Mediterraneo (1991) – di Gabriele Salvatores

Mediterraneo Aquile Solitarie

Di Washoe

Uscito nel 1991, Mediterraneo è uno dei film più importanti del regista Gabriele Salvatores, una commedia divertente ma anche malinconica, capace di catturare il sentimento di un pezzo d’Italia che si ritrovava in quegli anni in un paese che non riconosceva come proprio e da cui sentiva la necessità di fuggire. Nell’anno successivo all’uscita, il 1992, la pellicola si aggiudicò l’Oscar per il miglior film in lingua straniera.

Megisti, l’ambientazione di Mediterraneo

È il 1941, e la Seconda Guerra Mondiale infuria attorno al Mare Mediterraneo. Un manipolo sgangherato di soldati italiani, guidati dal Tenente Raffaele Montini (Claudio Bigagli), insegnante di ginnasio appassionato di pittura, viene mandato su di un isolotto dell’Egeo dimenticato da tutti, Megisti, di importanza strategica pari a zero. Il gruppo comprende: il Sergente Maggiore Nicola Lorusso (un Diego Abatantuono che spicca sul resto del cast), un cialtrone che è però l’unico con qualche esperienza vera di guerra alle spalle; il timido Antonio Farina (Giuseppe Cederna); il disertore Corrado Noventa (Claudio Bisio), che cerca in tutti i modi di tornare dalla moglie che aveva lasciato incinta; il braccio destro di Lorusso, Luciano Colasanti; il montanaro Eliseo Strazzabosco, affezionatissimo alla propria mula Silvana; e infine i fratelli Libero e Felice Munaron, che prima della missione non avevano mai visto il mare.

Megisti
Una veduta di Megisti (fonte: grecia.info).

I soldati e il loro rapporto con l’isola

Presto si palesa l’inettitudine militare del gruppetto, che già durante la prima notte la combina grossa e uccide la mula di Strazzabosco: questi, accecato dall’ira, distrugge la radio, tagliando completamente fuori sé e i compagni dal resto del mondo. Intanto Megisti, che avevano trovato deserta, si ripopola all’improvviso, poiché gli abitanti, che si erano nascosti all’arrivo degli italiani, li scoprono diversi dai nazisti che li avevano preceduti sull’isola, e che avevano deportato tutti gli uomini del villaggio. La guerra diventa in fretta un ricordo lontano, e i soldati si immergono nella vita semplice degli isolani, assorbendone in parte le consuetudini: uno di loro, Farina, si innamora della bella prostituta dell’isola, Vassilissa (Vana Barba), e ne viene ricambiato. Il tempo trascorre lento, fino a quando non atterra sulla spiaggia un velivolo italiano in avaria e il pilota li aggiorna sulla situazione: è ormai il 1944, e l’Italia è divisa tra l’occupazione nazista e quella alleata; l’aviatore promette che presto sarebbe arrivato qualcuno a prenderli, e così è. Farina, tuttavia, sceglie di restare a Megisti con Vassilissa, e quando molti anni dopo il Tenente Montini tornerà a fargli visita lo troverà sorprendentemente insieme a Lorusso, fuggito anni prima da un’Italia postbellica che l’aveva fortemente deluso. I tre, riuniti dopo tanto tempo, si siedono attorno a un tavolo, finalmente in pace e lontano dalle delusioni, a tagliare melanzane sotto il bel sole del Mediterraneo.

Il tono di Mediterraneo

Il tono del film è variegato, e Salvatores sa farlo oscillare tra la leggerezza e la disillusione con grande padronanza, giocando sul rapporto tra questi due sentimenti che, spesso, sono fortemente interconnessi. Quella di Meditteraneo è una comicità un po’ burlona, tipicamente italiana per certi aspetti, ma che sa essere profonda e malinconica specie quando affidata al Sergente Lorusso, personaggio che sembra tagliato su misura per Abatantuono, con la sua spavalderia e una certa propensione all’esagerazione. E, forse proprio per questo, Lorusso è il personaggio più interessante, colui che viene segnato più profondamente da un’esperienza sull’isola che lo costringe a fermarsi e a guardare alle cose con distacco, da lontano, fino a scoprire un mezzo di lotta, o meglio di affermazione di se stesso,  che prima aveva sempre rifiutato, e che rappresenta la tematica chiave della pellicola: la fuga.

Lorusso
Lorusso (Abatantuono, a sinistra) e Colasanti (Ugo Conti).

