Il Barone Rampante – Italo Calvino

DI WASHOE

La storia di un nobil uomo, un barone, che un giorno, per un capriccio, sale su di un albero e non scende mai più. Sembra il principio di una commedia nonsense ma è in realtà la sinossi, ridotta all’osso, di uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento: Il Barone Rampante di Italo Calvino. Una storia fantasiosa, a tratti anzi fantastica, che racconta di un uomo che sembrava folle ma che forse aveva semplicemente capito tutto.

La storia

Non vuole mangiare un piatto di lumache. È questo il motivo per cui il dodicenne Cosimo Piovasco di Rondò decide, il 15 giugno 1767, di salire sugli alberi; una motivazione che sembra di per sé un capriccio ma che in realtà serve a nascondere la verità: è infatti il pretesto per allontanarsi dalla famiglia quel tanto che gli è sufficiente per non esserne più disgustato. Arrampicandosi sugli alberi, in un territorio che sarebbe stato suo e suo soltanto, Cosimo fugge dalle manie ambiziose del padre, dai modi bruschi della madre, dall’isteria della sorella, dalla mancanza di coraggio del fratello, e va a prendersi quegli spazi in cui il suo animo straripante si sarebbe potuto sviluppare nella sua pienezza, lontano dalle costrizioni famigliari. Nessuno sembra comprendere nulla di tutto ciò, tanto che il padre, vedendolo arrampicarsi per la prima volta sull’elce del loro giardino, dà già per scontato che prima o poi sarebbe sceso:

«Quando sarai stanco di star lì cambierai idea» gli gridò.

«Non cambierò mai idea,» fece mio fratello, dal ramo.

«Ti farò vedere io, appena scendi!»

«E io non scenderò più.» E mantenne la parola.

Il Barone Rampante – Cap. I

Effettivamente Cosimo non toccherà terra per il resto dei suoi giorni (e oltre), e guardando il mondo dall’alto vivrà quella lunga serie di avventure, amorose e non, che contribuiranno a rendere la sua esistenza del tutto eccezionale.

Da Cosimo di Roger Olmos, Logos Edizioni.

Lo stile e il sapore fiabesco

Il Barone Rampante, come del resto tutta quella sezione della produzione calviniana di cui fa parte, è un romanzo dal tono umoristico: la storia di Cosimo di Rondò viene raccontata quasi come se il narratore non si rendesse conto della sua straordinarietà, in totale leggerezza; il suo sapore finisce dunque per essere quello di una fiaba d’altri tempi, ed in effetti l’autore stesso ne parla così:

Il vero modo d’accostarci a questo libro è quindi quello di considerarlo una specie di Alice nel paese delle meraviglie o di Peter Pan o di Barone di Münchhausen, cioè di riconoscerne la filiazione da quei classici dell’umorismo poetico e fantastico, da quei libri scritti per gioco, che sono tradizionalmente destinati allo scaffale dei ragazzi.

Prefazione di Calvino con lo pseudonimo di Tonio Cavilla (anagramma del suo nome) ad un’edizione del 1965

Chiaramente, però, una lettura “fiabesca” non è sufficiente a cogliere la grandezza dell’opera, che può, come accade per la quasi totalità dei capolavori della letteratura, essere letta su più livelli: quello di chi considera la lettura esclusivamente uno svago e quello di chi desidera cogliere tutte le implicazioni intellettuali che Calvino ha abilmente celato tra una pagina e l’altra.

L’espediente nella scelta del narratore

Interessante, oltre allo stile, è anche la scelta del narratore, che non è onnisciente: è infatti il fratello minore del protagonista, Biagio Piovasco di Rondò, che vuole riferire al lettore esattamente ciò che Cosimo stesso gli ha raccontato o le dicerie su di lui che ha sentito qua e là. Si tratta di un espediente che permette a Calvino di rendere credibile anche una storia tanto straordinaria come quella del barone, dando una spiegazione molto semplice per la sua peculiarità: tutto ciò che c’è di inverosimile è dovuto alle aggiunte fatte da Cosimo in un suo eccesso di vanità. Attraverso questo stratagemma, dunque, il lettore è portato a credere che tutto quanto non sia palesemente impossibile possa essere invece realmente accaduto.

