Kurt Cobain, alla ricerca del Nirvana e della famiglia perduta

DI WASHOE

Kurt Cobain è stato definito spesso come un’anima fragile caduta sotto il peso di un talento enorme, che non è stato in grado di sopportare. Ma è un’idea che forse si allontana dalla realtà, proponendo una visione imprecisa dei contorni di questo grande artista di fine millennio. Perché in fondo nessuno nasce fragile: è una condizione che si costruisce negli anni dell’infanzia, quando le persone che gravitano attorno ad un bambino hanno il potere di indirizzare il suo destino. Ogni essere umano è come il carbonio: può essere diamante o grafite, duro o fragile, a seconda delle caratteristiche dell’ambiente in cui si sviluppa. Al diamante grezzo che era il piccolo Kurt non è stata data la possibilità di crescere in armonia, e attorno ad un cuore di cristallo prezioso si è formata una spessa crosta di grafite, nera come la notte. Insignificante, fragile grafite con la quale ha saputo scrivere poesie indimenticabili, ma che sotto i colpi di una vita instabile ha finito inevitabilmente per andare in frantumi.

La prima infanzia di Kurt

La storia di Kurt Cobain comincia il 20 febbraio del 1967 ad Aberdeen, una città dimenticata da Dio nell’estremo nord ovest degli Stati Uniti. L’inizio non è niente di speciale: il padre, Don, è un meccanico, mentre la madre Wendy si alterna tra due lavori diversi. Il quadretto è quello di una normalissima famiglia di lavoratori della classe media; eppure, c’è qualcosa in quel bambino che lascia presagire doti eccezionali, una sorta di fascino magnetico che attrae le persone, e che è il germe del suo futuro carisma da rock star. Disegna molto, il piccolo Kurt, e si diverte a suonare strumenti musicali diversi, per riprodurre le sue canzoni preferite. Quando Wendy parla dell’infanzia del figlio, i ricordi tratteggiano un bambino sereno e intelligente, che si preoccupa molto per le altre persone ed è dotato di una curiosità vivace. Ma anche un bambino iperattivo e non sempre facile da gestire, tanto che un medico gli prescrive ad un certo punto medicine tranquillanti: una soluzione infelice al problema di un ragazzino un po’ troppo elettrico, nonché un oscuro presagio sul rapporto futuro di Kurt con la droga.

Il cervello di Kurt era sempre attivo. Stava sempre pensando a qualcosa, c’era sempre qualcosa in movimento. 

Kim Cobain (sorella di Kurt), da Cobain – Montage of Heck
Il piccolo Kurt mentre si diverte a suonare la chitarra (fonte: Cobain – Montage of Heck)

Il padre e il divorzio

Il rapporto con il padre non è mai stato idilliaco. Don è un uomo rude, all’antica, diametralmente opposto al carattere sensibile e artistico di Kurt. Tende spesso a sminuirlo, a prenderlo in giro quando si comporta in maniera goffa. Lui di questo ne soffre, perché l’approvazione del padre è troppo importante per un bambino di quell’età. Ma le difficoltà vere cominciano a otto anni, quando i suoi genitori divorziano. È un periodo, quello della metà degli anni settanta, in cui le separazioni coniugali sono ancora poco comuni in quella zona un po’ nascosta degli Stati Uniti, e Kurt ne prova quasi vergogna. L’ambiente familiare, l’ambiente protetto e sicuro di cui possono godere tutti i suoi coetanei, gli viene improvvisamente tolto da sotto i piedi, e lui comincia a chiudersi in se stesso, oppresso da un forte senso di ingiustizia che lo allontana dai genitori e dal mondo intero. Lentamente cresce in lui una rabbia che diventa sempre più difficile reprimere, fino a sfociare in comportamenti di ribellione che la madre non riesce più a gestire: esasperata, arriva il momento in cui prende Kurt e lo manda dal padre, nella speranza che questi riesca a controllarlo. 

