Ambrose Bierce – Un avvenimento presso il ponte di Owl Creek

(fonte: fineartamerica)

Traduzione a cura di Washoe

Il racconto è la traduzione di un celebre scritto del 1890 di Ambrose Bierce, tra i più antologizzati nella storia della letteratura americana. Trovate il testo in lingua originale qui.

I

Un uomo si ergeva su di un ponte della ferrovia nel nord dell’Alabama, guardando in basso verso l’acqua che scorreva veloce a sei metri di distanza. Le mani dell’uomo erano dietro la sua schiena, i polsi legati con una corda. Una fune gli cingeva stretta il collo. Era assicurata a una robusta trave a croce sopra la sua testa, e il tratto che non era in tensione ricadeva all’altezza delle sue ginocchia. Alcune tavole giacevano appoggiate sulle traversine dei binari a formare un piedistallo per lui e per i suoi carnefici – due soldati semplici dell’esercito Federale, diretti da un sergente che nella vita civile forse poteva essere uno sceriffo. A breve distanza sulla medesima piattaforma temporanea si trovava un ufficiale nella divisa del suo rango, armato. Era un capitano. A ciascuna estremità del ponte una sentinella stava in piedi con il suo fucile nella posizione conosciuta come “di supporto”, ossia posto verticalmente di fronte alla spalla sinistra, con il cane appoggiato all’avambraccio, lasciato dritto attraverso il petto – una posizione formale e innaturale, che impone un portamento eretto del corpo. Non sembrava fosse dovere di questi uomini sapere cosa stesse succedendo al centro del ponte; semplicemente bloccavano le due estremità del tavolato che lo attraversava.

Oltre ad una delle due sentinelle non c’era nessuno in vista; la strada ferrata correva diritta verso una foresta per un centinaio di metri, poi curvava e si perdeva alla vista. Senza dubbio c’era un avamposto un po’ più avanti. L’altra sponda del fiume era un campo aperto – un dolce pendio sormontato da una palizzata di tronchi d’albero posti in verticale, con fori per i fucili e una singola feritoia attraverso la quale faceva capolino la bocca di un cannone d’ottone, diretta verso il ponte. A metà della china tra il ponte e il forte c’erano gli spettatori – una singola compagnia di fanteria in riga, a riposo, il calcio dei loro fucili appoggiato al terreno, la canna inclinata leggermente all’indietro e appoggiata alla spalla destra, le mani incrociate sopra la cassa. Un luogotenente stava in piedi alla destra della linea, la punta della spada appoggiata al terreno, la mano sinistra a riposo sopra la destra. Ad eccezione del gruppo di quattro uomini al centro del ponte, nessuno si muoveva. La compagnia stava di fronte al ponte, lo sguardo fisso come se i soldati fossero di pietra, immobili. Le sentinelle, rivolte verso le sponde del fiume, sarebbero potute essere statue messe lì ad adornare il ponte. Il capitano stava a braccia conserte, osservando il lavoro dei suoi subordinati senza fare alcun cenno. La Morte è un dignitario che quando arriva annunciata deve essere ricevuta con manifestazioni formali di rispetto, anche da parte di coloro che le sono più familiari. Nel codice dell’etichetta militare il silenzio e la fissità sono forme di deferenza.

L’uomo che stava per essere impiccato aveva circa trentacinque anni. Era un civile, a giudicare dagli abiti, che erano quelli di un proprietario di una piantagione. Aveva dei bei lineamenti – il naso diritto, la bocca risoluta, e un’ampia fronte a partire dalla quale i suoi capelli lunghi e scuri erano pettinati all’indietro, fatti ricadere dietro alle orecchie fino al colletto di una finanziera che gli calzava a pennello. Aveva i baffi e una barba puntuta, ma senza basette; i suoi occhi erano grandi e di color grigio scuro, e aveva un’espressione gentile che nessuno si sarebbe mai aspettato in qualcuno con la canapa attorno al collo. Evidentemente non era un volgare assassino. Il codice militare liberale contiene disposizioni per impiccare diversi tipi di persona, e i gentiluomini non sono esclusi.

