Il tunnel – Ernesto Sabato

Di Washoe

Sarà sufficiente dire che sono Juan Pablo Castel, il pittore che ha ucciso María Iribarne; suppongo che il processo sia rimasto nel ricordo di tutti e che non occorrano ulteriori spiegazioni sulla mia persona.

L’incipit de Il tunnel

Non hai nemmeno cominciato a leggere Il tunnel (1948) e ti ritrovi il finale sbattuto in faccia così, alla prima riga. Eppure, nonostante lo spoiler, una volta iniziato il romanzo ti scopri comunque intento a divorare le pagine una dopo l’altra, preso dall’ansia di raggiungere la fine; soltanto, non vuoi più scoprire che cosa accade, ma come, e soprattutto perché. Ernesto Sabato, nonostante i soli tre romanzi pubblicati, è uno dei maestri della letteratura mondiale, e lo dimostra così: catturando un lettore che già sa come andrà a finire la storia. Ma iniziare un romanzo in quel modo non è per lui un modo di dimostrare la propria abilità: è una vera scelta artistica, con la quale sposta l’attenzione dall’azione alla motivazione, aprendo la strada verso riflessioni di diversa natura. In questo, ricorda un po’ la struttura de Lo straniero di Albert Camus, non a caso suo grande estimatore e primo sponsor in Europa, ma si differenzia dal collega francese per lo stile e per la creazione di un numero maggiore di livelli di lettura. E, muovendosi tra questi livelli, il lettore non può che lasciarsi trasportare fino a ritrovarsi in un tunnel, dal quale non uscirà più. Un tunnel oscuro e affascinante, che lo conduce in un intenso viaggio tra le viscere di un’ossessione.

Maternità e la finestra

Juan Pablo Castel è un pittore portegno di fama discreta, che gode di un’ottima reputazione tra i critici per la “solidità” delle sue composizioni. È però un uomo solitario, vagamente misantropo, che trova motivi di disprezzo pressoché in ogni persona che incontra. Un giorno, tuttavia, durante una sua esposizione accade un fatto inaspettato. Tra i quadri della mostra si trova una tela chiamata Maternità: al centro dell’opera si vede una madre che gioca con un bambino, mentre in alto, a sinistra, è situata una finestra, attraverso la quale si intravvede una donna solitaria che guarda il mare. Sembrano due scene del tutto sconnesse l’una dall’altra, e Castel si stupisce del fatto che nessuno si soffermi sulla finestra, che per lui rappresenta l’immagine davvero centrale nel quadro; nessuno, tranne una giovane donna, che ne resta fatalmente attratta. Per Castel è un segno: sente all’improvviso di avere stretto con lei un legame indissolubile che, tuttavia, non riesce a comprendere fino in fondo.

Pablo PicassoMadre e figlio, 1921, olio su tela, 142,9 x 172,7 cm. Chicago, Art Institute

La relazione con María Iribarne

Per un motivo sconosciuto, però, non si decide a parlarle e la perde di vista. Passano i mesi e il pittore non riesce a togliersi la donna dalla testa, ma di lei non sa nulla: né il nome, né l’età, né l’occupazione, e diventa quindi impossibile rintracciarla. Tuttavia, proprio quando comincia a disperare di vederla di nuovo, la incontra casualmente per strada: da lì i due cominciano una relazione, segnata dai comportamenti ossessivi di Juan Pablo e dalle bugie e omissioni della donna, che di nome fa María. Castel scopre a mano a mano verità su di lei che non sospettava: innanzitutto, è sposata con un cieco, Allende, con cui va ancora a letto ma che tradisce senza remore. Non solo: dopo una serie di indagini viene anche a sapere di non essere l’unico amante di María, perché la donna intrattiene rapporti con un tale Hunter, cugino, tra l’altro, del marito. La scoperta della tresca è la goccia che fa traboccare il vaso: accecato dalla possessività e dalla gelosia il pittore uccide María, nonostante la donna sia, a suo dire, l’unica persona al mondo che lo abbia mai capito.