Un ragazzino perduto

Nel frattempo, però, Don si è risposato con una certa Jenny Westeby, madre di due figli. All’improvviso Kurt si ritrova scaraventato in una famiglia non sua, dove deve competere con degli sconosciuti per le scarse attenzioni del padre e finisce per litigare spesso con i fratellastri e con la matrigna. Esasperata dalle sue cattiverie, Jenny chiede ed ottiene da Don che Kurt venga mandato via di casa. Il ragazzo inizia così una girandola di sistemazioni, sballottato tra la madre, uno zio, i nonni; ovunque vada non trova quello che cerca, e ogni casa in cui mette piede finisce per respingerlo. Dal suo punto di vista, nessuno dei famigliari sembra essere in grado di fare uno sforzo per andargli incontro, per chiedergli “che cosa c’è che non va”, per fargli sentire il proprio affetto. Forse hanno davvero delle colpe, o forse è semplicemente impossibile rapportarsi con quel ragazzo in conflitto con il mondo; sta di fatto però che Kurt si sente solo, perduto, senza un appoggio, e non riesce a trovare l’equilibrio necessario per crescere in armonia. Tornerà spesso nella sua carriera artistica a riferirsi a quei periodi di porte in faccia, a dimostrazione di come lo abbiano toccato nel profondo, consolidando in lui l’idea dolorosa di essere soltanto qualcosa in mezzo ai piedi: Something In The Way.

L’incontro con il punk e con la musica

In mezzo a questo mare di chiusure, però, in suo soccorso arriva la musica. Un amico gli presta alcune registrazioni punk rock, e Kurt comincia ad ascoltarle a ripetizione: per la prima volta nella sua vita ha la sensazione di aver trovato qualcuno che lo capisca, con la stessa visione del mondo, le stesse ansie, le stesse paure, gli stessi desideri.

[Quella musica] Esprimeva il modo in cui mi sentivo socialmente e politicamente: c’era la rabbia che sentivo, l’alienazione, e ho realizzato che quello era ciò che avevo sempre voluto fare.

Kurt Cobain, da Cobain – Montage of Heck

Quello con il mondo punk è un colpo di fulmine: Kurt prende in mano la chitarra e inizia a suonare, a cantare, a scrivere. In mezzo a distorsioni assordanti e urla da mal di testa trova la valvola di sfogo per tutta la pressione che ha sempre tenuto dentro di sé, e che ora finalmente è in grado di esprimere. Nonostante l’asprezza dei suoni, che tuttavia si mitiga nel corso degli anni, Kurt dimostra creando musica un talento per la melodia con pochi eguali: le sue canzoni aggirano la ragione e parlano diritte al cuore, alle debolezze, alle ferite aperte, e i testi spesso criptici sanno allo stesso tempo prendersi gioco di chi non li capisce e parlare a chi li sa interpretare.

Nirvana

Decisivo nel corso della sua vita è poi l’incontro con Krist Novoselic. I genitori di Krist sono croati, mentre lui è un ragazzone di due metri dall’apparenza pacifica, che sa suonare alla grande il basso (e altri strumenti). Insieme, i due danno vita ad alcune band nelle quali scritturano batteristi diversi, fino a quando la formazione non si stabilizza con l’arrivo di Chad Channing e prende il nome con cui sarà conosciuta in tutto il mondo: Nirvana. Si tratta di un chiaro riferimento ad un concetto cardine del Buddhismo, a cui Cobain si era avvicinato a più riprese, ed è una sorta di dichiarazione di intenti che si lega inevitabilmente ai difficili trascorsi di Kurt:

Nirvana significa liberazione dal dolore, dalla sofferenza e dal mondo esterno e questo si avvicina al mio concetto di punk.