Completati i preparativi, i due soldati semplici fecero un passo di lato e ciascuno ritirò la tavola su cui era rimasto fino a quel momento. Il sergente si voltò verso il capitano, gli porse il saluto militare e si pose immediatamente dietro all’ufficiale che, a sua volta, fece un passo di lato. Questi movimenti lasciarono il condannato e il sergente alle due estremità della stessa tavola, che si appoggiava a tre delle traversine del ponte. L’estremità su cui si trovava il civile ne raggiungeva quasi una quarta. La tavola era prima tenuta al proprio posto dal peso del capitano; ora stava in equilibrio grazie a quello del sergente. A un segnale del primo il secondo avrebbe fatto un passo di lato, la tavola si sarebbe inclinata e il condannato sarebbe caduto tra due traversine. Egli stesso poteva rendersi conto della semplicità e dell’efficacia del piano. La sua faccia non era stata coperta, né gli occhi bendati. Guardò un momento al suo instabile piedistallo, poi lasciò vagare il suo sguardo verso il vorticare dell’acqua del fiume che correva furiosamente sotto i suoi piedi. Un pezzo di legno che danzava alla deriva catturò la sua attenzione e i suoi occhi lo seguirono lungo la corrente. Come gli sembrava muoversi lento! Che fiume indolente!

Chiuse gli occhi per fissare i suoi ultimi pensieri sulla moglie e i suoi figli. L’acqua dipinta d’oro dal sole nascente, la nebbiolina minacciosa sotto le sponde a qualche distanza lungo il fiume, il forte, i soldati, il pezzo di legno – tutto quanto l’aveva distratto. E ora diventava cosciente di un nuovo elemento di disturbo. Insinuandosi attraverso il pensiero dei suoi cari c’era un suono che non poteva né ignorare né comprendere, un’affilata, distinta percussione metallica come quella dei colpi del martello di un fabbro sull’incudine; aveva la stessa natura squillante. Si chiese che cosa fosse, e se fosse incommensurabilmente distante oppure vicinissima – sembrava l’una e l’altra cosa. Aveva una cadenza regolare, ma lenta come quella di una campana funebre. Attendeva ogni colpo con impazienza e – non sapeva perché – apprensione. Poi gli intervalli di silenzio durarono sempre più; i ritardi divennero insopportabili. Con la crescente infrequenza i suoni diventarono più forti e più taglienti. Ferivano le sue orecchie come lame di coltello; temeva di cominciare ad urlare. Ciò che sentiva era il ticchettio del suo orologio.

Dischiuse gli occhi e vide di nuovo l’acqua sotto di lui. “Se potessi liberarmi le mani,” pensò, ”potrei riuscire ad allentare il nodo e balzare in acqua. Immergendomi potrei schivare i proiettili e, nuotando con vigore, raggiungere la riva, infilarmi nel bosco e fuggire a casa. Casa mia, grazie a Dio, è ancora al di là delle linee nemiche; mia moglie e i miei piccoli sono ancora oltre la massima avanzata dell’invasore.”

Mentre questi pensieri, che dovevano pur esser scritti qui sotto forma di parole, non venivano elaborati dalla sua mente ma piuttosto la attraversavano in un lampo, il capitano fece un cenno col capo al sergente. Il sergente fece un passo di lato.  

II

Peyton Farquhar era un agiato proprietario terriero, discendente da una famiglia antica e rispettata dell’Alabama. Essendo proprietario di schiavi ed essendo come altri proprietari di schiavi un uomo politico, era naturalmente e originalmente un secessionista, ardentemente devoto alla causa sudista. Circostanze di natura imperiosa, che non è necessario specificare qui, gli avevano impedito di prendere servizio nella valorosa armata che aveva combattuto le disastrose campagne terminate con la caduta di Corinth, e lui si logorava nella sua ingloriosa limitazione, desiderando ardentemente il rilascio delle sue energie, la più importante vita del soldato, l’occasione di distinguersi. Sentiva che l’occasione sarebbe arrivata, come succede a tutti in tempo di guerra. Nel frattempo faceva quel che poteva. Nessun servizio per la causa del Sud era troppo umile per lui, nessuna avventura troppo pericolosa da intraprendere se coerente con il ruolo di civile che nel cuore era un soldato, e che in buona fede e senza troppe riserve approvava almeno una parte del francamente malvagio detto secondo il quale in amore e in guerra tutto è permesso.