La vita sugli alberi

Ma torniamo alla storia di Cosimo. Una volta salito sugli alberi, il baronetto si costruisce la sua dimensione quotidiana scorrazzando sulle piante di Ombrosa (la città immaginaria in cui vive con la famiglia) in una armoniosa convivenza con la Natura, che ora piega al suo volere, ora asseconda con rispetto, sempre e comunque seguendone il ritmo millenario. Con l’aumentare dell’esperienza e delle conoscenze Cosimo rende sempre più confortevole la propria vita sugli alberi e soprattutto s’interessa a cose e persone alle quali non avrebbe mai fatto caso restando a terra, dove sarebbe stato inevitabilmente prigioniero della sua condizione nobiliare. E così il giovane Piovasco di Rondò s’intrattiene con dei ladri di frutta, con un gruppo di esuli spagnoli, con un brigante con la passione della letteratura, e s’interessa di ornitologia, di idraulica, di politica, di filosofia; ma soprattutto attira l’attenzione dell’unico vero amore della sua vita: Violante d’Ondariva.

La storia d’amore con Viola d’Ondariva

Cosimo conosce Violante, che lui e per tutti è semplicemente Viola, il giorno stesso in cui compie la sua fatidica scelta di vita: intrufolandosi in esplorazione nel giardino dei vicini, i Marchesi d’Ondariva, la trova intenta a dondolare su di un’altalena e a mordicchiare distrattamente una mela. L’animo volubile della ragazzina, la sua aria di superiorità e la sua energia lo colpiscono sin da subito, tanto che il loro primo incontro si risolve in un suo lungo tentativo d’impressionarla; tentativo che va a segno, sebbene la marchesina riesca malignamente a convincerlo di aver fallito nel suo intento. Purtroppo però Viola viene presto mandata in collegio e le loro strade sembrano dividersi per sempre; tuttavia, trascorsi molti anni in cui nessuno dei due era riuscito a dimenticare l’altro, la d’Ondariva piomba nuovamente nella sua vita e s’accende tra di loro una passione totalizzante.

Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.

Il Barone Rampante – Cap. XXI
Da Cosimo di Roger Olmos, Logos Edizioni.

Viola come simbolo del Romanticismo

Viola è l’unica persona al mondo capace di disorientare Cosimo e di fargli perdere quella razionalità per cui era conosciuto (pur vivendo sugli alberi); la sua seconda e definitiva partenza rappresenta dunque uno shock troppo forte per lui, che cade inevitabilmente prigioniero della follia. Malgrado tutto, però, il tempo che passa con lei è senz’altro il periodo più felice della sua vita, e durante la storia d’amore Cosimo prorompe spesso in manifestazioni esagerate di contentezza che mai gli erano appartenute; l’importanza del personaggio, però, non si esaurisce qui. Viola è infatti nel romanzo il simbolo dello spirito romantico, che segue le passioni, le emozioni, gli istinti e tutto quanto di irrazionale c’è nell’uomo, e si contrappone in questo alla ragione che guida le azioni Cosimo e che ne fa, fondamentalmente, un illuminista.