Kurt Cobain, da Cobain – Montage of Heck

L’idillio con Channing dura però soltanto il tempo di registrare il primo album, Bleach: Kurt non è affatto soddisfatto delle qualità del batterista, che non ritiene adatte ad esprimere efficacemente ciò che lui vuole raccontare. Channing viene allora sostituito, e dietro alla grancassa si siederà fino allo scioglimento della band un ragazzo considerato oggi tra i più grandi batteristi della storia del rock: Dave Grohl. Un talento discreto, considerato che dopo la fine dei Nirvana è ripartito da zero e ha fondato un’altra band capace di raggiungere una dimensione mondiale: i Foo Fighters.

I Nirvana: da sinistra, Cobain, Novoselic, Grohl (fonte: rumoremag)

Il successo, i dolori di stomaco, l’eroina

Con l’uscita del secondo album del gruppo, Nevermind, la popolarità dei Nirvana esplode, e diventano i capofila di un movimento musicale che prende il nome di Grunge. Il pezzo più celebre, Smells Like Teen Spirit, viene riprodotto ovunque, e il nome di Cobain è sulla bocca di tutti. Nonostante la fama e la ricchezza, però, Kurt non è felice. C’è ancora qualcosa che non quadra, e non sono soltanto i terribili dolori di stomaco che lo accompagnano da qualche anno, e che in certi momenti lo portano anche ad accarezzare l’idea del suicidio. Il colpevole è un mostro che vive nella sua testa, che gli sussurra all’orecchio cose terribili e non gli permette di godere della vita da sogno che gli si profila davanti. Tutto gli sembra vano, tutti gli sembrano ipocriti e cattivi: a suo modo di vedere le persone vivono isolate nel proprio egoismo e nessuno sa prendersi a cuore il prossimo. Eppure, a lui appare così facile interessarsi agli altri, così naturale offrire il proprio amore a chi gli sta attorno. Si sente ogni giorno più solo, in mezzo a quei fan che lo trattano come un dio e non come un essere umano; le regole dello showbusiness e la situazione in cui si ritrova a vivere lo gettano nella frustrazione, e la via di fuga trovata nella musica non gli basta più. Un po’ per dimenticare i dolori di stomaco, un po’ per isolarsi da una realtà che odia, Kurt comincia a iniettarsi l’eroina, amica terribile che lo accompagnerà davvero fino ai suoi istanti finali.

Courtney Love

L’eroina non è tuttavia l’unica sua compagna di vita, perché dopo una serie di relazioni altalenanti Cobain incontra la cantante dei Hole, Courtney Love, e se ne innamora. Courtney sembra potergli dare tutto quello che cerca e i due si sposano, dando alla luce una bambina. La chiamano Frances Bean Cobain: il primo nome le viene assegnato in onore a Frances Farmer, attrice hollywoodiana che finì i suoi giorni rinchiusa in un manicomio, mentre il secondo è dovuto alla forma di fagiolo che la bambina aveva nella sua prima ecografia. Kurt ama alla follia la moglie e la figlia, e in un primo momento sembra finalmente aver trovato la pace e una nuova ragione di vita. Al di là dei litigi, della droga, degli scandali, è evidente il nesso strettissimo tra la maniera totale con cui Kurt si lancia in questa nuova famiglia e l’esperienza traumatica della sua infanzia: è il suo tentativo di ricostruire quel focolare domestico che aveva sempre desiderato e che non aveva mai potuto avere, perché quello messo in piedi dai suoi genitori era crollato troppo presto. Il suo sogno, tuttavia, è destinato inevitabilmente a scontrarsi con la realtà della vita da star.

