Il sentiero dei nidi di ragno – Italo Calvino

DI WASHOE

Un libro figlio del fervore di un’epoca; è così che Calvino stesso spiega la genesi del suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, nato come espressione della sua esperienza tra le file della Resistenza. L’autore racconta infatti, nel prologo aggiunto all’edizione del 1964, come il libro sia stato scritto quasi sotto la spinta di un bisogno impellente: narrare ciò che aveva appena vissuto. All’epoca, specie negli anni immediatamente successivi alla guerra, quando i ricordi erano ancora freschi e si manteneva intatto il sapore dolce della vittoria, coloro che avevano preso parte alla lotta partigiana sentivano di avere il gravoso compito di diventare coscienza storica, e di tramandare alle generazioni future i fatti di cui erano stati testimoni diretti. Calvino non fu da meno, ma qualche anno dopo si rammaricò di aver seguito così prematuramente quell’impulso profondo (il romanzo uscì nel 1947): non aveva dato alla memoria il tempo di maturare a dovere nel suo cuore. Egli sosteneva d’essersi così bruciato l’opportunità di scrivere quello che chiama “Il romanzo che tutti avevamo sognato”: un romanzo capace di raccontare la Resistenza così com’era, con il suo furore ed i suoi valori fondanti. Avrebbe insomma desiderato scrivere il libro che diede alla luce Beppe Fenoglio, capace, con la sua opera postuma Una questione privata, di dare un coronamento al lavoro di tutti coloro che avevano provato ad esprimere a parole il vero spirito della Resistenza. Insomma, nella sua prefazione Calvino accusa il se stesso più giovane di essere caduto nell’errore di lanciarsi troppo presto in un’avventura così grande; il suo è però probabilmente un giudizio oltremodo severo poiché, sebbene all’epoca fosse ancora acerbo, quello studente ventiquattrenne ci ha lasciato un racconto di indubbio valore, se non altro per la sua originalità. Esso si discosta infatti dagli altri romanzi sul tema, perché Calvino, lungi dal volersi lanciare in un elogio sfacciato o addirittura irrealistico della Resistenza, come invece hanno fatto altri autori, dipinge una divisione partigiana di scappati di casa, e lo fa attraverso gli occhi di un bambino.

Il protagonista e l’inizio della storia

Al centro della storia de Il sentiero dei nidi di ragno si trova Pin, un bambino vivace, orfano di madre, abbandonato dal padre, che vive a Sanremo assieme alla sorella prostituta, detta la Nera di Carruggio Lungo. Pin è caratterizzato da una parlata infarcita di termini volgari, dalla tendenza a canzonare le persone usando i peggiori improperi e da un vasto repertorio di canzoni a sfondo sessuale di cui non conosce nemmeno il significato. Grazie alle sue discutibili doti viene spesso accolto tra gli adulti, che gli chiedono di cantare per loro o lo provocano affinché si esibisca in qualche sparata di dubbio gusto; si tratta però pur sempre un bambino e per questo lo tengono fuori dalle questioni importanti, causando così in lui un forte senso di esclusione. La disinvoltura con cui tratta con gli adulti e i suoi comportamenti maleducati, tuttavia, fanno in modo che venga spesso tenuto fuori anche dai giochi dei suoi coetanei; è dunque come se si trovasse in una terra di nessuno, intrappolato nello stretto spazio che esiste tra il mondo dei piccoli ed il mondo dei grandi. Per questo si rifugia spesso in un universo tutto suo, dove può smetterla di celare la propria solitudine attraverso l’irriverenza e può finalmente permettersi di essere bambino. È un luogo nascosto, conosciuto a lui e a lui soltanto: il sentiero dove fanno il nido i ragni. È qui che all’inizio della storia nasconde la pistola P38 rubata ad un marinaio tedesco, e il luogo e l’arma diventano l’unico vero suo punto di riferimento nei momenti in cui si trova sballottato in faccende più grandi di lui. Per tutto il romanzo Pin è velatamente alla ricerca di un amico a cui mostrare quel posto incantato; solo alla fine, dopo averne passate di cotte e di crude, riuscirà a trovare la persona degna di un così grande onore.