Cosimo, la rappresentazione dell’Illuminismo

L’essere illuminista di Cosimo è ben evidente innanzitutto nella sua profonda apertura verso la novità, dalla quale non fugge ma che anzi fa propria, plasmandola secondo le sue esigenze e rendendola una spinta verso il miglioramento, e nel suo animo di uomo del proprio tempo, non a diretto contatto con il mondo ma non per questo distaccato da esso, tanto da essere portato ad avere il desiderio di confrontarsi con altri grandi intellettuali, come Diderot e Rousseau, in una ricerca costante del sapere e del dialogo. Sarebbe riduttivo però dire solamente che Cosimo sia un illuminista, poiché, guardando al romanzo nella sua interezza, si può dire in un certo senso che il Barone di Rondò rappresenti addirittura l’Illuminismo stesso: egli è infatti la ragione che guarda la realtà dall’alto, e che si allontana dal mondo materiale con il solo scopo di svilupparsi in tutto il suo potenziale e modellare l’universo secondo i suoi principi. In questo senso va letta la capacità di Cosimo di dirigere il lavoro delle altre persone, come quando si prodiga per spegnere un grande incendio che sta divorando il bosco di Ombrosa; in quei frangenti si trasforma infatti nell’uomo illuminato che guida le masse verso un miglioramento collettivo, o per dirla come Leonardo Sciascia è: «una sentinella della ragione, vigile e scattante contro tutti i mostri della natura e della storia» (Citazione da Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari (1955-1989), L. Sciascia). Alla luce di questo, forse, la pazzia che s’impossessa di lui dopo l’ultimo addio di Viola può essere letta come un’immagine del declino dell’Illuminismo stesso, che nell’Ottocento si è rivelato inadeguato a fare i conti con le passioni umane e che è per questo stato soppiantato dal culto dell’irrazionale del Romanticismo. 

Il motivo per restare sugli alberi

Per tutto il racconto resta però non chiaro quale sia il vero motivo per cui Cosimo rimane sugli alberi, e forse, in fondo, non lo sa nemmeno lui; Biagio s’interroga lungamente in merito, ma gli episodi della vita del fratello finiscono per portarlo su strade tanto diverse l’una dall’altra da indurlo a rinunciare all’idea di risolvere il rompicapo. Se da un lato sono chiare infatti le circostanze che l’hanno spinto a salire per la prima volta sull’elce (le lumache e l’oppressione famigliare), dall’altro sono infinite quelle che possono averlo portato a restare su: la volontà di fuggire dai doveri di baronetto, la ricerca della libertà, la voglia di distinguersi dalla massa, il desiderio di impressionare Viola, la voglia di vedere il mondo da una prospettiva differente da quella di tutti gli altri. Ciò che colpisce di più, in ogni caso, è la determinazione di Cosimo nel portare avanti quel suo proposito all’apparenza tanto insensato, ed è questo in realtà a renderlo veramente eccezionale, ancor più del vivere sugli alberi: mai un uomo ha dimostrato tanto attaccamento, tanta fede nei confronti dei propri ideali, e questo secondo lo stesso Calvino costituisce un esempio per tutti: «La prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella.»

Da Cosimo di Roger Olmos, Logos Edizioni.

Un invito all’originalità

Il fatto che l’autore parli di una “prima” lezione sottintende che ce ne siano altre, che sono però ben più nascoste e forse per essere scovate necessitano di cento e più letture; la grandezza delle opere di Calvino sta anche in questo, ossia nella pluralità di significati e nella soggettività degli stessi, che fa sì che qualcosa di evidente per qualcuno possa essere oscuro per qualcun altro (e viceversa). Tuttavia, in una società moderna che crea omologazione paradossalmente anche in coloro che vogliono a tutti i costi mostrarsi alternativi, Il Barone Rampante diventa un invito a ricercare un’originalità sincera, a pensare fuori dagli schemi comuni, a non curarsi di quello che possono pensare le persone attorno a noi, per poter avere uno sguardo privilegiato sul mondo che ci circonda. Cosimo non è originale perché vuole farsi vedere differente dal resto del mondo, ma perché segue un impulso interiore che lo spinge a salire sugli alberi e a non scendere mai più, come del resto ha fatto Calvino, che attraverso la letteratura si è elevato al di sopra di tutti e, dall’alto, ha raccontato l’umanità come lui solo ha saputo fare.

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