Memorie dal sottosuolo, di Fëdor Dostoevskij

DI WASHOE

Memorie dal sottosuolo è considerato uno spartiacque per la produzione letteraria di Fëdor Dostoevskij. Non è un caso, dunque, che la sua pubblicazione coincida con un momento chiave nella vita dell’autore: nell’anno della sua uscita, il 1864, a distanza di poche settimane muoiono prima la moglie e poi il fratello Michail, dal quale eredita debiti ingenti che lo riducono sul lastrico. E forse sono proprio le difficoltà del periodo a indurre Dostoevskij a cambiare la propria prospettiva sul mondo e sulla letteratura, aprendo la strada alla sensibilità che la farà da padrone nei suoi grandi romanzi. Sensibilità a cui “Memorie dal sottosuolo” già accenna in maniera chiara, ed è proprio questa sua caratteristica che rende il testo una sorta di anticamera al grande universo dostoevskiano.

Il contenuto

Il romanzo si divide in due sezioni. La prima, intitolata Il sottosuolo, è un’introduzione sotto forma di monologo alla mente malata del protagonista, un uomo senza nome, di cui non si conosce quasi nulla. A parlare è il protagonista stesso: egli esprime in maniera esagitata le proprie idee sulla società, la libertà, l’etica e altre grandi questioni umane, ritenendole necessario preambolo alle memorie che seguiranno. I ricordi veri e propri sono infatti confinati nella seconda parte, intitolata A proposito della neve fradicia: poiché ritiene di essere l’esemplificazione perfetta delle tesi vomitate nella prima sezione, il protagonista racconta alcuni fatti della sua vita con l’obiettivo di corroborare le sue idee, e forse di cercare un po’ di comprensione. Narra in particolare due episodi scollegati: il primo coinvolge un militare con cui ha una contesa unilaterale, mentre il secondo ha tra i personaggi alcuni vecchi conoscenti e una giovane prostituta; ed è sul rapporto con la povera ragazza, e sulle riflessioni ulteriori che ne scaturiscono, che il protagonista conclude le sue memorie.

Il sottosuolo

La prima parte è quella che offre gli spunti più interessanti in relazione all’opera di Dostoevskij. Il lungo monologo, seppur denso di ripetizioni, esagerazioni e incoerenze, imposta infatti riflessioni profonde che l’autore riprenderà spesso, in altri momenti e in altri testi. Nelle Memorie, tuttavia, il pensiero di Dostoevskij ha ancora una forma piuttosto nebulosa; ciò che è interessante notare è però la necessità di indagine che soggiace a queste pagine, il bisogno di interrogarsi e di mettere in discussione i paradigmi della propria società, di una Russia che in quegli anni si sta aprendo all’Occidente. Per farlo ha bisogno di allontanarsi da tutti canoni, e quindi anche dai personaggi stereotipati, da quelli cioè che ben si incastrano nei ruoli limitati offerti dalla società. Per questo, per tutta la prima parte il personaggio narratore non ha né forma né sostanza: resta un simbolo invisibile, una voce che fluttua nell’aria, un fantasma che parla al lettore da un mondo che non è il nostro. Il suo mondo è infatti un mondo sotterraneo: il mondo del sottosuolo. Che però non ha nulla a che vedere con le grotte e le fogne tanto care a Victor Hugo: è il sottile interstizio appena al di sotto delle assi del pavimento, dove non c’è posto per l’uomo (e dunque per la ragione) e i topi prosperano sfuggendo al controllo degli abitanti della casa; o dove secondo il folklore russo risiedono gli spiriti maligni. Un universo che rimane sempre attiguo a quello visibile della superficie, di cui raccoglie le briciole, le acque di scolo e le nefandezze, e che in un modo subdolo ma percettibile tocca e condiziona.

