Di Washoe
Il talento del calabrone è un film senza dubbio ambizioso, un thriller che cerca di allontanarsi dal solco del classico cinema italiano per avvicinarsi a quello di Hollywood. E se la pellicola ha alcuni picchi notevoli di qualità, a tratti sembra perdersi in un’imitazione esagerata che culmina in scene quasi grottesche e troppo poco credibili, risultando però nel complesso in un’ora e mezza gradevole da passare davanti allo schermo.
La trama
In una Milano notturna, ben resa da suggestive riprese aeree, Dj Steph (Lorenzo Richelmy) è uno speaker radiofonico che spopola sui social, nel pieno del proprio quarto d’ora di celebrità. Durante uno dei suoi programmi, nei quali riceve telefonate dai fan e regala biglietti per un concerto, si trova ad affrontare una chiamata inquietante: un uomo, Carlo (Sergio Castellitto), afferma in diretta di volersi suicidare. Stando al suo racconto, Carlo si trova in un’auto in giro per Milano con a bordo un ordigno pronto a saltare in aria: se la chiamata venisse chiusa, o se Steph decidesse di non assecondare le sue richieste, la bomba verrebbe innescata con il rischio di causare una strage. Interviene allora l’arma dei carabinieri nella persona del tenente colonnello Rosa Amedei (Anna Foglietta), che irrompe nello studio radiofonico a dirigere le operazioni: comincia così un gioco a tre, tra musica classica, indagini sull’identità dell’uomo e nervosismo generale. Minuto dopo minuto la situazione si fa più intricata, e si insinuano dubbi sulle verità nascoste dietro la vicenda.
La performance di Castellitto…
La nota più positiva de Il talento del calabrone è senza dubbio la prestazione superba di Sergio Castellitto nel ruolo di Carlo, capace con il suo carisma di reggere sulle proprie spalle l’intero film. L’attore romano è bravissimo nel tratteggiare quello che al principio pare essere solamente un suicida megalomane ma che piano piano, tra citazioni colte e colpi ad effetto, si rivela un uomo raffinato e brillante. Si intuisce già dalle prime scene, grazie agli sguardi, alle espressioni, ma soprattutto ad una serie di flashback, come Carlo abbia alle proprie spalle una sofferenza indicibile; tuttavia, il movente che lo spinge a tenere sotto scacco una radio ed una città intera rimane oscuro, contribuendo a creare una suspense molto ben costruita.
… e quella di Anna Foglietta
A fare, purtroppo, da contraltare all’ottimo Castellitto c’è Anna Foglietta nei panni della tenente colonnello, un personaggio mal riuscito ma sicuramente non per colpa dell’attrice: la brava Foglietta si ritrova infatti in palese disagio nel gestire un ruolo ed un copione che avrebbero messo in difficoltà chiunque, e che hanno ostacolato in maniera decisiva il compito di rendere realistico il personaggio. È davvero inspiegabile la scelta di avere una poliziotta vestita da sera con pistola e stivaletti (va bene la pistola, ma gli stivali?), perché finisce per essere una macchietta: colei che era stata mandata alla radio per prendere in mano la situazione con decisione diventa un personaggio assolutamente non credibile, tra battute da western che poco si addicono alla situazione ed un atteggiamento che non potrebbe essere più lontano da quello comune alle forze armate italiane.
Richelmy ne Il talento del calabrone
Lorenzo Richelmy nel ruolo di Dj Steph funziona invece a fasi alterne. Parte bene nella sua rappresentazione del classico speaker della notte, che ai poco avvezzi al genere di programma radiofonico può apparire piuttosto affettata, ma che ricalca invece fedelmente il modo di fare e di parlare di questa tipologia di conduttore radio, con le frasi ad effetto e gli immancabili ritornelli. Richelmy è bravo nel caratterizzare l’ego smisurato del personaggio, ma per alcuni tratti, specie nella parte centrale del film, cade in quello che oltreoceano chiamano overacting, e che qui potremmo tradurre come sovrattuazione o gigionismo: l’attore spezzino carica troppo gesti, tono di voce, e soprattutto espressioni, avvicinandosi pericolosamente al grottesco. Tuttavia si riprende nel finale, quando il personaggio scopre un’inquietante verità.
