di Washoe
Chicago, Anni 30. In piena epoca di proibizionismo, il celebre mafioso e contrabbandiere di alcolici Al Capone domina la città. Non esiste luogo in cui non abbia occhi ed orecchie: con una strategia del terrore e un’impressionante rete di corruzione, Capone controlla il mercato illegale degli alcolici e le istituzioni, dall’amministrazione cittadina al fisco, dalla giustizia alla polizia. Attentati, omicidi e grandi operazioni di contrabbando si susseguono impunite, mentre le forze dell’ordine che dovrebbero contrastarlo fanno un buco nell’acqua (volontario) dopo l’altro. In questo clima invivibile, l’agente del tesoro Eliot Ness viene inviato a Chicago dal governo federale, con la precisa missione di mettere i bastoni tra le ruote al gangster e, se possibile, portarlo dietro le sbarre. Constatata l’impossibilità di avvalersi dell’aiuto della polizia, per raggiungere il proprio scopo Ness mette in piedi una squadra di pochi uomini incorruttibili, detti gli Intoccabili, e li sguinzaglia a caccia di Capone e della sua organizzazione.
Il film
Da questa storia vera il regista Brian de Palma ha tratto il film The Untouchables – Gli Intoccabili (1987), con Kevin Costner nei panni di Eliot Ness e il sempre perfetto Robert De Niro a dare vita ad un indimenticabile Al Capone. E la pellicola comincia proprio con una scena dominata dalla figura del mafioso, impegnato a farsi intervistare mentre gli viene rasa la barba (fun fact: per girare la sequenza sono stati utilizzati i veri strumenti del barbiere di Capone): il gangster più pericoloso d’America si racconta alla stampa come un vero gentiluomo, un semplice businessman che non ha nulla a che vedere con gli attentati in città e che cerca soltanto di ritagliarsi il proprio posto nel mondo. È il tipico modo di porsi di tutti i boss della mafia, e il fatto che si tratti di una bugia è un segreto di Pulcinella; lo sa perfettamente anche Eliot Ness che, appena giunto a Chicago, inizia immediatamente una difficilissima crociata contro la sua organizzazione. Tuttavia, ogni sforzo appare inutile, e una grande operazione di sequestro che aveva dato per certa si trasforma in un imbarazzante insuccesso, rendendolo lo zimbello della città intera. Ma non tutto il male viene per nuocere: il clamoroso fiasco ha il merito di far aprire gli occhi a Ness, che capisce di non potersi fidare di nessuno, nemmeno ai piani alti del Dipartimento di Polizia di Chicago. L’agente del tesoro si trova così costretto a pensare a un piano di guerra diverso da quello che aveva preventivato, e decide di cercare aiuto.
Jimmy Malone
In suo soccorso viene l’espertissimo poliziotto irlandese Jimmy Malone (personaggio, questo, fittizio), impersonato da un ottimo Sean Connery, che per il ruolo vinse anche il Premio Oscar. Malone vive ai margini della polizia, deluso dalla corruzione e messo da parte da coloro che hanno validi motivi per trovare scomoda la sua integrità. Ma, soprattutto, è dotato di una caratteristica che lo rende diverso dalla maggior parte dei colleghi: Malone sente la vocazione per il proprio mestiere ed è sospinto da un profondo senso della giustizia; per questo è l’uomo giusto per Ness, da cui partire per formare, su suo suggerimento, una squadra speciale anti-Capone. Ma la personalità dell’irlandese ha anche dei lati oscuri. L’esperto poliziotto non si tira mai indietro di fronte alla necessità di ricorrere a metodi molto poco ortodossi, brutali a volte: non è uomo da farsi scrupoli quando è impegnato a perseguire il bene superiore, la Giustizia, e in questo ricorda un poco l’ispettore Javert de I Miserabili di Victor Hugo. Tuttavia, al contrario di Javert, senza macchia di fronte alla legge, Malone non è esente dalle proprie piccole infrazioni, e non disdegna di tanto in tanto un bicchiere di un liquore che nasconde nel forno di casa. Egli dimostra così, rispetto al personaggio di Hugo (freddo come una macchina in fatto di applicazione della Legge), una sensibilità diversa, che gli permette di giudicare da sé le regole di cui è paladino. Malone non identifica la Legge con la Giustizia, e dunque non è soltanto in nome di un codice civile e penale che sceglie di combattere Capone: a condurlo è il suo personalissimo senso morale. Anche perché, se si legge tra le righe, si capisce come per lui la legge sul Proibizionismo sia fondamentalmente sbagliata.
