraverso tante visuali quanti sono i testimoni, generando così una gran confusione generale:  le versioni contrastano tra di loro a volte in maniera molto netta (ad esempio quando si cerca di stabilire il meteo del giorno), distorte come sono dalla memoria, da antipatie personali, e da tutta un’infinita serie di soggettività. Una volta giunti al finale crollano dunque tutte le certezze che si avevano al principio, persino la colpevolezza di Santiago Nasar nella deflorazione di Ángela Vicario, e si scopre come la storia sia stata raccontata dall’autore non con lo scopo di scoprire qualcosa, ma piuttosto per espiare la colpa degli abitanti del paese attraverso il potere purificatore della narrazione.

La responsabilità collettiva

La città di Sucre (Colombia) dove è avvenuta la vera vicenda (fonte: Wikipedia)

La responsabilità degli abitanti nella morte di Santiago Nasar risulta evidente nella maniera in cui nessuno (o quasi) muova un dito per impedire un’intenzione delittuosa che i fratelli Vicario andavano sbandierando ai quattro venti, nella segreta speranza di venire fermati. Le motivazioni per l’immobilismo generale sono molteplici e vanno dalla negligenza alle antipatie personali, fino all’assurda convinzione che ritiene impossibile che Santiago sia l’unico in paese ignaro della situazione. Tuttavia, l’atteggiamento più grave resta quello delle istituzioni, civili e religiose:  l’alcalde del paese non crede necessario arrestare preventivamente i Vicario, e si sente soddisfatto semplicemente sequestrando loro i coltelli, non considerando l’eventualità che se ne procurino altri; il sacerdote, padre Amador, è invece tanto stupidamente attratto dalla visita del vescovo, il quale ironicamente nemmeno scende dal battello, da catalogare il pericolo della morte di un uomo come una questione secondaria. Nel loro atteggiamento si può forse leggere una critica di García Márquez verso le istituzioni colombiane, troppo spesso ree di negligenza, corruzione e  connivenza con le organizzazioni criminali che dominano il paese, e che da molti decenni ne impediscono lo sviluppo.

Caso e Destino

Cronaca di una morte annunciata non parla però solamente della responsabilità collettiva, ma si propone di andare oltre, cercando di dare un nome all’entità superiore che ha mosso i fili facendo sì che Santiago Nasar venisse ucciso. Con questo obiettivo García Márquez si muove tra due concetti contrapposti, quello di Caos e quello di Destino: il narratore intraprende fin da subito una dura lotta personale tra la propria tendenza razionale a catalogare certi fatti come delle casualità, e quella tipica della popolazione con cui si confronta a definirli come opera del Fato. Le domande che si pone sono molteplici: perché Santiago ha usato la porta principale e non quella che usava sempre, posta sul retro della casa? Perché il vescovo ha deciso di non scendere a terra, facendo sì che Nasar tornasse a casa prima del previsto? Perché, riassumendo, nessuno dei molti fatti che avrebbero potuto fermare l’omicidio è accaduto, e anche i più piccoli dettagli si sono incastrati in modo da far sì che coltelli dei Vicario raggiungessero il bersaglio? Se al principio il narratore sembra convinto della casualità dell’accaduto, a mano a mano che le testimonianze vengono snocciolate una sorta di idea fatalista si insinua tra le sue convinzioni, e lo lascia sospeso a metà. Come spesso accade, la letteratura pone domande ma non offre soluzioni, e il verdetto è rimandato alla sensibilità del lettore.

Cronaca di una morte annunciata e il realismo magico

Gli altri temi che si possono sviscerare da Cronaca di una morte annunciata sono moltissimi, chissà non tutti cercati dall’autore: il machismo latinoamericano, l’onore, la società, la violenza, l’amore come dimostrazione di orgoglio (e quindi caccia di falconeria, come recita l’epigrafe del libro); parlare di tutti in un solo articolo sarebbe troppo dispersivo, ed è meglio dunque lasciarli da parte. La presenza costante della morte, invece, è una delle caratteristiche che aiutano a stabilire l’appartenenza del romanzo al genere del realismo magico, di cui García Márquez è (poco fiero) portabandiera. Oltre ad essa, infatti, sono diversi gli elementi che portano ad accostare l’opera al filone, come le tipiche “animalizzazioni”, le iperboli, le metafore, l’interpretazione dei sogni, la divinazione, i fantasmi (come quello di Jolanda De Xius che sembra riappropriarsi dei propri mobili), o ancora l’odore del morto che resta attaccato ai fratelli Vicario. Persino in una vicenda raccontata secondo i canoni del giornalismo García Márquez è riuscito infatti ad inserire il fantastico, la magia, la suggestione, creando un’opera come sempre imaginifica ed immortale, che ha la straordinaria capacità di prendere nuova vita ogni volta che il libro viene aperto, per la prima o per la centesima volta.

«Non ricordo quando lessi per la prima volta questa Cronaca di una morte annunciata, però so che fu a Bogotá, già più di quindici anni fa, e ricordo, questo sì, lo strano ed impressionante effetto che mi portò a desiderare, ad ogni pagina, che qualcuno fermasse i fratelli Vicario, che si evitasse quella morte assurda che condannava tutti. Ma la morte già era annunciata; e ancora oggi, rileggendolo, torno a sentire che è possibile, nel mezzo della tragedia, che i coltelli non raggiungano Santiago, che qualcuno dei messaggeri arrivi in tempo e lui scappi, che la porta di casa sua si apra. E non succede. Santiago Nasar torna a morire. Mi chiedo se i lettori di questo libro, tra duecento o trecento anni, desidereranno lo stesso leggendo le sue pagine. Magari sì. Quello che è certo è che Santiago Nasar e la sua morte annunciata saranno allora una delle poche cose della nostra epoca che ancora saranno vive.»

Santiago Gamboa (nella prefazione ad un’edizione del libro)
Gabriel García Márquez (fonte: liberopensiero)

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