La torre d’avorio di Castel

Sebbene nell’incipit affermi di non voler dare spiegazioni sulla propria persona, Juan Pablo Castel, protagonista e narratore, non fa altro che parlare di sé, descrivendo con dovizia di particolari tutti gli sconvolgimenti interiori che l’hanno portato ad assassinare una donna. Il ritratto che ne viene fuori è quello di un uomo vanitoso, che si ritiene superiore alla quasi totalità degli altri esseri umani e che per questo vive come un lupo solitario, al di fuori di qualsiasi circolo sociale, arroccato in una sorta di torre d’avorio. Ma è una solitudine che non lo soddisfa e da cui sente il profondo desiderio di fuggire; per questo, quando intravede un appiglio salvifico in quella donna che si ferma a guardare il dettaglio del suo dipinto, vi si aggrappa con tutto se stesso. Non si rende conto, tuttavia, che afferrandosi in quel modo si ritrova ad oscillare pericolosamente sul baratro e così, quando l’appiglio viene a mancare, Juan Pablo Castel non può che cadere orribilmente nel vuoto.

La solitudine

Il tunnel non è quindi, come molti hanno creduto, il racconto di una storia d’amore malsana, di un amante possessivo che uccide per gelosia, di un ossessionato che non riesce a mettersi il cuore in pace. O meglio, non è soltanto questo: lo è se si ferma alla superficie. Eppure, la chiave di lettura è fornita dal libro stesso, già nel titolo e ancora di più con la metafora contenuta in uno dei capitoli finali.

[…] in ogni caso, c’era un solo tunnel, buio e solitario: il mio, il tunnel in cui avevo trascorso l’infanzia, la giovinezza, tutta la mia vita.

Il primo romanzo di Sabato è un racconto di solitudine, più che di amore: la solitudine di un uomo che si sente rinchiuso in un tunnel senza uscite, che non riesce a trovare il contatto con l’altro e che per questo sente crescere dentro di sé un malessere che prova a esprimere attraverso la propria arte. D’altronde, quest’ansia di essere compresi e di sentire il tocco di un altro essere umano (non quello banale, non il tocco dei corpi, ma quello delle anime) il narratore la rivela già nei primi capitoli, quando racconta le motivazioni che l’hanno spinto a scrivere le sue memorie. Ed è un sentimento che Castel proietta interamente su María, caricandola di un peso che la donna non può sostenere. 

La figura di María

Di María però non si conosce molto. Si sa che è sposata con un cieco di nome Allende (che tradisce con il cugino e con Castel stesso), che ha tra i venticinque e i trent’anni e che, come dice lei stessa, è consapevole di un certo potere ammaliatore e distruttivo che la circonda.

Ma non so cosa ci guadagnerà vedendomi. Faccio del male a tutti coloro che mi avvicinano.

María Iribarne a Juan Pablo Castel

Quello del personaggio femminile affascinante e devastatore, che richiama in un certo senso la figura ancestrale di Eva, non è un unicum nella produzione di Sabato (una frase simile viene pronunciata da Alejandra di Sopra eroi e tombe, suo romanzo successivo), ma non è chiaro se questo carattere sia davvero adeguato a descrivere la personalità di María. Sì, è una donna dal tradimento facile, come dimostrano le multiple relazioni che intesse nell’ombra, ma il personaggio è tratteggiato dal pittore Castel con pennellate veloci e imprecise, che non permettono di vederne con chiarezza i contorni. Questo, è bene specificarlo, non accade però perché Castel non voglia descriverla: la descrizione è incerta perché egli non può descriverla, troppo diversa da lui, appartenente ad un altro piano di realtà.

L’errore di Juan Pablo Castel

Castel si dispera sul finale non perché venga ingannato da María, ma perché si è ingannato da solo, conferendo alla donna un potere che non aveva. Aveva creduto che, nel momento in cui lei si era fermata ad osservare il dettaglio del quadro, i loro tunnel si fossero incontrati, mettendo fine alle loro solitudini; ma non era stato così. María si era fermata a guardare, incuriosita, ciò che accadeva all’interno del tunnel di Castel, ma non era chiusa in un tunnel tutto suo: era libera, come il resto del mondo. Le affinità che Castel aveva creduto di vedere, in realtà, non esistevano.