La discesa nel sottosuolo

Con Memorie dal sottosuolo Dostoevskij per la prima volta scende in questo spazio nascosto, con il desiderio di indagarlo e di comprenderne le dinamiche, per abbracciare anche quelle parti dell’uomo che si preferisce tenere nascoste, perché ci spaventano, ci disgustano, ci generano orrore.

“Nei ricordi di ogni uomo ci sono certe cose che egli non svela a tutti […]. Ma ve ne sono, infine, di quelle che l’uomo ha paura di svelare perfino a se stesso, e ogni uomo perbene accumula parecchie cose del genere.”

Fëdor Dostoevskij – Memorie dal sottosuolo

Il sottosuolo di Dostoevskij è infatti quello che Freud più avanti avrebbe chiamato il subconscio, ossia quel lato dell’animo umano che non si costituisce di ragione (di logos), ma di desiderio, impulso, volontà. L’autore russo vuole sporcarsi le mani, scavare nel fango, perché per quanto l’uomo abbia tentato di negare la sua esistenza, il sottosuolo è parte integrante del suo essere, impegnato da sempre in un’eterna lotta con la ragione che lo vede a volte sconfitto e a volte grande vincitore.

Sigmund Freud

Il rifiuto del positivismo

Dostoevskij si trova dunque in contrasto con la contemporanea visione positivista, la quale vuole ridurre l’uomo a puro elemento ragionatore che deve agire soltanto seguendo la convenienza, seguendo cioè l’unica strada indicata dall’intelletto. Ciò che si chiede Dostoevskij è come sia possibile che, sebbene l’uomo abbia le facoltà intellettuali per individuare il proprio tornaconto, troppo spesso si rifiuti di perseguirlo (come ci si aspetterebbe da un essere pienamente razionale) e si lasci andare a comportamenti a volte inspiegabili, che lo portano anche consapevolmente a cadere nel delitto o nell’autodistruzione. La motivazione, secondo l’autore russo, è da ricercarsi nella sua parte più oscura, nascosta, in quell’interstizio brulicante di ratti e di scarafaggi che è il sottosuolo, il quale risponde alle imposizioni della ragione contrapponendovi due forze profondamente interconnesse: la volontà e il desiderio di libertà.

“Oh, dite, chi è stato il primo a dichiarare, chi il primo a proclamare che l’uomo commette infamie solo perché non conosce i suoi veri interessi […]? Oh bambino! Oh puro, innocente fanciullo!”

Fëdor Dostoevskij – Memorie dal sottosuolo

Ragione, volontà, libertà

Questi sono i moventi fondamentali che stanno dietro alla ribellione contro la ragione, i principali ostacoli (secondo lui, insormontabili) all’insediamento della cultura positivista nell’universo umano. Volontà e ragione, infatti, non sono compatibili, ma si escludono a vicenda. L’una annulla l’altra: se è la ragione a guidare le azioni degli uomini, allora essi perdono la facoltà di volere e la proiettano all’esterno, su un’entità aliena identificata in epoca greca con il logos. Non sono più loro a determinare le proprie azioni, ma è qualcos’altro, un essere terzo a cui viene concesso il pieno controllo sulla singola persona.

“E tutto ciò per un insulsissimo motivo […]: e cioè perché l’uomo, sempre e comunque, chiunque fosse, ha amato agire così come voleva, e non come gli ordinavano la ragione e il tornaconto; infatti si può volere anche contro il proprio tornaconto, anzi talvolta decisamente si deve.”

Fëdor Dostoevskij – Memorie dal sottosuolo

Se l’uomo sceglie di seguire la ragione sta dunque rinunciando alla propria libertà, perché l’intelletto prevede sempre una strada e una soltanto: la più diritta possibile verso un obiettivo prefissato. L’uomo diventa un burattino, il treno che corre sulla rotaia, la puntina nel cilindro di un organetto.

“E non basta: subito si trasformerà da uomo in puntina d’organetto o qualcosa del genere; perché cos’è l’uomo senza desideri, senza libertà e senza volontà, se non una puntina nel cilindro di un organetto?”

