T2 Trainspotting – I vecchi amici, la nostalgia, il passato

DI WASHOE

Difficilmente i sequel del cinema si avvicinano alla qualità dei “primi film”: finiscono spesso per esserne la brutta copia, il lontano parente, il riflesso sfocato, e gli spettatori arrivano in sala già prevenuti, preparati ad assistere ad una schifezza di proporzioni immani e per questo immuni a qualsiasi forma di arte. Danny Boyle conosceva il rischio a cui andava incontro quando pensava all’opportunità di dare un seguito a Trainspotting, e sapeva anche che non sarebbe mai stato in grado di raggiungere i picchi di orripilante bellezza del film che l’aveva consacrato. Dopo anni di riflessioni è riuscito però a trovare l’idea giusta, e a distanza di due decenni ha partorito il concetto di un sequel che vertesse sull’unico argomento che avesse una qualche possibilità di essere efficace: la nostalgia. Chi era giovane ai tempi dell’uscita del primo film (era il 1996) è ora un uomo o una donna di mezza età, che probabilmente inizia a guardarsi indietro e offre così le basi giuste per girare un seguito tanto atteso quanto temuto. Boyle richiama allora il fortunato cast di un tempo e si lancia nell’avventura di T2 Trainspotting (2017); più che un film, ciò che viene fuori è un vero e proprio uomo di quarant’anni, che ripercorre il proprio passato ponendosi tante domande e trovando ben poche risposte.

Il cast riunito: (da sinistra) Ewen Bremner, Jonny Lee Miller, Ewan McGregor e Robert Carlyle

Il nuovo Renton di T2 Trainspotting

Le intenzioni di Boyle sono chiare fin dall’inizio, e ancora una volta Mark Renton (un sempre stratosferico Ewan McGregor) ci viene presentato mentre corre, con l’immagine di lui quarantaseienne che si sovrappone a quella di lui ventiseienne, e che poi sfuma per trasformarsi nelle immagini di lui da piccolo, annunciando di voler andare ancora più indietro, in un passato di cui nessuno ci aveva ancora parlato. Questa volta però Mark non fugge dalla legge, ma corre in un “modo domestico e socialmente accettabile” sul tapis roulant di una palestra, finalmente integrato tra la gente “normale”; nello sforzo però soffre un’insufficienza coronaria acuta che lo porta vicino alla morte, e che è soprattutto l’inizio della più tipica delle crisi di mezza età. Nei vent’anni che sono passati da quando è fuggito dai mates con i sedicimila dollari della partita di eroina, Renton si è costruito una nuova vita lontano da Edinburgh, ad Amsterdam; ora però il suo matrimonio è finito e sta per perdere il lavoro per via di una serie di tagli al personale. Smarrito e solo al mondo, spera di ritrovare se stesso nelle proprie origini, in quella Leith da cui si era tenuto alla larga perché rappresentava tutto ciò che lui non sarebbe mai più voluto essere.

Una nuova Edinburgh, i soliti vecchi amici

L’Edinburgh che ritrova al suo ritorno però è profondamente diversa da quella che ricordava, perché nel frattempo è stata raggiunta dalla modernità: il turismo, la riqualificazione delle aree urbane, la popolazione di immigrati. Persino i suoi vecchi amici appaiono cambiati, anche se si capisce presto che la sostanza è rimasta quella: Spud, Sick Boy, Begbie, Mark stesso, sono ancora dei drogati che hanno semplicemente cambiato la propria dipendenza. Spud (Ewen Bremner, fantastica la sua prova) ha affrontato un periodo di disintossicazione, ma poi è ricaduto nel pozzo profondo dell’eroina; Simon, il vecchio Sick Boy (un sempre fresco Jonny Lee Miller), l’ha invece sostituita con la cocaina, e si occupa ora di affari loschi ed illegali; Franco Begbie (un sanguigno Robert Carlyle) dopo vent’anni di carcere non è diventato meno violento di un tempo e vive con la speranza di consumare la propria vendetta sul traditore Renton.