E in una delle parti trasparenti del muro di pietra avevo visto questa ragazza e avevo creduto ingenuamente che arrivasse da un altro tunnel parallelo al mio, quando in realtà apparteneva al grande mondo, al mondo senza limiti di coloro che non vivono in un tunnel.

Il pittore si era perduto mentre cercava disperatamente di unirsi a lei in una comunione fisica e spirituale totale, senza capire di essersi imbarcato in un’impresa impossibile, perché era come se cercasse di mescolare l’acqua all’olio: per quanto si sforzasse, le bollicine verdi finivano sempre per separarsi e riunirsi in uno strato in superficie. Quando finalmente se ne accorge, quando capisce di aver preso un abbaglio e che la sola esistenza di María ha su di lui l’effetto degli oggetti luccicanti sulle gazze, decide che l’unico modo per non cadere nel tranello, per accettare la propria solitudine senza più soffrire, è quello di eliminare l’unica sua fonte di speranza e distrazione, per lasciarsi cadere tra le braccia di una confortante e pacifica disperazione.

Ernesto Sabato (fonte: actualidadliteratura)

La ragione e il sentimento

L’ossessione che si impossessa di Castel non è però legata soltanto alle difficoltà nella sua ricerca del contatto e alla figura di María, ma discende in fondo da un problema strutturale di cui è vittima la personalità del pittore. È la manifestazione della profonda spaccatura interiore che egli percepisce tra le due anime dell’essere umano: la metà della ragione, dell’intelletto, del linguaggio, e la metà dell’istinto, dell’intuizione, delle passioni. In Castel l’animo razionale è quello che ha il controllo per la maggior parte del tempo: lo si vede nella sua mania di calcolare ogni cosa (i movimenti, gli sguardi, le parole) e nella sua ansia di analizzare i dettagli sui quali la maggior parte delle persone sorvolerebbe, facendo emergere dietrologie e rapporti di causalità che non stanno né in cielo né in terra. Eppure, al contempo, egli sente forti impulsi che lo portano a compiere azioni improvvise, espressione della sfera irrazionale che prova a farsi strada verso la luce, facendo a pugni con una ragione spropositatamente rigonfia. La ragione tira da una parte, l’istinto dall’altra, e l’elastico/Castel finisce inevitabilmente per rompersi, compiendo un gesto estremo e deprecabile.

Non è che non sappia ragionare! Al contrario, ragiono sempre. Ma lei provi a immaginare un capitano che controlla continuamente, matematicamente la propria posizione e segue la rotta verso la meta con rigore spietato. Ma che non sa per quale motivo si muove verso quella meta, capisce?

Juan Pablo Castel a María Iribarne

L’arte e l’armonia

Da questo punto di vista Castel rappresenta per Sabato l’emblema dell’uomo moderno, il quale, vittima di una società che esalta oltre misura la sfera razionale e criminalizza la sfera intuitiva (atrofizzandola), si trova spaccato in due senza capire il perché, senza rendersi conto che, in una vita piena, il sentimento è importante tanto quanto il logos. L’uomo ha la necessità di ricostruire l’armonia tra le due facce della propria medaglia, per evitare di essere dilaniato da una lotta che non può avere fine. Castel non ci riesce ma si lascia trascinare dal duello, cosa che lo porta a compiere azioni terribili. La storia del pittore, sebbene fittizia, è un monito che Ernesto Sabato lascia al suo lettore: non bisogna trascurare i propri istinti, perché a furia di schiacciarli in un angolino si rischia che ci esplodano addosso. La via per ritrovare l’equilibrio, secondo l’autore argentino, è una sola: l’arte, l’unica attività umana nella quale ragione e intuizione sono sempre esistite in simbiosi, l’una accrescendo le potenzialità dell’altra.

Ernesto Sabato (fonte: youtube)

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