Sound of Metal (2019) – La sordità e il valore del silenzio

Di Washoe

Immagina di essere dipendente dall’eroina. Immagina di lottare per venirne fuori, immagina di riuscire a trovare qualcosa che riempia il vuoto lasciato dalla droga. Immagina poi che questo qualcosa ti sia tolto all’improvviso, e che con esso tu corra il rischio di perdere tutto ciò che ti è più caro. Questa è la situazione in cui si immerge lo spettatore di Sound of Metal (2019) di Darius Marder: il dramma di un uomo che si ritrova improvvisamente a perdere tutto e a fare i conti con una realtà estremamente diversa da quella a cui era abituato, senza possibilità di tornare indietro.

La trama

Ruben Stone (Riz Ahmed) è il batterista del duo punk-metal Blackgammon, composto da lui e dalla sua fidanzata Lou (Olivia Cooke). Mentre sono impegnati in un tour durante il quale vivono e viaggiano in un grande camper, un improvviso fuori programma arriva a sconvolgere le loro vite: senza una motivazione apparente, Ruben perde l’udito. Per un musicista si tratta di una catastrofe; Lou si preoccupa presto per la salute del fidanzato, temendo una ricaduta nel vortice dell’eroina da cui era uscito soltanto quattro anni prima, grazie anche al suo aiuto. Ruben non vede altra soluzione se non quella di farsi innestare un impianto cocleare, credendo che gli avrebbe permesso di recuperare completamente l’udito. Si tratta però di un’operazione costosa e pericolosa e così, per il momento, Lou riesce a convincerlo ad aggregarsi ad una comunità di sordi che abita in una grande casa incastonata nelle campagne.

In viaggio
Ruben e Lou in viaggio durante il tour

La comunità e il finale di Sound of Metal

La comunità è gestita da Joe (Paul Raci), veterano del Vietnam (dove aveva perso l’udito a causa di una bomba) ed ex-alcolizzato; la vita all’interno della struttura si basa sulla convinzione che la sordità non sia un handicap né qualcosa da sistemare, ma una maniera diversa di rapportarsi col mondo. Qui Ruben inizia ad imparare il valore del silenzio, dell’immobilità, della calma, dei gesti e delle espressioni, nonché il linguaggio dei segni, e si impegna in alcune attività a favore della comunità, lavorando come volontario in una classe di bambini sordi. Tuttavia, vedendo di nascosto un video di Lou dal computer della struttura, Ruben sembra farsi prendere dalla nostalgia e dimenticare tutto quello che aveva imparato: vende il camper, gli strumenti musicali, tutto quanto possiede e si sottomette alla chirurgia. Così facendo tradisce l’idea su cui si regge la comunità e viene cacciato da un Joe visibilmente deluso e rattristato, costringendolo a rifugiarsi da Lou, nel frattempo tornata dal padre a Parigi. Lì, dopo essersi confrontato con la nuova realtà della ragazza e con la propria (l’impianto cocleare, che lui credeva avrebbe risolto tutti i suoi problemi, permette in realtà soltanto di percepire suoni metallici: the Sound of Metal), ha una rivelazione, e nella scena finale sembra finalmente comprendere la lezione impartitagli da Joe.

Riz Ahmed
Ruben nel finale

I contrasti

Il film si nutre di improvvisi contrasti che coinvolgono soprattutto la componente sonora, assolutamente centrale nell’economia del film (e in una pellicola sulla sordità non poteva che essere così). Si parte forte: lo spettatore viene lanciato nella storia nel mezzo di un concerto di Blackgammon, tra pubblico, corpi sudati e un suono duro e fortemente distorto. Poi, l’improvviso cambio: si viene catapultati al mattino dopo, in un silenzio interrotto dai rumori lontani del traffico, dal suono dei barattoli della cucina, del frullatore, e da quello di un vinile di delta blues che non ha nulla a che vedere con la musica di pochi istanti prima. Ciò che è importante notare è però la stretta relazione che c’è tra i due diversissimi “universi sonori”, che si può comprendere una volta che si conosce il passato di dipendenza di Ruben: il primo mondo, fatto di rumore forte e totalizzante, è ciò che rende possibile il secondo, composto dai suoni di una normalissima vita quotidiana. La musica, la distorsione, il ritmo forsennato è ciò che rende Ruben, ironicamente si potrebbe dire, sordo al richiamo dell’eroina, perché distoglie la sua attenzione e gli impedisce di dare ascolto ai suoi fantasmi. Quando questo viene meno, il problema potrebbe ripresentarsi: il rischio di una ricaduta nel tunnel della droga è forse la conseguenza più pericolosa della sua sordità.