Una sera in cui Farquhar e la moglie erano seduti su di una rustica panca vicino all’ingresso dei loro possedimenti, un soldato vestito di grigio galoppò fino ai cancelli e chiese dell’acqua. La signora Farquhar era così contenta che decise di servirlo con le sue stesse mani bianche. Mentre lei andava a prendere l’acqua, suo marito si avvicinò al cavaliere impolverato e lo interrogò avido di notizie dal fronte.

«Gli Yanks stanno riparando la ferrovia,» disse l’uomo, «e si preparano a una nuova avanzata. Hanno raggiunto il ponte di Owl Creek, l’hanno rimesso in sesto e costruito una palizzata sulla riva nord. Il comandante ha diffuso un ordine, appeso ovunque, secondo il quale ogni civile sorpreso ad interferire con la ferrovia, con i suoi ponti, i suoi tunnel o i suoi treni subirà un’impiccagione sommaria. Ho visto l’ordine.»

«Quanto dista il ponte di Owl Creek?» chiese Farquhar.

«Circa trenta miglia.»

«E non ci sono soldati da questo lato del torrente?»

«Solo un picchetto posto a mezzo miglio di distanza, sulla ferrovia, e una sola sentinella a questa estremità del ponte.»

«Supponiamo che un uomo – un civile desideroso di sperimentare l’impiccagione – riuscisse ad eludere il picchetto e magari avere la meglio sulla sentinella,» disse Farquhar sorridendo, «cosa potrebbe ottenere?»

Il soldato rifletté. «Ci sono stato un mese fa,» rispose. «Mi sono accorto che le piene dell’inverno scorso hanno accatastato una gran quantità di frasche contro un pilastro di legno da questa parte del ponte. Adesso sono secche e brucerebbero come fosse stoppa.»

La donna era arrivata in quel momento con l’acqua, che il soldato bevette. Ringraziò con cerimoniosità, si inchinò al marito e se ne andò al galoppo. Un’ora dopo, a sole tramontato, riattraversò la piantagione, andando a nord verso la direzione da cui era venuto. Era un esploratore federale.

III

Mentre Peyton Farquhar cadeva diritto in mezzo al ponte perse conoscenza, e fu come fosse già morto. Fu svegliato da questo stato – dopo molti secoli, gli sembrò – dal dolore causato da una pressione tagliente sulla gola, seguita da un senso di soffocamento. Aguzzi ed intensi dolori sembravano scendere dal suo collo verso ogni fibra del suo corpo e delle sue membra. Queste fitte sembravano sfrecciare lungo linee di ramificazione ben definite e palpitare secondo un ritmo inconcepibilmente veloce. Parevano flussi di fuoco pulsante che lo scaldavano ad una temperatura intollerabile. Per quanto riguarda la testa, non sentiva altro che una sensazione di pienezza – di congestione. Queste sensazioni non venivano accompagnate da pensieri. La parte intellettuale della sua natura era già stata cancellata; gli era rimasto soltanto il potere di percepire, e la percezione era tormento. Era cosciente del movimento. Inglobato in una nuvola luminosa, della quale era ormai soltanto il centro infuocato, senza sostanza materiale, dondolava attraverso impensabili archi di oscillazione, come un vasto pendolo. Poi all’improvviso, con una repentinità terribile, la luce attorno a lui fu lanciata verso l’alto assieme al rumore di un forte tonfo; sentì un rombo spaventoso nelle orecchie, e tutto era freddo e oscuro. Il potere del pensiero fu ripristinato; seppe che la fune si era rotta, e che lui era caduto nel fiume. La sensazione di strangolamento non peggiorò più; il cappio attorno al collo lo stava già soffocando e tenne l’acqua lontano dai polmoni. Morire impiccato sul fondale di un fiume! – l’idea gli parve ridicola. Aprì gli occhi nell’oscurità e vide un bagliore di luce, ma quanto era lontana, quanto era inaccessibile! Stava ancora affondando: la luce si faceva sempre più fioca, fino a quando non fu altro che un piccolo barlume. Poi cominciò a crescere e a diventare più luminosa, e seppe che stava risalendo alla superficie – lo seppe con riluttanza, perché si sentiva in quel momento davvero tranquillo. “Essere impiccato e affogare,” pensò, “non è così male; ma non voglio che mi sparino. No; non mi spareranno; non è giusto.”