La consapevolezza di Mark

Tra i quattro, tuttavia (o tre, se si esclude Begbie che non si è mai drogato se non di violenza), Mark è quello che è riuscito ad uscire in maniera migliore dalla trappola dell’eroina, perché è l’unico che sembra aver capito la via per sconfiggerla: drogarsi di qualcos’altro. Mentre i suoi amici hanno cambiato senza accorgersene la loro dipendenza, Mark è cosciente della propria condizione di “drogato cronico” e sceglie consapevolmente di diventare dipendente dalla corsa e dallo “andare lontano”, dal fuggire da Leith, dagli amici, dalla famiglia, dal passato. Tuttavia, ad un certo punto si rende conto di avere semplicemente messo una pezza sulla propria vita senza risolvere il problema: staccandosi da ciò che è stato ha perso una parte di sé, che ritornando cerca di recuperare. Non tutto però può essere riparato: il terrore dei suoi vecchi fantasmi gli ha impedito di dare l’ultimo saluto alla madre, morta tempo prima, e il rimorso non gli permette di riconciliarsi con i genitori: l’ombra proiettata sulla parete dietro al tavolo famigliare (in una scena che è una vera e propria perla visuale del regista) non rappresenta infatti la mamma che non c’è più, come si potrebbe pensare, ma è il rimpianto che resta e che ancora si frappone tra un figlio e il proprio padre.

Il ruolo della bella Veronika

Mark intraprende insieme a Simon e a Spud un percorso di riconciliazione con il passato in cui si inserisce la figura della giovane e bella Veronika, la ragazza bulgara che Sick Boy considera la propria fidanzata. Veronika cerca di avvicinarsi ai ragazzi e prova in tutti i modi a comprenderli, ma si rende presto conto di come lei e loro siano figli di tempi diversi, troppo distanti per riuscire a conciliarsi. Il suo personaggio è tuttavia centrale nella storia: la donna costituisce infatti l’anello di congiunzione tra Mark e Simon che rende possibile la loro riappacificazione, e soprattutto aiuta i ragazzi a scoprire il significato del tradimento di vent’anni prima. Non si è trattato di una cattiveria gratuita, come avevano sempre pensato, ma è stato figlio di un’opportunità, l’opportunità di cambiare le cose: se Mark non l’avesse colta sarebbe svanita nel nulla, condannando tutti e quattro a un futuro ancora più terribile del loro presente. Il tradimento è stato l’espressione della necessità che avevano di allontanarsi per un po’ l’uno dall’altro, e assume quindi contorni diversi che gli permettono di essere finalmente superato: si accende per Spud, Mark e Simon una piccola speranza, quella di poter finalmente contare l’uno sull’altro per superare le avversità.

L’inaspettato momento di tenerezza di Begbie

L’unico tra i quattro amici di un tempo che in T2 Trainspotting non riesce a sfruttare l’opportunità è Begbie, che il rancore ha definitivamente consumato. Ora tutti i suoi mates gli voltano le spalle: dopo Mark, lo tradiscono anche Simon (che gli nasconde il ritorno in città di Renton) e Spud (che lo tramortisce con la tazza di un water nelle drammatiche scene finali), ormai consci di come per lui non ci sia più niente da fare. Lo stesso Begbie è consapevole di non essere più in grado di cambiare, ma nonostante tutto riesce a sua volta ad acquistare una certa lucidità mentre guarda al proprio passato, e si rende conto delle responsabilità dell’alcolismo del padre nei confronti della formazione della propria personalità. Per la prima volta si lascia andare ad un momento di intimità e tenerezza mentre esprime al figlio il desiderio che ha per lui di un destino diverso dal suo, che non era nato con la cattiveria nel sangue, come aveva sempre creduto, ma che era diventato tale perché aveva seguito le orme oscure del padre.

La nostalgia, il passato, la colonna sonora: i grandi meriti di Danny Boyle

Per quanto riguarda il lavoro del regista, Danny Boyle ha saputo gestire con grande maestria le quintalate di nostalgia che ha riversato su T2 Trainspotting, facendo molta attenzione a non cadere mai nell’autoreferenzialità ma gestendo molto bene il mix di scene nuove, ricreate e prese in prestito dal primo film. Alcuni richiami alla pellicola precedente sono sottili, come la vista del bagno sporco della discoteca che richiama alla memoria il cesso più sporco di Scozia; altri sono direttamente richiamati con scene d’archivio, come quando Spud rivede il mitico inseguimento del primo Trainspotting in una Calton Road rimasta esattamente uguale a quella di un tempo. La vetta più alta della nostalgia però è costituita da una delle ultime scene, in cui Begbie cerca di uccidere Mark: i due uomini, ripresi dall’altro, ripercorrono l’inizio del loro rapporto e letteralmente ritornano bambini, poi di nuovo adulti, e poi ancora bambini, in un passaggio commovente che porta a chiedersi come abbia fatto un’amicizia cominciata così lontano a sfociare in un odio tanto profondo. Menzione speciale per la colonna sonora di T2 Trainspotting, una cornice perfetta: ancora una volta non si poteva davvero chiedere di più a Danny Boyle e compagnia.