Kurt Cobain con Courtney Love e la piccola Frances Bean (fonte: RollingStone)

I media e la famiglia

Da quando Courtney e Kurt cominciano la loro relazione, infatti, i gossip sulla coppia diventano una costante sulle riviste scandalistiche e non solo. Hanno addosso gli occhi del mondo: tutta una schiera di falchi malvagi pronti ad avventarglisi addosso ad ogni errore, ansiosi di captare ogni piccolo passo falso e di smontare e rimontare i fatti a proprio piacimento. E c’è da dire che di passi falsi i due ne fanno parecchi, tanto che per via dei loro problemi di droga si vedono togliere per qualche giorno la custodia di Frances Bean. Ciò però non giustifica un accanimento come quello a cui sono stati sottoposti, un martellamento incessante che Kurt non ha saputo gestire. Per un momento durato un soffio di vento era stato felice, perché con la nascita della bambina si era finalmente sentito ad un passo dall’avere l’unica cosa che avesse mai desiderato davvero: una famiglia, un affetto sincero, qualcosa per cui vivere. Ma quando si vede attaccare da tutte le parti, quando viene colpito dai dardi avvelenati di persone che non lo avevano mai nemmeno incontrato, capisce la tragica realtà: non sarebbe mai stato possibile per lui avere una famiglia normale, perché la fama avrebbe sempre trovato il modo di travolgerlo. A quel punto, com’è inevitabile, qualcosa si rompe definitivamente.

L’overdose di Roma e il suicidio

La madre Wendy racconta che negli ultimi tempi Kurt perde peso, sta male, torna da lei per nascondersi e piangere. Chiunque gli è vicino finisce per pensare che sia dovuto ai problemi di droga, ma forse si sbaglia. Sì, all’inizio di marzo del 1994, a Roma, Cobain rischia la morte per overdose di farmaci e alcool, e di ritorno a casa viene sottoposto a un programma di disintossicazione. Ma il cuore del problema non è l’eroina, e infatti la clinica non è sufficiente a trarlo in salvo dal pantano nero in cui si trova intrappolato. Durante il mese successivo all’episodio romano la situazione precipita in fretta e, dopo aver fatto perdere le proprie tracce per alcuni giorni, il 5 aprile 1994 Kurt Cobain si inietta un’ultima dose di eroina e si spara in testa con un fucile, non prima di aver lasciato una triste lettera d’addio. Il corpo viene ritrovato tre giorni dopo, con grande sgomento di familiari, amici e fan; con la sua morte si chiude l’esperienza dei Nirvana, di cui era anima e fondamento.

(fonte: BR)

Un bambino mai cresciuto

Quando un uomo si toglie la vita si cerca sempre di dare delle spiegazioni plausibili, forse per alleviare il senso di impotenza di fronte alla tragedia. Ne sono state date tante alla morte di Kurt Cobain, dalla droga alla follia, fino a tirare in ballo presunte trame di omicidio. Ma la verità forse è una sola. Kurt si era ritrovato in pochissimo tempo a dover gestire un patrimonio e una fama da capogiro, senza avere le spalle abbastanza larghe da sostenerne il peso. Era soltanto un bambino indifeso a cui non era mai stata data la possibilità di crescere. Il suo orologio si era fermato all’istante in cui i suoi genitori avevano divorziato, e non era più ripartito. La sua rabbia e la sua tristezza scaturivano da lì, da quelle lancette immobili da troppo tempo: l’unico suo desiderio era quello di vederle ripartire una volta per tutte, e credeva di poterlo fare assieme a Courtney, assieme a Frances Bean. Il suo talento immenso l’aveva però spinto in una direzione diversa, nel vortice delle copertine e dei riflettori, dove la vita di famiglia diventa impossibile. Per un bambino di otto anni è troppo da sopportare, e il finale della sua storia è terribile. Eppure, ci sono stati degli sprazzi di luce accecante nel suo percorso, in cui il bambino si è fatto angelo, trascinato da un’ispirazione sovrannaturale. Come all’MTV Unplugged del 1993, dove veramente Kurt è sembrato in armonia con il mondo, sommerso e travolto da quella musica che tanto bene gli ha fatto. È bello ricordarlo come in quei momenti, mentre dondola sulla sedia come il più puro dei bambini, liberato per alcuni istanti dalla rabbia, “dal dolore, dalla sofferenza e dal mondo esterno”, asceso al suo agognato e dolcissimo Nirvana.

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