Sopra eroi e tombe, di Ernesto Sabato – Parte II: il segreto rivelato, Lavalle e la speranza

Di Washoe

Prima di proseguire leggi qui la prima parte dell’articolo

Gli indizi

Il grande peccato di cui si è macchiata Alejandra non viene esplicitato nel romanzo, ma soltanto suggerito attraverso piccoli dettagli, lasciato all’intuizione dei lettori più accorti. Ed è una colpa condivisa con Fernando, che per questo non viene risparmiato dalla sua furia catartica. Un primo indizio su quale sia la verità è dato dall’impressione che ha Martín la prima volta che vede insieme Alejandra e il padre. In quel frangente li crede amanti: impressione che apparentemente sembra dettata dalla gelosia (e che si dissolve una volta rivelata la parentela), ma che si carica poi di significati oscuri e inquietanti. Il secondo indizio arriva sempre da Martín, quando afferma di aver visto entrare Alejandra in una casa precisa nel barrio di Belgrano: è la stessa casa in cui, stando al Rapporto sui ciechi, si introduce Fernando prima della sua allucinante discesa agli Inferi, della sua ierogamia, del suo rapporto sessuale con la cieca. 

René Magritte, Gli amanti, 1928

L’incesto

Ed ecco qui che si palesa la sconcertante verità: la dea e la cieca non sono invenzioni della fantasia di Fernando, ma sono proiezioni di Alejandra, la vera donna con cui si congiunge nel segreto di quella casa. L’allucinazione è il suo modo malato di guardare alla loro unione incestuosa, forse nel tentativo di negare a se stesso l’esistenza di certi impulsi aberranti. Ma l’allucinazione per un istante svanisce, e di fronte a lui si rivela la verità.  

“Un lampo potente mi abbagliò, e per un istante ebbi la vertiginosa e ora inequivocabile rivelazione: era lei!”

Ernesto Sabato, Sopra Eroi e Tombe, Rapporto sui ciechi

“Lei” si riferisce dunque ad Alejandra, che riconosce in un momento di lucidità; e l’identificazione lei-Alejandra diventa ancora più chiara con l’ultima frase del Rapporto, con la quale Fernando annuncia il proprio appuntamento con la morte.

“È mezzanotte, ci vado. So che lei mi sta aspettando.”

Ernesto Sabato, Sopra Eroi e Tombe, Rapporto sui ciechi

Un rito funebre

Fernando va dunque consapevolmente incontro alla propria fine come se anche lui fosse in cerca di una punizione; tuttavia, l’episodio della sua morte si carica anche di altri significati. Significati che scaturiscono dall’immagine dell’immenso rogo che divora il suo corpo, quello di Alejandra, e poi l’intera villa di Barracas degli Olmos: è l’atto finale di una famiglia nobile che si estingue in un ultimo bagliore di grandezza, venuto ad emendare anni di decadenza e generazioni di folli, riportandola seppure in maniera tragica sullo stesso piano epico a cui si era elevata negli anni gloriosi delle guerre civili. Il rogo, tuttavia, non va inteso come una punizione per la famiglia intera, il castigo per non essere stata in grado di adeguarsi al progresso della nazione: Sabato guarda agli Olmos non con disprezzo ma con tenerezza e compassione, come si guarda alla vittima di un crimine; in questo caso, il colpevole è la ferocia del trascorrere moderno del tempo, che tratta chi non si adegua come un giocattolo vecchio da buttare nella spazzatura. In fondo, la conclusione della storia degli Olmos può essere letta come un omaggio alla famiglia da parte di Sabato: il viaggio-pellegrinaggio di Fernando, la ierogamia e il grande incendio diventano momenti di un ancestrale rito funebre, profondamente tragico e spirituale, che saluta una famiglia con la quale sembra morire l’antico spirito argentino, soppiantato ormai da quello capitalistico nordamericano.  