Non era cosciente del proprio stesso sforzo, ma un dolore tagliente al polso gli fece sapere che stava cercando di liberare le mani. Spostò l’attenzione su questa impresa, come un perdigiorno potrebbe osservare i piedi di un giocoliere, senza alcun interesse per il risultato. Che splendido sforzo! – che magnifica, sovrumana forza! Ah, quello era un bel tentativo! Bravo! La corda cadde; le sue braccia si separarono e si slanciarono verso l’altro, le mani appena visibili nella luce crescente. Le guardò con un interesse rinnovato mentre prima l’una e poi l’altra si avventavano sul cappio al suo collo. Lo strapparono e lo lanciarono ferocemente verso un lato, a ondeggiare come una serpe acquatica. “Rimettetelo a posto, rimettetelo a posto!” Pensò di urlare alle sue mani, poiché al nodo disfatto era seguito il più terribile morso che aveva mai sperimentato. Il collo gli doleva terribilmente; il suo cervello era in fiamme, il suo cuore, che prima batteva debolmente, fece un gran balzo, cercando di arrivargli in gola. Il suo corpo era torturato e lacerato da un dolore insopportabile! Ma le mani disobbedienti non prestarono attenzione al comando. Presero a percuotere l’acqua con veloci colpi verso il basso, tirandolo a viva forza verso la superficie. Sentì la testa emergere; i suoi occhi furono accecati dalla luce del sole; il suo petto si espanse convulsamente, e con un’ultima e suprema agonia i suoi polmoni aspirarono una grande boccata d’aria, che espulse istantaneamente in un grido!

Era adesso in pieno possesso dei suoi sensi. Essi erano, a dire il vero, sovrannaturalmente acuti e in allerta. Qualcosa nel terribile scombussolamento del suo organismo li aveva così esaltati e raffinati da permettere loro di registrare cose mai percepite prima. Sentì le increspature dell’acqua sul suo volto e i loro rumori separati mentre lo colpivano. Guardò alla foresta sulla sponda del fiume, vide i singoli alberi, le foglie e le loro nervature – vide addirittura gli insetti sopra di esse: le locuste, le mosche dai corpi brillanti, i ragni grigi che allargavano le loro ragnatele da un ramo all’altro. Notò i colori del prisma in tutte le gocce di rugiada appoggiate sopra a milioni di fili d’erba. Il ronzio dei moscerini che danzavano sui vortici della corrente, il battito delle ali delle libellule, i colpi delle zampe dei ragni d’acqua, come remi che sollevano la propria barca – tutto ciò costituiva musica udibile. Un pesce scivolò via davanti ai suoi occhi e lui sentì la scia del suo corpo che apriva le acque.  

Aveva raggiunto la superficie guardando nel verso della corrente; in un attimo il mondo visibile sembrò ruotare lentamente, con lui che costituiva il fulcro, e vide il ponte, il forte, i soldati sul ponte, il capitano, il sergente, i due soldati semplici, i suoi carnefici. Erano delle sagome stagliate contro il cielo blu. Urlavano e gesticolavano, indicandolo. Il capitano aveva estratto la pistola, ma non sparò; gli altri erano disarmati. I loro movimenti erano grotteschi e orribili, le loro forme gigantesche.

All’improvviso sentì un’acuta detonazione e qualcosa colpì prontamente l’acqua a pochi centimetri dalla sua testa, spruzzandogli la faccia. Sentì una seconda detonazione, e vide una delle sentinelle con il fucile sulla spalla, una leggera nuvola di fumo azzurro che fuoriusciva dalla canna. L’uomo nell’acqua vide l’occhio dell’uomo sul ponte che guardava nel suo attraverso il mirino del fucile. Osservò che era un occhio grigio, e si ricordò di aver letto che gli occhi grigi sono i più acuti, e che sono una caratteristica di tutti i tiratori scelti più celebri. Ciononostante, questo aveva mancato il bersaglio.