La figura di Eliot Ness
Eliot Ness, invece, si comporta in maniera diversa. Ancora giovane, la sua fiducia totale nella Legge non è ancora stata intaccata, e le si attiene con zelo ammirevole. Non tocca alcolici, ne vieta il consumo ai suoi sottoposti, vuole catturare Capone perché è un fuorilegge, prima ancora che un assassino. Ma ad un certo punto qualcosa cambia. Prima, incontra la madre di una bambina uccisa in un attentato e si commuove di fronte al suo dolore; poi, uno scagnozzo di Capone lo aspetta sotto casa e si spinge fino a minacciare la sua stessa famiglia. Scoprendo in pericolo la vita della figlia qualcosa scatta in lui, e il desiderio di catturare il boss si trasforma da una faccenda legale ad una faccenda morale, fino a diventare qualcosa di personale. Anche l’incontro con Malone contribuisce a cambiarlo: l’irlandese lo aiuta a comprendere l’importanza di affiancare al giudizio della legge il proprio giudizio personale, umano e per questo più sensibile. Alla fine del film, dunque, quando gli viene chiesto cosa farà quando il Proibizionismo verrà abolito, Ness risponde dicendo: «Andrò a bermi un bicchiere». Dimostra così di aver imparato a farsi un’idea propria, e di aver capito che ciò che è impedito dalla legge non è per forza sbagliato: a volte è soltanto vietato.
Il parallelismo con Scarface
Come sempre attento al mondo della malavita, Brian De Palma ritorna in The Untouchables sulla figura di Al Capone, quattro anni dopo il celebre Scarface (che, sebbene ambientato in altri tempi e luoghi e incentrato sul contrabbando di altre sostanze, era ispirato a lui: Scarface era infatti il soprannome di Capone). Certo, il confronto con il vero capolavoro di De Palma è impietoso per The Untouchables, se si parla di qualità generale del film: dove c’era un attore carismatico e magnetico come Al Pacino c’è un Kevin Costner un po’ insipido, in una storia che non riesce ad offrire allo spettatore la stessa intensità dell’illustre predecessore. Ciò non significa però che questa pellicola non abbia i suoi motivi per essere guardata, poiché c’è un interessantissimo cambio di prospettiva, che si sposta dal punto di vista del criminale a quello del poliziotto, offrendo una serie diversa di problematiche ed ambiguità. Se in Scarface l’attenzione era data tutta alla fame di potere dell’ambizioso Tony Montana, in The Untouchables il mirino viene puntato su ciò che dovrebbe farle da contraltare, ossia la Legge e i suoi agenti. Con il fuoco spostato, dunque, le riflessioni che vengono suscitate sono tutt’altre, e riguardano la società e le sue regole, e ciò che è necessario fare per farle rispettare.
Il Proibizionismo
Ma il film si presta anche ad un’altra considerazione. Dalla visione di The Untouchables diventa chiaro, come già lo è per chiunque si sia mai addentrato nello studio di quel periodo di storia Statunitense, come il Proibizionismo sia un approccio del tutto sbagliato verso la soluzione di un problema come quello dell’alcolismo, perché semplicemente non funziona, mai. In quegli anni, la produzione e la vendita di alcolici si era spostata dai canali legali (e per questo facilmente monitorabili) al mercato nero e alla malavita, strutture impossibili da tenere sotto controllo. Ciò che era accaduto in seguito non era stato che la conseguenza: una guerriglia tra bande rivali e contro lo Stato, di cui non si vedeva la fine. Insomma, il Proibizionismo aveva creato Capone, non il contrario. E questa, forse, potrebbe essere una lezione da tenere bene a mente anche oggi. Insomma, chi vuole intendere intenda. E si sa che dalla storia è sempre bene intendere.
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