Sopra eroi e tombe, di Ernesto Sabato – Parte I: i misteri di Alejandra

Di Washoe

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Il secondo romanzo di Ernesto Sabato, Sopra eroi e tombe (1961), sembra scritto per disorientare. Non soltanto il lettore, ma anche i suoi stessi personaggi, grazie a un intrico di immagini e storie che si distorcono tramite la lente del sogno, del delirio o del sentimento. Le pagine di Sabato, spesso definite come un romanzo totale per via dei molti livelli su cui si sviluppano (narrativi, poetici, filosofici, persino antropologici), ci portano in un viaggio attraverso Buenos Aires, dalla superficie alle sue profondità più recondite, in un racconto che si nutre dell’inconsistente e appassionato spirito argentino, tra personaggi grotteschi e visioni malinconiche che esprimono il vero spirito di una nazione intera.

L’incontro: Martín e Alejandra

L’opera si divide in quattro parti, di cui tre sono immediatamente interconnesse e una, centrale, sembra prendere vita e diventare quasi un racconto a sé, in una struttura a scatole cinesi (non è esattamente vero, ma ci arriveremo più avanti). Nella prima sezione, intitolata Il drago e la principessa, si narra del misterioso incontro tra i giovanissimi portegni Martín e Alejandra, accanto alla statua di Cerere nel parco Lezama di Buenos Aires. Il primo, ragazzo introverso e insicuro, è figlio di un pittore fallito e di una madre che lo odia con tutta se stessa, tanto da rinfacciargli di essere letteralmente un aborto mancato; la seconda è invece la forte e affascinante ultima discendente degli Olmos, antica famiglia nobile decaduta, che aveva dato all’Argentina numerosi ufficiali nelle guerre di indipendenza e nelle guerre civili. L’incontro è all’apparenza casuale, ma da lì inizia una travagliata storia d’amore, destinata fin da subito ad avere un finale improvviso e doloroso. Martín vede in lei una sorta di strumento di redenzione per la sua vita difficile, la persona capace di allontanarlo dalle sue insicurezze e di accompagnarlo nel complicato cammino dell’età adulta; Alejandra non è da meno, perché sembra riconoscere in Martín un non ben definito carattere salvifico, in grado di aiutarla a combattere i propri mostri e cambiare le sorti di un destino di sofferenza che sente essere già scritto per sé. 

Il parco Lezama a Buenos Aires (fonte: getyourguide)

La principessa-drago

Non è una relazione facile, la loro: più Martín cerca di conoscerla e più il mistero di Alejandra si infittisce. Lui si sente costretto a fermarsi soltanto sulla soglia della sua anima, e da lì vede quel che può. L’immagine che gli si presenta di fronte è straordinaria, perché in Alejandra crede di riconoscere al contempo la figura di una principessa e quella di un drago: come se aspettasse di essere salvata da un principe, ma allo stesso tempo avesse in lei quel mostro mitologico che uccide nel fuoco chiunque si avvicini. 

Come se il principe, pensava, dopo aver percorso vaste e solitarie lande, si trovasse finalmente davanti alla grotta dove lei dorme sorvegliata dal drago. E come si accorgesse che il drago non vigilava al suo fianco, minaccioso – come lo immaginiamo nelle fiabe infantili – ma dentro di lei. Come se lei fosse una principessa-drago, un indivisibile mostro, casto e fiammeggiante insieme, candido e ripugnante allo stesso tempo, come se una purissima bimba vestita da prima comunione avesse incubi di rettili o pipistrelli.

Ernesto Sabato, Sopra eroi e tombe

Alejandra sa qual è la propria natura, e teme che il drago possa un giorno ferire Martín, o addirittura ucciderlo. Per questo, quando si accorge che il ragazzo non è sufficiente ad assopire i mostri che ha in sé lo allontana, senza riuscire a dargli le spiegazioni che lui sente di meritare.  

Paolo Uccello, San Giorgio e il drago, olio su tela (57×73 cm), National Gallery di Londra, 1460 ca

I volti misteriosi di Alejandra

La seconda parte porta il titolo emblematico de I volti invisibili, e si concentra sul progressivo allontanamento tra Martín e Alejandra. I volti invisibili del titolo sono innanzitutto quelli della ragazza, quelli che lei sceglie di non mostrare a Martín e che lui anela con tutto se stesso, nel desiderio di abbracciare ogni sfaccettatura della persona che ama. Eppure, a lui è concesso soltanto di accedere a fugaci sprazzi di quei volti, quando, per coincidenze e giochi del caso, riesce nello spazio di un istante a illuminarli con la fiamma di un accendino (immagine che ricorre nella produzione letteraria di Sabato, in quanto esemplificazione perfetta della conoscenza intuitiva). Martín ne soffre e glielo fa presente, ma più cerca di scoprire le sfumature nascoste di Alejandra e più lei si allontana, impaurita da ciò che potrebbe venire alla luce. È evidente che lei nasconda segreti terribili, di cui vuole mantenerlo all’oscuro. Così, la distanza tra i due aumenta piano piano e diventa ad un certo punto incolmabile, testimoniata dal fatto che si parlano e non si ascoltano, si guardano e non si vedono; pensano, e pensano a cose diametralmente opposte, come se ormai avessero preso due strade destinate a non incrociarsi mai più.