ALLERTA SPOILER – Non proseguire oltre se non vuoi conoscere il finale del film
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La rivelazione
Dj Steph si rende conto ad un certo punto di come colui che credeva essere semplicemente un pazzo impegnato in un folle gioco alla Saw – L’enigmista sia in realtà un fantasma dal passato, che vuole mettere a repentaglio la sua carriera nello spettacolo e fargliela pagare per una colpa di cui si era macchiato qualche anno prima. Stefano è infatti il responsabile della morte del figlio di Carlo, Giulio: era il bullo che l’aveva vessato per anni, arrivando a tirargli “la merda addosso”, colui che aveva spaccato quel prezioso violoncello di famiglia che era stato la causa scatenante del suicidio del ragazzo. A parte l’intermezzo della scena (ai limiti del comico) nella quale minaccia un carabiniere con uno sgabello e si vede puntare la pistola in faccia dal colonnello (anche Richelmy ha però l’attenuante importante di un copione non certo perfetto), la sua recitazione ha da qui un netto rialzo: a partire dal momento in cui legge la lettera d’addio di Giulio riesce a dipingere bene un giovane forse pentito, forse no, ma che sicuramente ha paura di ciò che si profila all’orizzonte.
La rivalutazione della figura di Carlo
Con il finale si rivaluta poi completamente la figura di Carlo, che per tutta la pellicola era stato sì un uomo intelligente e colpito duramente dalla vita, ma anche un criminale che metteva a repentaglio l’esistenza di altre persone scorrazzando per Milano dentro a un’autobomba. Grazie ad un’intuizione della colonnello, che senza saperlo asseconda il piano che l’uomo aveva fin dall’inizio, si scopre come l’auto di Carlo fosse in realtà un vero e proprio oggetto di scena, posto esattamente al piano di sopra della radio nell’interno del medesimo grattacielo. Vedendosi puntare la pistola addosso da due carabinieri, l’uomo finge di premere il bottone d’innesco della bomba, costringendo la colonnello a freddarlo. Si scopre allora che anche l’ordigno stesso era finto, e che la volontà di Carlo era proprio quella di farsi sparare dalle forze dell’ordine, che avrebbero sicuramente cercato di evitare la deflagrazione della bomba in tutti i modi: suicidio sì, ma senza fare del male a nessuno.
Il finale de Il talento del calabrone
Dopo la morte, per un’uscita di scena in grande stile, Carlo causa il black-out della città intera e proietta sulla parete, di fronte al proprio corpo senza vita, il filmino del figlio che chiede come mai a Milano non si vedano più le stelle. Spegnendo la metropoli esaudisce il desiderio del bimbo di vedere tutta la città con il naso rivolto all’insù, guardando gli astri che popolano il cielo; spettacolo che è il personalissimo modo che ha scelto per dare il proprio addio ad un mondo che l’aveva ferito profondamente. È un finale commovente, sicuramente riuscito, e che forse riesce a far dimenticare quelle scene di livello decisamente più basso; conclusione impreziosita dalla meravigliosa inquadratura della città spenta e dello stupefacente cielo stellato che la sovrasta.
Il bullismo e le responsabilità ne Il talento del calabrone
Che fine fa Steph dopo la clamorosa rivelazione? Lo si rivede per l’ultima volta nel suo studio radiofonico, solo, abbandonato da tutti, schiacciato da un rimorso che non può cancellarne le colpe. Quello che sembrava un semplice thriller si rivela così essere in realtà un film sulle responsabilità personali, che ha il pregio di riportare a galla il tema del bullismo, piaga sociale che per il grande pubblico sembra essere passata un po’ di moda ma che ancora esiste e miete ogni giorno nuove vittime. Perché non sono solo giochi, non sono solo ragazzate: il bullismo può diventare una vera e propria forma di tortura, e in quanto tale lede i diritti umani di chi lo subisce. È bene che tutti, genitori e insegnanti ma non solo, tengano gli occhi aperti e siano pronti ad intervenire per fermare certe dinamiche, perché storie come quella di Steph e di Giulio e di Claudio (inventata ma si potrebbe dire tratta da mille storie vere) non si ripetano più.
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