Il visconte dimezzato – Italo Calvino

Il visconte dimezzato

Di Washoe

Il visconte dimezzato è un romanzo breve, poco più di un racconto, che si lascia leggere con grande scorrevolezza. Ed in effetti Calvino, riferendosi al libro, affermò che: «Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso.» Ma non ci si lasci ingannare: se si vuole andare oltre alla bella storia esiste un livello di lettura più profondo (del quale l’autore, ovviamente, era consapevole) che va ad analizzare, o si potrebbe dire letteralmente a vivisezionare, la stessa natura umana. Per farlo Calvino racconta la storia del visconte Medardo che, partito nel Settecento per far la guerra ai turchi in Boemia, viene colpito da una cannonata in pieno petto e tagliato esattamente a metà. Grazie al lavoro di medici e guaritori ciascuna delle due parti sopravvive e fa ritorno a casa; ben presto, tuttavia, gli abitanti del suo feudo di Terralba scoprono un fatto sconcertante: in una di esse si è riversata tutta la malvagità di Medardo, mentre nell’altra ogni goccia della sua bontà. 

L’atmosfera dietro a Il visconte dimezzato

Il romanzo fu scritto nel clima della Guerra Fredda, con la Germania divisa in due, il mondo diviso in due, l’uomo diviso in due. Non è un caso che la battaglia in cui Medardo rimane spezzato abbia luogo in Boemia, in quella che nel Settecento era la frontiera con i turchi e che nel Novecento era diventata il confine tra l’Europa capitalista e quella comunista. I rimandi alla Cortina di Ferro sono evidenti, eppure il racconto prende le distanze dalla politica fin dalle prime battute. Sebbene richiami l’atmosfera di quegli anni in maniera piuttosto evidente, Il visconte dimezzato non si propone di parlare della scissione politica del suo secolo, quanto piuttosto di una divisione più profonda, che ha radici antiche, da ricercarsi nel modo di vivere e di pensare dell’uomo occidentale. 

Cortina di ferro
La cortina di ferro (fonte: reddit)

La divisione tra Bene e Male

Calvino vuole riflettere sul sentimento di rottura dell’uomo moderno, che si sente spezzato in due senza neppure sapere perché, né quando sia avvenuta la divisione, né quali siano le parti in cui è stato diviso. A questo scopo si avvale dell’immagine di un uomo fisicamente diviso tra la sua parte buona e la sua parte malvagia; la scissione in Bene e Male è tuttavia ben lontana, come dice l’autore stesso, dall’avere implicazioni morali, in quanto essa esiste soltanto per facilitare l’assimilazione e soprattutto la visualizzazione del personaggio attraverso l’impiego di categorie ben radicate nell’immaginario comune. Le critiche moralistiche nel libro, che ci sono, vanno ricercate da altre parti. 

Trelawney, Pietrochiodo, i lebbrosi

Il discorso morale viene traslato infatti sui personaggi di contorno: il medico Trelawney, il carpentiere Pietrochiodo, i lebbrosi, gli ugonotti. I primi due sono, per utilizzare un’espressione di Calvino, una rappresentazione della scienza e della tecnica staccate (divise, come Medardo) dall’umanità. Trelawney infatti è alienato nel suo ruolo sociale, che pratica per una sorta di obbligo ma senza la passione e il desiderio di operare per il bene comune, mentre Pietrochiodo crea opere di ingegneria non con l’intento di assolvere a uno scopo ma, piuttosto, con l’obiettivo di scoprire fin dove si può spingere la sua capacità tecnica. I lebbrosi, invece, sono una caricatura degli artisti decadenti, paladini di un’arte staccata dalla realtà e fine a se stessa, e per questo tendente all’esagerazione e al cattivo gusto.