Gli altri volti invisibili

Ma i volti invisibili sono anche i volti delle persone che gravitano attorno ad Alejandra, persone che lei disprezza e che pure sembrano allontanarla da Martín, attraverso una forza di cui lui non riesce a concepire la natura. Sono invisibili, ma non perché non li abbia mai visti: Bordenave, Wanda o Quique, Martín sa perfettamente chi sono, ma è convinto che la maschera che mostrano a lui non può essere quella che attrae Alejandra, troppo disgustosa, troppo lontana dall’idea che ha di lei. Ciò di cui non si rende conto, però, è che il comportamento della ragazza non è influenzato da nessuno di questi, poiché sono persone che non hanno in realtà nulla da offrirle. C’è dell’altro: un altro volto, questo sì, invisibile per davvero, celato dietro al nome di Fernando. Nome che Alejandra si lascia scappare in un momento di distrazione, e che resta ad aleggiare come un ectoplasma sullo sfondo della storia: Martín sente che a esso è legato un aspetto centrale dell’esistenza della ragazza e si strugge cercando di capire in che modo, fino a quando finalmente il volto gli viene mostrato, accompagnato da una rivelazione inaspettata.

Emil Nolde, Maschere, 1911, 74×78 cm

Fernando e l’inquietante Rapporto sui ciechi

Fernando Vidal Olmos è il padre di Alejandra, un folle complottista ossessionato dall’idea di una setta segreta di ciechi che governa il mondo. Questi si appropria del romanzo nella terza parte, intitolata Rapporto sui ciechi, e getta su di esso ombre lunghe dai contorni incerti. La sezione è narrata in prima persona da Fernando stesso, che a suo dire si propone di raccontare in maniera oggettiva la propria indagine sui ciechi e sui loro complotti. Sebbene ripeta a più riprese l’intenzione di limitarsi ai fatti, appare evidente fin da subito come il suo racconto sia piuttosto il frutto di un lungo delirio, la visione distorta di un uomo che trasforma ciò che gli accade e trova significati nascosti dove non ce ne sono. Tra un’avventura e l’altra (tra cui si evidenzia, tra le altre cose, un riferimento diretto alla storia di Juan Pablo Castel, il protagonista de Il tunnel) appare evidente come Fernando non sia in grado di distinguere i fatti dai sogni (o dagli incubi), e il Rapporto, dunque, non può che concludersi con un’allucinazione: dopo essere entrato in una casa del barrio di Belgrano, Fernando crede di cadere prigioniero di una donna cieca, che al termine di un lungo incubo si trasfigura in una sorta di divinità demoniaca e intrattiene con lui un inquietante rapporto sessuale.

Illustrazione del Rapporto sui ciechi, Luis Scafati

Il legame tra la famiglia Olmos e il Rapporto

Il Rapporto sui ciechi possiede un’autonomia narrativa tutta sua, tanto da essere stato anche pubblicato da solo, in un volume a parte; eppure, estrapolarlo dal contesto del romanzo rischia di privarlo del suo vero significato. La vicenda è infatti fortemente legata al destino degli Olmos, a quello di Alejandra, e di rimando dunque a quello di Martín: l’incubo finale di Fernando, in cui egli crede di attraversare lande desolate dai colori espressionisti, tra idoli giganteschi e mostri paurosi, è l’emblema di quanto è successo alla gloriosa famiglia. Gli Olmos, un tempo onorati e rispettati, hanno perduto il contatto con il mondo reale e vivono in un universo a parte, riducendosi ad avere come esponenti di rilievo la folle Escolastica, vissuta per decenni accanto alla testa mozzata del padre, il matto Bebe, che passa la vita con in mano un clarinetto, o il vecchio nonno Pancho, ormai rincitrullito dalla senilità e dai ricordi che si sovrappongono alla realtà. E, soprattutto, Fernando e Alejandra: la ragazza, l’ultima discendente, è colei che è destinata a riportare gli Olmos alla realtà, distruggendo la famiglia come fosse un ammasso di cellule tumorali, attraverso l’unico elemento primordiale adatto ad assolvere a questo scopo: il fuoco. 

L’ansia di purificazione e un segreto dietro alla morte di Alejandra

Alejandra, infatti, si chiude con il padre nella propria camera della villa di famiglia, uccide Fernando a colpi di pistola e poi dà tutto quanto alle fiamme. Scegliendo di morire bruciata senza prima spararsi, Alejandra sembra voler espiare una colpa non ben precisata, a cui allude anche il frammento di cronaca riportato all’inizio del romanzo. In effetti, non sarebbe la prima volta in cui la ragazza dimostra una tensione quasi folle verso l’idea della purificazione, come rivelato in vari momenti del romanzo. 

«Non rido, piccolo. Forse sorrido di me stessa, dell’idea assurda di lavarmi l’anima con acqua e sapone. Se vedessi come mi strofino furiosamente.»

Alejandra in dialogo con Martín, Ernesto Sabato, Sopra eroi e tombe

D’altronde, questo si lega anche al suo passato di fanatica religiosa (raccontato in un ampio flashback) e al suo carattere che conosce soltanto gli assoluti, oscillando tra estremi di dolcezza e di asprezza profonda. Per questo, il suo gesto di purificazione e di autopunizione non può che essere estremo e terrificante, come la morte al rogo. Ma punizione per cosa?

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Ernesto Sabato (fonte: pangea)

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