Il contrasto tra i due mondi: il rumore del concerto e la quiete del giorno dopo

L’esperienza sonora offerta da Sound of Metal

Il disagio provato da Ruben nella sua nuova situazione è riprodotto in maniera estremamente efficace dai suoni della pellicola, che sono valsi un meritatissimo Premio Oscar per il miglior sonoro a Nicolas Becker. Fischi e distorsioni si alternano a suoni ovattati e naturali, il rumore si dà il cambio con il silenzio, a volte creando tensione, a volte invece spostando ad arte l’attenzione dello spettatore, per focalizzarla alternativamente sul suono, sull’immagine, sull’interiorità dei protagonisti. Ma l’idea più interessante (assieme alla scena in cui si mostra come risuona ad un orecchio udente una conversazione al tavolo di un gruppo di sordi) è il tentativo di calare lo spettatore nei panni di Ruben, ovattando i rumori quotidiani quando lui li percepisce ovattati, disponendo un silenzio totale quando lui non sente più nulla, e riproducendo il suono metallico percepito attraverso un impianto cocleare: allo spettatore viene offerta la stessa esperienza sonora del personaggio, contribuendo a creare un forte legame empatico con lui. Ed è per questo che, si potrebbe dire, il film risuona anche nei lunghi silenzi, perché sono densi di significato ed espressività: una caratteristica certo non comune nel mondo del cinema e nella frenesia del mondo moderno in generale.

Nicolas Becker
Nicolas Becker, curatore del suono di Sound of Metal (fonte: deadline)

L’ottimo lavoro di Riz Ahmed e Paul Raci

Il resto, nella creazione dell’empatia, lo fa l’ottima prestazione di Riz Ahmed, che ha dichiarato di aver studiato per mesi batteria e linguaggio dei segni con l’obiettivo di calarsi nei panni di Ruben. Ma è evidente che la preparazione non si sia limitata a questi meri aspetti tecnici: Ahmed è stato in grado di offrire un personaggio credibile e in cui è facile identificarsi, raccontandone le inquietudini spesso senza usare le parole (che in Sound of Metal rivestono un’importanza secondaria), ma trasmettendo le sensazioni attraverso i gesti, le espressioni, lo sguardo, e quegli occhi spaventati da gufo che valgono al personaggio il suo nome nel linguaggio dei segni. Ruben viene efficacemente rappresentato da Ahmed per quello che è: un uomo a cui è crollato il mondo addosso e che ha una paura tremenda di non poter ritrovare più il proprio posto nella società. Ma una menzione speciale va anche a Paul Raci, l’interprete di Joe: utilizzando la propria esperienza (i suoi genitori erano entrambi sordi) dà vita ad un personaggio emozionante, saggio, che sa catturare il cuore dello spettatore con uno sguardo così penetrante che sembra bucare lo schermo.

Paul Raci
Paul Raci nel ruolo di Joe

Il valore dell’immobilità e del silenzio

E il personaggio di Raci è fondamentale nel film, poiché è colui che evidenzia gli sbagli di Ruben e prova a trasmettere al protagonista una filosofia nuova. Ma i suoi sono insegnamenti che Ruben fatica a recepire, perché prevedono la valorizzazione dell’immobilità, stato non previsto nel suo stile di vita, in cui ogni secondo deve essere in qualche modo riempito per evitare di cadere nella tentazione dell’eroina. Ruben, come spiega Joe poco prima di cacciarlo dalla struttura, nonostante sia sobrio da qualche anno è ancora fondamentalmente un drogato, che ha semplicemente sostituito l’eroina con qualcos’altro: l’attività frenetica, la musica, la sua fidanzata. Soltanto quando riuscirà a restare immobile, in silenzio e in serenità, potrà dire di aver superato il proprio problema. Ma prima di comprenderlo dovrà sbattere il naso più e più volte e liberarsi dal fardello delle proprie illusioni: l’ultima, la più importante, è quella di poter recuperare l’udito attraverso la chirurgia, e con esso quel surrogato della droga che era per lui la musica. Quando si scontrerà con la verità, ossia quando capirà che l’impianto cocleare non gli restituirà mai i suoni per quello che erano prima, e riuscirà ad abbracciarla, potrà raggiungere quella pace che Joe prospettava per lui. E finalmente restare seduto, nel silenzio, senza fare nulla, con i problemi alle spalle e una vita nuova davanti, da vivere con una prospettiva differente su di un mondo in cui il suono è soltanto un aspetto secondario.

Marder e Ahmed
Darius Marder (sinistra) e Riz Ahmed (destra) (fonte: latimes)

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