Medardo
(fonte: pinterest)

Gli ugonotti ne Il visconte dimezzato

Particolare rilevanza è data agli ugonotti, una comunità di eretici fuggita dalla Francia che però ha dimenticato nel proprio paese tutti i testi sacri, perdendo fondamentalmente la propria identità. Essi si sono così trasformati in una popolazione bigotta, che ha perso la bussola morale e la capacità, senza le indicazioni dei libri, di discernere il Bene dal Male; eppure, nonostante questo, essi amareggiano la propria esistenza con regole severissime che, poiché prive di un vero fondamento, non servono ad altro che a salvare le apparenze e mettere ipocritamente in pace le coscienze. Gli ugonotti sono una rappresentazione, dice Calvino, di «tutta la linea del moralismo idealista della borghesia», classe sociale che tende a dare all’esterno un’immagine di grande religiosità, e che in realtà nasconde un grande vuoto causato da un’assenza di valori reali, di spiritualità e di vicinanza con Dio.

I miei ammicchi moralistici, chiamiamoli così, erano indirizzati non tanto al visconte quanto ai personaggi di cornice, che sono le vere esemplificazioni del mio assunto: i lebbrosi (cioè gli artisti decadenti), il dottore e il carpentiere (la scienza e la tecnica staccate dall’umanità), quegli ugonotti […] immagine di tutta la linea del moralismo idealista della borghesia.

Calvino su Il visconte dimezzato

Il bambino narratore

Al di fuori di tutte queste dinamiche, e anche di quella del Medardo dimezzato, si trova il bambino narratore, che in quanto troppo giovane non ha ancora subito quella scissione che nel visconte è fisica e negli altri uomini è spirituale. Il bambino è forse l’unico all’interno della storia ancora integro nel vero senso della parola, ancora libero e non represso; eppure è proprio lui che tra tutti viene penalizzato in misura maggiore dalle assurdità degli adulti e dai comportamenti di Medardo, con la sua amata balia che viene allontanata, con la sua vita al castello che viene demolita, con il visconte che cerca in diversi modi di ucciderlo. E a causa di queste ingerenze finisce anche lui, immancabilmente, per “sporcarsi” fino a sentirsi a sua volta incompleto.

Io invece, in mezzo a tanto fervore di interezza, mi sentivo sempre più triste e manchevole. Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.

Il narratore riflette sulla propria condizione
Medardo
(fonte: skuola)

La bellezza del dimezzamento

Tornando al visconte del titolo, è curioso notare come nessuna delle due parti di Medardo, né la buona né la cattiva, senta la necessità di ritrovare la parte che ha perso. È un’idea, questa, in un certo senso inconcepibile per il nostro modo di pensare, noi che ammiriamo la perfezione del cerchio e che di fronte ad uno spicchio di luna sentiamo la necessità di chiamarla “mezza”, a sottolineare la mancanza di qualcosa. Calvino però vuole proporre una visione nuova: cerca di focalizzare l’attenzione sulla bellezza dell’incompiutezza, sulla preziosità di quello che manca, che poi è ciò che spinge una persona a migliorarsi, a costruire nuove sensibilità, nuove abilità, nuove parti di sé. L’essere dimezzato è infatti ciò che dà al personaggio di Medardo, anzi, ad entrambe le sue metà la capacità di provare empatia, di comprendere chi si sente incompleto, di conoscere le cose andando oltre al loro aspetto d’interezza. Dall’alto della saggezza acquisita si compiacciono del proprio dimidiamento e si adoperano affinché tutti sviluppino la capacità di accettare le proprie mancanze. Ma alla fine gli altri uomini, esasperati dalle malefatte del Gramo e dalla bontà eccessiva del Buono, li catturano e li ricuciono insieme, fino a ritornare ad avere il Medardo completo. È un Medardo che però, essendo passato attraverso il dimezzamento, ha compiuto un passo in avanti verso l’accettazione della propria condizione umana di mutilato, ora non più nel corpo ma soltanto nello spirito, sempre diviso tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. Come, in fondo, è diviso ognuno di noi. 

Allora il buon Medardo disse: – O Pamela, questo è il bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero a non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.

Italo Calvino
Italo Calvino (fonte: oggigiorno)

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