La trama

Il furto della pistola è centrale nel racconto, poiché è il punto di rottura che fa sì che il labile equilibrio della vita di Pin crolli all’improvviso: il marinaio lo denuncia e le forze nazifasciste lo spediscono in prigione, dove viene interrogato e percosso nel tentativo di estorcergli qualche informazione riguardo alle forze partigiane di cui credono faccia parte; lui però non ne sa nulla e non risponde alle domande, e viene per questo mandato “a riflettere” nella sua piccola cella. In galera incontra Lupo Rosso, un combattente sedicenne già famoso per il suo coraggio e la sua abilità. Insieme i due riescono a fuggire, e Pin comincia a vedere in lui l’amico che stava cercando, l’uomo degno di conoscere il posto dove fanno il nido i ragni; tuttavia Lupo Rosso è costretto a lasciarlo solo in un nascondiglio, a causa di un incontro inaspettato con una pattuglia di tedeschi. Pin vede l’accaduto come un ennesimo abbandono, e mentre vaga per la campagna si imbatte in Cugino, partigiano grande e grosso dal cuore di bambino. Questi lo conduce presso la sua divisione, composta dagli scarti della lotta partigiana: uomini grotteschi, spesso cattivi, senza principi o al contrario troppo ancorati alle proprie posizioni.

Una fotografia di un giovane Italo Calvino

L’ambientazione e il linguaggio

L’ambientazione della storia è costituita fondamentalmente da due paesaggi differenti ma fortemente interconnessi: da una parte Sanremo, paese natale dell’autore, e dall’altra il suo entroterra, zona di contadini e di pastori. La città è in realtà descritta solo nella sua porzione più antica, fatta di carruggi, botteghe artigiane e case di pietra; sembra che Calvino abbia voluto ignorare di proposito tutta la zona turistica di Sanremo, come se la considerasse un universo a parte, privato del suo legame con lo spirito antico della riviera ligure e per questo immeritevole di essere raccontato. L’entroterra è invece mostrato attraverso i suoi sentieri, i suoi cascinali, i suoi campi di garofano; tratteggiandolo con pennellate veloci, senza perdersi nella descrizione dei dettagli, l’autore riesce a trasmetterne con efficacia l’essenza, i colori e i profumi. Strettamente legato al paesaggio è il linguaggio, impastato, specie nel discorso diretto, di termini dialettali, che contribuiscono a dare sfumature di realismo ai personaggi che popolano la narrazione.

I partigiani de ‘Il sentiero

I partigiani dipinti ne Il sentiero dei nidi di ragno sono figure caricaturali, con i tratti deformati fin quasi a rasentare il surrealismo; dal cuoco Mancino, fervente comunista che non fa altro che parlare di rivoluzione, a Pelle, con un feticismo esagerato per le armi e lo spirito del traditore; dal pigro Zena il Lungo detto Berretta-di-legno, uomo di destra che non si cura d’essere in una divisione partigiana di sinistra, al Dritto, il capo del distaccamento, che si abbandona volentieri ai suoi impulsi primordiali. Calvino si è detto pentito di aver deformato in quel modo le persone che ha incontrato durante la sua esperienza nella Resistenza, ma non tutti i personaggi sono stati tratteggiati come fossero macchiette. Tra quella marmaglia colorita spicca la figura del commissario Kim, attraverso il quale Calvino riporta alcune riflessioni sulla Resistenza che aveva scambiato con un amico durante lunghe chiacchierate notturne. Nella parte dedicata a questo personaggio, infatti, Kim si lancia in un soliloquio in cui riflette sulle motivazioni della guerra, sul furore interiore dei soldati e sul significato della storia; è un capitolo differente, e sembra quasi stonare con le altre pagine del romanzo: è come se Calvino si fosse preso un momento per sé, per esprimere le proprie idee, e avesse deciso a questo scopo di mettere in pausa la narrazione.

Il dolce finale

La storia si conclude con un’immagine molto bella e profondamente romantica. Pin, dopo averlo cercato per tutto il romanzo, riesce finalmente a trovare l’amico a cui mostrare il suo sentiero dei nidi di ragno: si tratta di Cugino, con il quale, grazie all’animo fanciullesco dell’uomo, sente di avere molte cose in comune. Nonostante questi avesse probabilmente ucciso sua sorella (in combutta con i fascisti), lo giudica degno di conoscere il suo segreto: finalmente bambino e finalmente felice, mostra il suo luogo più intimo a quell’omone grande e grosso; è un gesto simbolico, attraverso il quale ci viene mostrato come per la prima volta Pin permetta a qualcuno di entrare nel suo giovane cuore ferito, reso inaccessibile fino a quel momento da un profondo senso di abbandono. Le ultime righe ci dipingono un piccolo momento di tenerezza in una notte in cui la Resistenza sembra lontana, ridotta quasi a un rumore in sottofondo, con i due amici che camminano mano nella mano in un turbinio di piccole lucciole luminose.

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