“Dedicato a tutti quelli che stanno scappando”

È innegabile infatti che sia fuga la parola d’ordine che serve per penetrare in profondità in Mediterraneo, ed essa viene fornita senza tanti fronzoli da Salvatores stesso, che la evidenzia con due frasi molto chiare, poste una all’inizio e l’altra alla fine. Il film si apre infatti con una citazione di Henri Laborit: “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”, mentre si chiude con una dedica: “Dedicato a tutti quelli che stanno scappando”. E in effetti i protagonisti fuggono, dalla guerra, dall’Italia, dalla Storia, rifugiandosi in quell’angolo di paradiso che è l’isola su cui sono approdati, risparmiata dalle bombe e dalle mitragliatrici. Si potrebbe dire che non si tratta di una fuga voluta, in fondo, in quanto non per loro scelta sono stati abbandonati su Megisti; eppure, diventa volontaria più avanti, quasi retroattivamente, quando si accorgono di quanto sia immensamente più facile la vita sulle sponde dell’Egeo, liberi dai pensieri, liberi da certe regole sociali, liberi dalla paura della morte. Per questo i soldati non fanno nulla per tornare sul continente, e addirittura alcuni si stabiliscono sull’isola dopo la fine della guerra.

L’importanza del Mare Mediterraneo

In tutto questo, il Mediterraneo gioca un ruolo chiave, e non è un caso che dia il nome al film: il mare, infatti, con la sua bellezza antica, lo sciabordare ritmico delle onde, il clima mite e soleggiato, ammalia i soldati e risveglia in loro una nostalgia che non sapevano di avere: la nostalgia di una vita semplice, a contatto con la terra e con il mare, vissuta a ritmi lenti e rigeneranti, senza pressioni né preoccupazioni. Li fa scoprire inaspettatamente innamorati di una realtà bucolica che non conoscevano ma che era sempre esistita nel loro subconscio, simile anche a distanza di migliaia di anni a quella in cui viveva l’Omero tanto caro al tenente Montini, o alla Grecia cantata nel libro di poesie in cui si immerge Farina. Attraverso questa nostalgia, il Mediterraneo ha il potere di estrapolare quel manipolo di scappati di casa da una Storia troppo grande per loro, per lanciarli in una realtà fuori dal tempo, lontano dalle brutture opera di dittatori, generali e primi ministri; il mare cancella così tutte le divisioni create dalla guerra, e fa riscoprire fratelli i popoli che ne abitano le sponde: «Italiani e Greci, una faccia una razza». 

Lorusso: «Voglio dire, ma è meglio esser qua o in mezzo alla battaglia?»

Colasanti: «Proprio nel mezzo?»

Montini
Il Tenente Montini (Bigagli) e, sullo sfondo, il mare.

Il rinnovarsi della fuga

Tuttavia, la fuga dei soldati si conclude loro malgrado con l’arrivo dell’aviatore, che rappresenta la società venuta a catturarli a viva forza per riportarli nel mezzo degli eventi e porre fine a quella esperienza di vita. Non per tutti, però, l’evasione si esaurisce lì, anzi per qualcuno si rinnova e diventa pienamente consapevole: Farina resta sull’isola da disertore per vivere la propria storia d’amore con Vassilissa, mentre ormai anziano il tenente Montini trova finalmente, dopo tanti anni, il coraggio (o il pretesto) per ritornare lì dove era stato in pace. Ma la fuga più sorprendente ed emblematica è quella di Lorusso, che aveva sempre insistito sulla necessità di rientrare in patria e lottare per cambiare il paese: disilluso da un’Italia che, nel dopoguerra, fa grandi promesse ma non cambia di una virgola, sceglie ad un certo punto di scappare sull’isola, per lasciarsi alle spalle tutte le illusioni in cui aveva sempre ingenuamente creduto. 

Lorusso: «Non si viveva poi così bene in Italia, non ci hanno lasciato cambiare niente. E allora… e allora gli ho detto: avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice. Così gli ho detto. E sono venuto qui.»

L’Italia e il cambiamento mancato

In merito alla questione di un’Italia che resta sempre uguale a se stessa, fa sorridere una frase di un articolo sul film uscito sul Los Angeles Times del 1992, che recita: “È un evidente nonsenso, per esempio, asserire che la Seconda Guerra Mondiale non abbia cambiato nulla in Italia; tanto per cominciare, vogliamo parlare della sconfitta del fascismo?” Si tratta di una palese semplificazione fatta da un articolista (nordamericano) che parla di un mondo straniero senza aver capito nulla sulla sua natura: dopo la guerra le camicie nere non sono scomparse, ma hanno semplicemente cambiato casacca, diventando i maestri di un trasformismo che, a parte poche eccezioni, li ha mantenuti nella maggior parte dei posti del potere. Questo Salvatores lo sapeva: il Fascismo era finito, ma i fascisti non erano scomparsi e anzi non ne volevano sapere di lasciare il comando, stroncando sul nascere ogni velleità di rinnovamento; di fronte ad una situazione di questo tipo, l’unica soluzione che restava alla sua generazione era la fuga. Una fuga non tanto fisica dall’Italia, come capita a Lorusso, quanto piuttosto una fuga “concettuale” da una serie di valori troppo rigidi, da costruzioni sociali che hanno allontanato l’uomo dalla propria natura, mettendolo in competizione col proprio compagno; una fuga insomma verso un’isola ideale fuori dal tempo, immersa nel fascino eterno del Mediterraneo.

Gabriele Salvatores
Gabriele Salvatores (fonte: 21secolo.news)

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