Ernesto Sabato (fonte: elespanol)

La figura di Bruno

Nella quarta parte, intitolata Un Dio sconosciuto, assume centralità il personaggio di Bruno, che per tutto il romanzo era stato una presenza costante ma un po’ nascosta. A Bruno è affidato il compito di tirare le fila della storia, gettando nuova luce su Fernando attraverso il racconto della sua vita, depurato da allucinazioni e paranoie. Bruno diventa in questa parte ancora di più il centro di gravità della vicenda, legato in qualche modo a tutti i personaggi e per questo capace di trarre le giuste conclusioni dai fatti che apprende in maniera sparsa. In particolare ha il ruolo di confidente di Martín, l’unico suo appiglio per sfuggire alla solitudine; per questo è in realtà attraverso Bruno che conosciamo i pensieri del giovane, che li riferisce intervallandoli con commenti dal carattere quasi paterno. Non solo: in un certo senso egli è anche l’alter ego di Ernesto Sabato, ossia il mezzo scelto dall’autore per calarsi personalmente nella storia senza fare rumore. A lui sono affidati i pensieri, le riflessioni, le idee che lo scrittore vorrebbe evidenziare, e che esplicita attraverso uno dei personaggi per non interrompere il flusso della narrazione.

La ricerca di Dio

Oltre al racconto della vita di Fernando, però, nell’ultima sezione si sviluppa anche la conclusione della storia di Martín e Alejandra. Sebbene la relazione fosse già terminata da tempo, infatti, il ragazzo non era ancora riuscito a liberarsi dal fantasma di lei, ossessionato dai volti che non gli era stato concesso di vedere e oppresso da un senso di incompiutezza dovuto alla sua morte troppo brusca. Per giorni, dopo l’incendio del palazzo di Barracas, Martín vaga come un naufrago per le strade di Buenos Aires, alla ricerca di una spiegazione per tutto quanto il destino ha riversato su di lui, o almeno di una consolazione che lo aiuti a superare il trauma di Alejandra. Nel suo peregrinare riflette soprattutto sull’esistenza di Dio, di quel Dio che ha sempre sentito lontano e che non ha mai avuto modo di conoscere. Dov’era Dio quando la madre incinta di lui saltava la corda per abortire? O quando il suo cagnolino incolpevole veniva schiacciato da un camion davanti ai suoi occhi? E ancora: dov’era in quei momenti di solitudine e dolore, in cui sentiva il bisogno di trovare un senso ad un’esistenza che non sembrava averlo? Devastato dal dolore per la morte di Alejandra, Martín sente di avere un conto aperto con quel Dio sconosciuto, di avere diritto ad una compensazione. E allora lo sfida: se esiste, se è tanto potente come si dice, che gli mandi un segnale, un segnale qualsiasi, o altrimenti si suiciderà.

Giovanni Fattori, Tramonto sul mare

La speranza e la solidarietà

Ma proprio quando tutto sembra più buio, dopo il susseguirsi di dolori, inganni, follia, decadenza, incesto, morte e fuoco, ecco che Ernesto Sabato estrae dal vaso di Pandora un fioco barlume di speranza. Quel segnale di salvezza che Martín attendeva arriva, e prende una forma tanto semplice come quella di una povera e giovane donna, una madre sola di nome Hortensia Paz, che lo raccoglie dalla strada ubriaco e si prende cura di lui senza aspettarsi nulla in cambio. La sua figura positiva contrasta fortemente con quella della madre di Martín e gli fa scoprire il vero significato del termine maternità, parola che quando allarga i propri orizzonti si trasforma in quella solidarietà che ha il potere di salvare vite. Il ragazzo esce dalla casa di Hortensia ed è come fosse rinato a vita nuova, finalmente capace di guardare al futuro con speranza e di lasciarsi alle spalle Buenos Aires, con dentro tutto ciò che ha significato per lui. Parte allora con un tale Bucich, un umile camionista, e inizia una nuova esperienza come suo garzone, percorrendo le strade della sconfinata pampa del sud dell’Argentina.

