Trainspotting (1996): non è un film sull’eroina!

Trainspotting manifesto

DI WASHOE

«Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?»

Trainspotting fuga

Di corsa, al ritmo sfiancante di Iggy Pop, con questo monologo che spezza il fiato prima di entrare nel cuore di una storia che è tutta una gara dei cento metri piani: si apre così un film cult che ha segnato un decennio, raccontandone sentimenti, paure, debolezze, angosce con una schiettezza che non può lasciare indifferenti, scatenando a fasi alterne nello spettatore risate, nausea, disgusto, smarrimento, pietà, rabbia, delusione. Tutto questo e molto altro è il capolavoro del 1996 del regista Danny Boyle: Trainspotting. Un film che parla di un gruppo di eroinomani ma che non è assolutamente un film sull’eroina.

Mark Renton e i suoi mates

Il film inizia in medias res, e già nella primissima scena, senza nemmeno permettere allo spettatore di prepararsi all’impatto, Mark Renton (uno strepitoso Ewan McGregor) sbatte in faccia al mondo la sua semplice filosofia di vita: ha scelto di non scegliere, di fuggire alla vita preconfezionata che gli viene apparecchiata davanti per esistere, senza vivere, anestetizzato dell’eroina. La medesima strada è stata intrapresa dai suoi amici, i “so called mates”: l’innocuo e ingenuo Spud, Sick Boy, ossessionato da Sean Connery, Tommy, il “bravo ragazzo” della cricca, e il violento ed isterico Begbie; quasi ne fossero l’incarnazione, i cinque si muovono nella realtà moribonda e sudicia di Leith, sobborgo di Edimburgo, martoriata dalla povertà e dal degrado (ben caratterizzata dalla presenza del “cesso più sporco di Scozia”), nella quale arranca una generazione di giovani senza ideali e senza ambizioni, disgustati dalla società mediocre di cui il mondo li vorrebbe prigionieri.

Renton e i suoi amici

I ragazzi di Trainspotting e la loro particolare ribellione

La ribellione di Renton e compagni non è una protesta politicizzata, perché non hanno la benché minima intenzione di lottare per cambiare quella società che aborriscono: è un’autoemarginazione fine a se stessa, che li intrappola fra lo sporco, il crimine, la morte. Certo, il mare di nulla del pezzo ammuffito di Scozia in cui vivono, rappresentato con efficacia dalla solitudine delle Highlands in cui si ritrovano all’improvviso senza sapere bene perché, non è certo d’aiuto, ma li condanna anzi a esistere senza stimoli e li schiaccia senza ch’essi oppongano alcuna resistenza. In tutto questo è però ben evidente come Boyle voglia insinuare il dubbio che i ragazzi di Trainspotting non siano del tutto diversi dalla gente comune, da quelle persone cioè che considerano Renton e compagnia un manipolo di delinquenti e di falliti: gli uni si fanno ladri per procurarsi l’eroina, gli altri rubano a se stessi i propri sogni e le proprie aspirazioni per potersi permettere l’apriscatole elettrico e il maxitelevisore del cazzo.

I tentativi di cambiamento di Renton

L’eroina però è tutto meno che una buona compagna di vita e la tossicodipendenza presenta inevitabilmente a Renton il suo conto salatissimo: dopo aver rischiato un’overdose ed essere stato preda di terrificanti allucinazioni per via di un’astinenza forzata Mark decide dunque di trasferirsi a Londra, per cercare nuove esperienze e dare una svolta ad una vita giunta ormai ad un vicolo cieco. Anche nella capitale inglese, tuttavia, i fantasmi del passato tornano a tormentarlo, e una nuova convivenza indesiderata con gli amici di sempre, di cui non aveva sentito la mancanza, lo porta a ricadere nei vizi di una vita; si lascia così trascinare da Sick Boy in un affare di droga che frutta loro sedicimila sterline, ma che dà origine all’episodio che manda definitivamente in malora un’amicizia già in putrefazione. Dopo aver assistito all’ennesima rissa scatenata da Begbie e dopo aver constatato la cattiveria di fondo di Sick Boy, Renton decide di tradire i suoi compagni e nella notte fugge con il malloppo in un ennesimo tentativo di uscire dal pozzo profondo in cui era stato scaraventato.