Un contro mulinello catturò Farquhar e lo voltò di centottanta gradi; era di nuovo voltato verso il bosco sulla riva opposta al forte. Il suono di una voce chiara ed acuta impegnata in una monotona cantilena risuonò alle sue spalle e arrivò viaggiando sull’acqua con una distinzione tale da trafiggere e dominare tutti gli altri suoni, persino il battito delle increspature nelle sue orecchie. Nonostante non fosse un soldato, aveva frequentato abbastanza gli accampamenti da sapere il pauroso significato di quel cantico deliberato, trascinato e aspirato; il luogotenente sulla riva stava prendendo parte al lavoro della mattinata. Con quale freddezza e mancanza di pietà – con quale piatta, calma intonazione, che auspicava, imponeva tranquillità nei suoi uomini – con quali intervalli accuratamente misurati caddero quelle crudeli parole: «Attenzione, compagnia! … Imbracciate le armi! … Pronti! … Mirate! … Fuoco!»

Farquhar si immerse – si immerse più che poté. L’acqua ruggì nelle sue orecchie come la voce del Niagara, eppure sentì attenuato il tuono della scarica e, risalendo nuovamente alla superficie, incontrò scintillanti pezzetti di metallo, stranamente appiattiti, che oscillavano lentamente verso il basso. Alcuni lo toccarono sul viso e sulle mani, poi caddero, continuando la loro discesa. Uno si accomodò tra il colletto e il collo; era fastidiosamente caldo e lo strappò via.

Mentre risaliva alla superficie, anelando l’aria, capì di essere stato molto tempo sott’acqua; era percettibilmente più lontano – più vicino alla salvezza. I soldati avevano quasi finito di ricaricare; gli scovoli metallici luccicarono tutti insieme mentre vennero estratti dalle canne, sventolati in aria, e ricacciati nella loro tasca. Le due sentinelle spararono ancora, senza mettersi d’accordo e senza efficacia.

L’uomo a cui davano la caccia vide tutto questo al di sopra della propria spalla; stava ora nuotando con la corrente. Il suo cervello aveva la stessa energia delle gambe e delle braccia; pensava con la rapidità del lampo.

«L’ufficiale,» ragionò, «non ripeterà l’errore di rispettare rigidamente il protocollo. È ugualmente facile schivare una scarica e schivare un singolo proiettile. Ha probabilmente già dato l’ordine di sparare a volontà. Che Dio mi aiuti, non posso schivarli tutti!»

Un tonfo terrificante a due metri da lui fu seguito da un suono forte e improvviso, in diminuendo, che sembrò viaggiare indietro attraverso l’aria verso il forte e morire in un esplosione che scosse il fiume fino al fondale! Un muro d’acqua si alzò e si curvò su di lui, gli ricadde addosso, lo accecò, lo strangolò! Il cannone aveva preso parte alla partita. Quando ebbe liberato la testa dalla commozione dell’acqua agitata sentì il colpo deviato ronzare nell’aria, e in un attimo lo vide spaccare e distruggere i rami della foresta davanti a lui.

«Non lo faranno di nuovo,» pensò; «la prossima volta useranno una scarica di mitraglia. Devo tenere d’occhio il cannone; mi avviserà il fumo – l’ordine mi raggiunge troppo tardi, dopo il missile. Quello è un buon cannone.»