La cavalcata degli uomini di Lavalle

Le ultime esperienze di Martín si intrecciano però con una vicenda parallela, avvenuta molti anni prima. Si tratta dell’ultimo viaggio degli uomini del generale Juan Lavalle, i quali ai tempi delle guerre civili argentine della metà del XIX secolo cavalcarono per giorni portandosi dietro il cadavere in putrefazione del proprio comandante, con il solo scopo di non far cadere la sua testa in mano ai nemici. La loro fu una missione disperata e in fondo inutile, e per questo ancora più commovente e grandiosa, perché spinta soltanto dall’amore disinteressato per l’uomo che era stato il loro esempio e la loro guida. Il racconto della ritirata è narrato in diversi frammenti che si alternano alle vicende di Martín, e le due storie stringono un legame profondo, sebbene appaiano fondamentalmente eterogenee. L’accostamento fa però sì che ciascuna benefici della vicinanza dell’altra: la cavalcata si carica di sfumature di quotidiano, venendo avvicinata alla vita delle persone comuni; la storia del ragazzo, invece, assume grazie agli uomini di Lavalle un connotato eroico, diventando la sublimazione ad epica delle fatiche e delle miserie degli uomini di tutti i giorni. 

Rappresentazione della cavalcata con il corpo di Lavalle (fonte: Wikipedia)

L’epica e lo spazio della pampa

D’altronde, con Sopra eroi e tombe Sabato prova a regalare un quadro completo della sua Argentina, senza trascurare nulla: Gardel e il tango, la passione sfrenata per il fútbol, gli arrampicatori sociali, i peronisti e gli anarchici, gli avidi e i generosi, gli emigrati e le loro nostalgie. Ma il racconto di una nazione non può prescindere dalla sua epica, che sempre influenza le sorti delle persone che le appartengono; ed è qui che si inserisce la storia della cavalcata. Che poi, in realtà, i parallelismi tra la ritirata del battaglione di Lavalle e le peripezie di Martín ci sono, eccome. Sono entrambe la vicenda di uomini che hanno perso il senso della propria esistenza, chi per una guerra finita male e chi per la dissoluzione di un amore, e che l’hanno ritrovato in cose all’apparenza inutili: la carezza di una sconosciuta, la salvaguardia di una salma. Il viaggio di Martín verso la Patagonia e la fuga degli uomini di Lavalle verso la Bolivia sono in fondo l’estremo tentativo di lasciarsi alle spalle un passato doloroso, e di lanciarsi verso un futuro che offre possibilità inesplorate. Per questo, l’immagine con cui si conclude il romanzo è la degna conclusione di tutte le storie che ha raccontato: nonostante il fuoco, nonostante il dolore, nonostante la ritirata, resta ancora e sempre qualcosa per cui vivere, una speranza vaga ma profonda e reale, simboleggiata dall’interminabile spazio di cristallo della pampa.

Bucich gli indicò il posto per dormire, nel rimorchio, stese i materassini, preparò la sveglia, disse: «Alle cinque si fila, eh», e poi si allontanò di qualche passo per orinare. Martín credette fosse suo dovere non essere da meno dell’amico.

Il cielo era trasparente e duro come un diamante nero. Alla luce delle stelle, la pampa si estendeva verso l’immensità sconosciuta. L’odore caldo e acre dell’orina si mescolava ai profumi della campagna. Bucich disse:

«Quanto è grande ‘sto nostro paese, pibe…»

E allora Martín, contemplando la sagoma gigantesca del camionista contro quel cielo stellato, mentre orinavano insieme, sentì una pace purissima entrare per la prima volta nella sua anima tormentata.

Scrutando l’orizzonte, mentre si abbottonava, Bucich aggiunse:

«Be’, a dormire, pibe. Alle cinque filiamo. Domani attraversiamo il Colorado.»

Ernesto Sabato, Sopra Eroi e Tombe

Leggi qui la prima parte dell’articolo

Prilidiano Pueyrredón, Tramonto della pampa (fonte: picturingtheamericas)

Leggi altri articoli della categoria Letteratura o sulla Letteratura Latinoamericana

Seguici sui nostri social:

Facebook: Aquile Solitarie

Instagram: Aquile Solitarie (@aquilesolitarieblog)

Twitter: Aquile Solitarie (@AquileSolitarie)