Il cesso più sporco di Scozia

Il monologo e il sorriso finale: Mark Renton non è cambiato

Il monologo finale, in cui Mark afferma di aver ribaltato la propria visione del mondo e di voler scegliere la vita, non è altro che la manifestazione di un suo desiderio nascosto, rimasto latente per tutto il film, di cui forse nemmeno lui era cosciente: Renton in realtà avrebbe sempre voluto fare parte di quel mondo che disprezzava, da cui era rimasto fuori non per scelta propria, come aveva sempre pensato, ma per via di una sua inadeguatezza di fondo. Inadeguatezza che viene ribadita anche dal sorriso che mostra nella scena finale, che non è per nulla diverso da quello che rivolge all’automobilista durante l’inseguimento di inizio film: Mark Renton, al contrario di quello che vuole farci credere, non è cambiato e non sarà mai in grado di cambiare, ma è piuttosto condannato da una debolezza cronica a ricadere sempre negli stessi vizi e negli stessi errori.

Trainspotting scena finale

Il significato del titolo Trainspotting

Ma da dove arriva il nome Trainspotting? Il titolo è il riflesso di una scena, non inserita nella pellicola, del romanzo da cui è tratto il film, ossia l’omonimo Trainspotting di Irvine Welsh: mentre si trovano a orinare in una vecchia stazione di treni, Mark e Begbie vengono avvicinati da un barbone, che poi si scopre essere il padre dello stesso Begbie, che chiede loro se stessero «trainspottin’»; il trainspotting, letteralmente “osservare i treni”, indica un’attività diffusa presso senzatetto e nullafacenti, che consiste semplicemente nel sedersi sulla banchina di una stazione ferroviaria e osservare passivamente i convogli che transitano sui binari. È un atteggiamento, quello di piazzarsi al margine di un mondo estraneo per osservarne lo scorrere, che descrive alla perfezione la maniera di vivere di Renton e dei suoi amici, che si pongono al bordo della società del loro tempo per guardarla senza farsi coinvolgere.

Renton durante l'inseguimento

La tecnica e la colonna sonora

Danny Boyle ha scelto per il suo Trainspotting una fotografia fredda, ammuffita, sporca, ed un colore ispirato ai quadri di Francis Bacon, i quali rappresentano l’essere intrappolati in un modo a metà, in parte realtà e in parte fantasia, che ben si presta a descrivere la condizione di quel manipolo di ragazzi sbandati di Edimburgo. La pellicola è disseminata di scene surreali, disgustose ai limiti del vomito, ed è piena di sporcizia, di degrado, di turpiloquio, di momenti grotteschi e di black humor; ciò che però la caratterizza davvero e le permette di ergersi di diritto fra i cult del cinema mondiale è la colonna sonora, che a tratti incornicia la narrazione, a tratti crea con essa un contrasto di un’efficacia sublime, e che nella sua totalità rappresenta il concentrato della musica di un’intera generazione di ragazzi britannici degli anni ’90.

Trainspotting non è un film sull’eroina

Alla luce di tutte queste riflessioni, dunque, è chiaro come Trainspotting non sia un film che vuole legittimare il consumo di droga, come hanno detto alcuni, né un film che lo vuole stigmatizzare, come hanno detto altri, ma è piuttosto la mappa interiore di una generazione intera: l’eroina rappresenta solamente il modo, forse l’unico a loro disposizione, che i ragazzi di Leith hanno trovato per esprimere il loro disgusto per la mediocrità e per la vita preconfezionata, nonché il terrore di non riuscire a trovare il proprio posto nella società. Danny Boyle ci lascia dunque una pellicola che ha l’ambizione di essere l’espressione delle paure e delle delusioni dei ragazzi cresciuti in un’epoca di transizione come quella degli anni ’90, in un mondo sulla soglia della rivoluzione digitale e trasfigurato dalla caduta dell’Unione Sovietica, e che al contempo vuole dimostrare, con una punta di cinismo, come le persone non cambino mai per davvero. Alla faccia di chi lo considera un film sull’eroina.

Renton in discoteca

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