T2 Trainspotting, un film che guarda indietro

Insomma, T2 Trainspotting è un film che guarda indietro, al proprio passato e a quello dei propri protagonisti, e racconta con estrema efficacia cosa succede in quei momenti in cui si comincia a tirare le somme della propria vita e a ripercorrere a ritroso i propri passi, tra i rimpianti e i chissà. Ed è questa caratteristica che lo rende forte, che lo rende vivo, come se il film stesso forse una persona capace di pensare e di respirare e di sentire i segni del tempo; lo ha detto molto bene Ewen Bremner: «Il film gusta le cicatrici che la vita ha lasciato sui personaggi»

Il Choose Life di T2 Trainspotting

Ma in tutto questo viene da chiedersi: che fine ha fatto il monologo più celebre, quel Choose Life del primo Trainspotting entrato nell’immaginario comune? Danny Boyle non se l’è dimenticato, ma l’ha rivisitato, e di fatto chiude con esso un cerchio apertosi vent’anni prima; Renton lo introduce con una certa nostalgia a Veronika, presentandolo come un vecchio gioco, e nel frattempo lo trasfigura usandolo per catturare le nuove problematiche degli anni dieci, all’apparenza tanto diverse da quelle degli anni novanta ma in realtà così simili da poter essere raccontate a loro volta con la forma del Choose Life. Perché in fondo il mondo cambia; ma noi, beh, noi esseri umani non cambiamo mai per davvero.

La versione in lingua originale
La versione italiana

«Scegli biancheria intima firmata nella vana speranza di dare una botta di linfa vitale a una relazione defunta. Scegli le borse, scegli le scarpe con i tacchi, il cachemire e la seta, così sentirai quello che spacciano per felicità. Scegli un iPhone fatto in Cina da una donna che si è buttata dalla finestra, mettilo nella tasca della giacca fresca di una fabbrica di schiavi del Sud-est asiatico. Scegli Facebook, Twitter, Snapchat, Instagram e mille altri modi per vomitare la tua bile contro persone mai incontrate. Scegli di aggiornare il tuo profilo, dì al mondo cos’hai mangiato a colazione, spera che a qualcuno da qualche parte freghi qualcosa. Scegli di cercare vecchie fiamme augurandoti caldamente di non essere inguardabile come loro. Scegli di scrivere un live blog dalla prima sega all’ultimo respiro, interazione umana ridotta a niente più che dati. Scegli 10 cose sconosciute sulle celebrità che hanno fatto la plastica. Scegli di strepitare sull’aborto. Scegli battute sullo stupro, di sputtanare, il porno per vendetta e un’ondata infinita di deprimente misoginia. Scegli che l’11 settembre non è mai successo, e se mai sono stati gli ebrei. Scegli un contratto a zero ore, un viaggio casa-lavoro di due ore, e scegli lo stesso per i tuoi figli ma peggio, e magari dì a te stesso che era meglio se non nascevano, e poi sdraiati e soffoca il dolore con una dose sconosciuta di una droga sconosciuta fatta in una qualche fottuta cucina. Scegli le speranze non realizzate, desiderando di aver agito diversamente. Scegli di non imparare mai dai tuoi errori, scegli di osservare la storia che si ripete, scegli di riconciliarti lentamente con quello che puoi ottenere, invece di quello che hai sempre sperato, accontentati di meno e fa buon viso a cattiva sorte. Scegli la delusione, scegli di perdere le persone care, quando spariscono dalla vista un pezzo di te muore con loro, finché non vedrai che un giorno nel futuro una per volta saranno sparite tutte e di te non rimarrà niente, né di vivo né di morto. Scegli il futuro, Veronika. Scegli la vita.»

Leggi altri articoli della categoria Cinema

Seguici sui nostri social:

Facebook: Aquile Solitarie

Instagram: Aquile Solitarie (@aquilesolitarieblog)

Twitter: Aquile Solitarie (@AquileSolitarie)