Improvvisamente si sentì girare ancora e ancora – girava come una trottola. L’acqua, le sponde, i boschi, il ponte ormai distante, il forte e gli uomini – tutto si mescolava e si faceva sfocato. Gli oggetti erano rappresentati soltanto dai loro colori – quello era tutto ciò che vide. Era stato catturato in un vortice che lo aveva fatto girare con una velocità di avanzamento e di rotazione che lo intontì e gli diede la nausea. In pochi attimi fu scagliato sulla ghiaia della riva sinistra del fiume – la riva sud – in un punto in cui non era visibile dai suoi nemici. L’improvviso arresto del suo movimento, l’abrasione di una delle sue mani sulla ghiaia, lo risvegliarono, e lui pianse di gioia. Affondò le dita nella sabbia, la lanciò in alto a manciate e la benedì a voce alta. Gli sembrava che fosse fatta di diamanti, rubini, smeraldi; non poteva pensare a nulla di bello che non le somigliasse. Gli alberi sulla sponda erano gigantesche piante da giardino; notò un ordine definito nella loro disposizione, inspirò la fragranza dei loro fiori. Una strana luce rosata brillava attraverso gli spazi tra le fronde e il vento suonava tra i rami la musica delle arpe eolie. Non aveva nessun desiderio di completare la sua fuga – si accontentava di rimanere in quel posto incantato fino a quando non l’avessero ripreso.

Un sibilo e il crepitio di una scarica di mitraglia tra i rami in alto, al di sopra della sua testa, lo destò dal sogno. Lo sconcertato cannoniere gli aveva sparato un colpo casuale d’addio. Balzò in piedi, si lanciò sul pendio della sponda, e si immerse nella foresta.

Viaggiò per tutto il giorno, dirigendosi in base alla posizione del sole. La foresta sembrò interminabile; non trovò un’interruzione in essa da nessuna parte, nemmeno il sentiero di un boscaiolo. Non sapeva di vivere in una regione così selvaggia. C’era qualcosa di misterioso in quella rivelazione.

Al tramonto era affaticato, gli dolevano i piedi, aveva fame. Il pensiero della moglie e dei figli lo incitò a proseguire. Finalmente trovò una strada che lo conduceva in quella che sapeva essere la giusta direzione. Era larga e diritta come fosse una strada cittadina, eppure sembrava non essere frequentata da nessuno. Non c’erano campi accanto, né case da nessuna parte. Non c’era niente, nemmeno l’abbaiare di un cane a suggerire la presenza di un’abitazione umana. I corpi neri degli alberi formavano un muro diritto da entrambi i lati, che terminava all’orizzonte in un punto, come lo schema di una lezione sulla prospettiva. In alto, quando guardava attraverso la spaccatura nel muro di alberi che c’era sopra la sua testa, brillavano grandi stelle che non gli sembravano familiari, raggruppate in strane costellazioni. Era sicuro che fossero sistemate in un qualche ordine che aveva un significato segreto e maligno. Il bosco era pieno da entrambi i lati di strani rumori, tra cui – una, due volte, e ancora – avvertì distintamente dei sussurri in una lingua sconosciuta.

Il collo gli doleva e toccandolo con la mano lo trovò orribilmente gonfio. Sapeva di avere un cerchio nero dove il cappio lo aveva contuso. I suoi occhi gli sembravano congestionati; non poteva più chiuderli. La sua lingua era gonfia dalla sete; le dava sollievo spingendola attraverso i denti verso l’aria fresca. Come era soffice il tappeto d’erba che aveva ricoperto il viale abbandonato – non sentiva più la strada sotto ai piedi!

Senza dubbio, nonostante la sofferenza, si era addormentato mentre camminava, perché vede ora un’altra scena – forse si sta semplicemente riprendendo da un delirio. Si trova in piedi davanti al cancello di casa sua. Tutto è come l’ha lasciato, e l’alba è luminosa e bellissima. Deve aver camminato tutta la notte. Mentre spinge il cancello e attraversa l’ampio vialetto bianco, vede lo svolazzare di un indumento femminile; sua moglie, che appare pura e fresca e dolce, scende dalla veranda e gli va incontro. Al fondo degli scalini si ferma e lo aspetta, con un sorriso di una gioia ineffabile, in un atteggiamento di impareggiabile grazia e dignità. Ah, com’è bella! Lui balza in avanti a braccia aperte. Mentre è sul punto di abbracciarla sente un colpo scioccante sul retro del collo; un’accecante luce bianca risplende tutt’attorno a lui con un suono che assomiglia ad un colpo di cannone – poi tutto è oscurità e silenzio!

Peyton Farquhar era morto; il suo corpo, con il collo spezzato, oscillava dolcemente da un lato all’altro tra le travi del ponte di Owl Creek.

Ambrose Bierce (fonte: poetryfoundation)

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