Un avvenimento presso il ponte di Owl Creek – L’importanza del tempo nella narrazione

Di Washoe

Leggendo il saggio Lettere a un giovane romanziere (Cartas a un joven novelista, 1997) di Mario Vargas Llosa, mi sono imbattuto nella citazione di un racconto che ha immediatamente attirato la mia attenzione. Non soltanto per il titolo abbastanza insolito, Un avvenimento presso il ponte di Owl Creek (An Occurrence at Owl Creek Bridge, 1890), quanto piuttosto perché l’autore peruviano lo definiva un maravilloso relato, una storia meravigliosa, e lo utilizzava per esemplificare il proprio discorso riguardo all’elemento del tempo all’interno di una narrazione. E in effetti il fattore tempo è la chiave che serve a comprendere la magia dietro a quello straordinario racconto di Ambrose Bierce, nonché ciò che rende la lettura del testo un passaggio quasi obbligato per ogni aspirante scrittore.

La trama del racconto

Un avvenimento presso il ponte di Owl Creek è ambientato durante la Guerra di Secessione Americana, tra il 1861 e il 1865. Peyton Farquhar, proprietario terriero devoto alla causa sudista, è stato ingannato da una spia nordista (travestita da esploratore confederato) ed attirato in una trappola: catturato dall’esercito nemico, Farquhar si trova con un cappio al collo sul bordo di un ponte ferroviario, in procinto di essere impiccato. Bierce, forte della propria esperienza militare, descrive con precisione la disposizione dei soldati e i preparativi per l’esecuzione, fino al momento in cui la tavola su cui si trova il condannato gli viene tolta da sotto i piedi, facendolo precipitare verso la morte.

Spoiler alert – Non proseguire oltre se non hai mai letto il racconto: potresti rovinartelo! Lo trovi qui in una nuova traduzione, o il lingua originale a questo link

Illustrazione della Guerra di Secessione Americana (fonte: cultura.biografieonline)

La fuga di Peyton Farquhar

Mentre cade, però, succede l’impensabile: la corda si spezza, e Farquhar piomba nel fiume. Con movimenti convulsi e semivolontari riesce a liberare le mani e a sbarazzarsi del cappio, tra dolori atroci e la paura di non farcela; quando viene a galla si trova a dover schivare le pallottole sparate dei soldati e i colpi tremendi di un cannone. Rituffandosi in acqua riesce ad evitare le scariche, mentre l’onda sollevata da una palla di cannone lo scaraventa sulla riva del fiume, fuori dalla portata del nemico. Farquhar allora si rialza e corre verso casa, attraverso un bosco pauroso e percorrendo una strada abbandonata. Ad un tratto, pare, sviene, e si risveglia il mattino seguente, catapultato non si sa come di fronte all’ingresso di casa propria. Ad aspettarlo trova la moglie, ma quando sta per abbracciarla sente un colpo sul retro del collo, e viene avvolto da un’abbagliante luce bianca.

La vera storia

Una rivelazione si abbatte a quel punto sull’attonito lettore: tutto quanto è stato raccontato nella terza parte del racconto, ossia la corda che si rompe, la fuga, l’arrivo a casa, è frutto dell’immaginazione del condannato. In realtà:

Peyton Farquhar era morto; il suo corpo, con il collo rotto, oscillava dolcemente da un lato all’altro tra i tronchi del ponte di Owl Creek.

Ambrose Bierce, Un avvenimento presso il ponte di Owl Creek, (1890)

In punto di morte la mente di Farquhar l’aveva portato lontano, creando un universo fittizio in cui poteva aver salva la vita, con lo scopo, forse, di distogliere la sua coscienza dall’orrore della fine imminente. Certo, in realtà un avviso del fatto che qualcosa non fosse esattamente al proprio posto nella narrazione Bierce l’aveva già lanciato, descrivendo con dovizia di particolari la percezione che il protagonista, con il cappio al collo, in bilico sulla trave, aveva avuto del suono del suo orologio. Un suono fortissimo e di frequenza decrescente: non un segno di un guasto al meccanismo, quanto piuttosto il segnale di una mente che stava già cominciando a distorcere la realtà e, in particolare, l’elemento del tempo. 

La distorsione del tempo

Nel suo racconto Bierce si diverte a giocare con il tempo, modellandolo come fosse plastilina: lo dilata, lo restringe, lo distorce a piacimento, con l’obiettivo di manipolare la comprensione del lettore e di suggerire sensazioni, immagini, pensieri. Rivelando i propri trucchi nel finale, quando dimostra che tutto quanto ha descritto per pagine e pagine, portandoci a credere che fossero trascorse diverse ore, sia in realtà accaduto in una frazione di secondo e soltanto nel cervello di Farquhar. Ma si tratta di una manipolazione legittima, in quanto non viene utilizzata soltanto con lo scopo di ingannare il lettore, come si potrebbe credere: Bierce non fa altro che mimare ciò che succede nella realtà di tutti i giorni, in maniera più o meno consapevole, quando viene a crearsi una divergenza tra il tempo cronologico e il tempo psicologico.