Fëdor Dostoevskij – Memorie dal sottosuolo
Fëdor Dostoevskij

Non è ignoranza

Il positivismo, trascurando questa verità, non può spiegare certi comportamenti se non con l’ignoranza: l’uomo che sbaglia lo fa perché non sa dove stia il proprio vantaggio. Eppure, com’è possibile che anche uomini colti possano arrivare a compiere delitti, o possano cercare volutamente il proprio dolore come il barone von Masoch? La vera spiegazione, secondo Dostoevskij, sta nel sottosuolo, ossia nell’esistenza di una volontà che non vuole sottomettersi e di un desiderio di libertà che cercherà sempre di affrancare l’uomo da ogni tipo di giogo, fisico o intellettuale.

“Io ci credo, io ne rispondo, perché tutto l’umano agire mi sembra consistere di fatto soltanto in questo: che l’uomo dimostri incessantemente a se stesso d’essere un uomo e non una puntina!”

Fëdor Dostoevskij – Memorie dal sottosuolo

L’Uomo del Sottosuolo

A riprova della validità di queste tesi il narratore racconta alcuni fatti del proprio passato. Nella seconda parte la voce prende corpo e si trasforma in una persona in carne ed ossa, sebbene il nome non venga comunque rivelato; un uomo solitario, cattivo, inetto, un antieroe incapace di operare verso la propria felicità. Il protagonista è un vero “Uomo del Sottosuolo”: in lui le componenti umane che stanno al di sotto delle assi del pavimento assumono un netto predominio su tutto il resto. Ciò comporta la sua emarginazione totale: incapace di sottostare alle regole sociali, troppo impegnato ad esasperare la propria indipendenza e a non prostituire la propria libertà, l’Uomo del Sottosuolo allontana in malo modo chiunque gli si avvicini, andando contro anche alla propria necessità di compagnia e di contatto con l’altro. Si comporta in maniera opposta a quanto suggerirebbe la ragione, e manda a monte ogni possibile spiraglio di felicità: egli è la riprova (esasperata, ma l’esagerazione è carattere peculiare di Dostoevskij) di come l’uomo non potrà mai seguire pienamente l’intelletto, perché ci sarà sempre un sottosuolo a suggerirgli di fare il contrario; egli sceglierà sempre, in ultima istanza, la libertà, anche se questa dovesse significare per lui dolore e sofferenza.

“E se l’uomo non amasse solo il benessere? Forse ama esattamente altrettanto la sofferenza? Forse la sofferenza gli è vantaggiosa esattamente quanto il benessere?”

Fëdor Dostoevskij – Memorie dal sottosuolo

Non è un rifiuto della ragione

Dostoevskij non prospetta, tuttavia, un completo rifiuto della ragione, che è invece necessaria a una vita in armonia tra gli uomini. Quello contro cui si scaglia è l’esatto opposto, il rifiuto positivista del sottosuolo, il suo sistematico e criminale annullamento. Eppure, per lo scrittore russo, lì si trova ciò che dà sapore alla vita umana, ciò che le dà quell’imprevedibilità che la rende unica. Solo scendendo (anche) al di sotto del pavimento, tra quei topi che causano tanto orrore, possiamo abbracciare la totalità della nostra natura. Dostoevskij ha il merito di essere stato il primo grande scrittore ad interessarsene davvero, a cercare di raccontare il subconscio umano, di sviscerarlo, di descriverlo; e, dato che si tratta del suo primo tentativo in quella direzione, Memorie del sottosuolo diventa opera fondamentale, da cui partire per avventurarsi nella grande letteratura dostoevskijana.

“Vedete, signori, la ragione è una buona cosa, questo è indubbio, ma la ragione è solo ragione e soddisfa soltanto la facoltà raziocinante dell’uomo, mentre la volontà è manifestazione di tutta la vita, cioè di tutta la vita umana, sia con la ragione che con tutti i pruriti.”

Fëdor Dostoevskij – Memorie dal sottosuolo

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