Salvador Dalì, La persistenza della memoria, 1931 (fonte: vividscreen)

Tempo cronologico e tempo psicologico: la distinzione

Come spiega anche Vargas Llosa nel suo saggio di cui sopra, è importante comprendere a pieno la differenza tra i due concetti. Il tempo cronologico è una quantità misurabile in maniera oggettiva, ciò che nella fisica classica (non nella fisica moderna, ma qui si aprirebbe un discorso infinito) si definisce come “la grandezza misurabile attraverso un orologio”: una grandezza caratterizzata da intervalli costanti e basata sul moto della Terra attorno al Sole. Il tempo psicologico è invece il tempo come viene percepito soggettivamente dall’essere umano, variabile a seconda della situazione, dell’individuo e della sua disposizione: quando ci si diverte il tempo vola; quando ci si annoia, dieci minuti sembrano durare diverse ore. Il tempo psicologico non è dunque quantificabile poiché non è misurabile con uno strumento; il tempo cronologico invece resta sempre uguale a se stesso, e viene rilevato da orologi tarati in base a grandezze astronomiche oggettive (se si vuole essere pignoli, oggi il secondo è definito in relazione all’atomo del cesio, ma sorvoliamo).

L’importanza del tempo nella narrazione

Uno scrittore deve avere ben chiara questa differenza, che apre per lui diversi ed interessantissimi scenari. Certo, esistono talenti naturali che riescono a manipolare il tempo anche senza aver ben presente la distinzione; ma si tratta di uno strumento potentissimo se viene utilizzato con cognizione di causa. Afferma infatti Vargas Llosa:

«Mi arrischio ad assicurarle che è una legge senza eccezioni (un’altra delle pochissime nel mondo della finzione) che quello dei romanzi sia un tempo costruito a partire dal tempo psicologico, non del cronologico, un tempo soggettivo al quale con mestiere il romanziere (il buon romanziere) dà un’apparenza di oggettività, facendo così in modo che il suo romanzo prenda le distanze e si differenzi dal mondo reale (un obbligo per ogni finzione che voglia vivere per conto proprio).»

Mario Vargas Llosa, Lettere a un giovane romanziere, (1997)

Ed è proprio quello che fa Ambrose Bierce, portandoci a credere che il tempo psicologico di Farquhar sia in realtà il tempo cronologico, rivelando l’errore soltanto alla fine.

Mario Vargas Llosa (fonte: linkiesta)

La creazione di un nuovo piano della realtà

Nell’atto di trasferire la narrazione dal tempo cronologico del ponte di Owl Creek a quello psicologico di Farquhar, Bierce crea un nuovo piano della realtà che si sovrappone a quello del racconto, una sorta di universo nuovo che si sviluppa dalla soggettività del protagonista e genera uno spazio alternativo, in cui i sensi sono fortemente alterati e il mondo ha un aspetto a tratti meraviglioso, a tratti straordinariamente sinistro. È come un incantesimo, lanciato dal ticchettio di un orologio che diventa un portale verso una nuova dimensione, scandendo con il suo ritmo incostante la modificazione dello spazio-tempo. Si tratta però di un incantesimo e di un universo strettamente legati a Farquhar, e lo dimostra il fatto che quando la vita di lui si spezza essi sono destinati a sparire a loro volta. La subitaneità con cui ciò accade appare brutale, con quel «Peyton Farquhar era morto» che ha il sapore di una sentenza inappellabile e inaspettata; ma non è del tutto vero.

L’importanza del tempo verbale

Nel penultimo paragrafo si incontra infatti un’alterazione del tempo di natura diversa dalla precedente (che era, al contrario della nuova, più sottile e non materialmente visibile sulla pagina): un cambio del tempo verbale, che passa senza preavviso dal passato al presente. Anche nel lettore poco attento alla forma grammaticale questo cambiamento improvviso può generare un forte senso di straniamento: che cosa sta accadendo? Perché si avverte qualcosa di strano nella scena? La confusione causata dal passaggio viene usata da Bierce come una sorta di anticamera alla rivelazione finale, una maniera di preparare il lettore affinché l’ultima frase non lo colpisca diritto sul naso ma diventi piuttosto un’idea che si accende all’improvviso, con un sonoro Eureka!, come se lo avesse sempre saputo. Ecco che si manifesta allora l’importanza di una terza “categoria temporale”, che Vargas Llosa sceglie di non citare forse dandola per scontata: il tempo verbale, che non è soltanto un mezzo per esprimere il tempo cronologico e psicologico della narrazione ma anche uno strumento a sé, utilizzabile in maniera creativa per dare sfumature diverse alla storia.

Il potere narrativo del tempo

Si comprende dunque dove stia la straordinarietà di Un avvenimento presso il ponte di Owl Creek: nell’efficacia con cui gioca con la percezione del lettore, convincendolo di qualcosa e poi anche del contrario, grazie ad un sapiente utilizzo dell’elemento del tempo e dei diversi piani di realtà che questo può creare. Tempo che rivela dunque attraverso il racconto tutto il suo potere narrativo: una sorta di bomba atomica se messa in mano ad uno scrittore consapevole, che non può prescindere dalla lettura e dalla comprensione di questo testo se vuole arrivare a dominare davvero un elemento tanto importante per ogni creatore di storie.

Ambrose Bierce (fonte: poetryoutloud)

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