Il Silmarillion e il mito della creazione del mondo di J.R.R. Tolkien

Di Washoe

Se si sente pronunciare il nome di John R.R. Tolkien è inevitabile che la mente voli a Il Signore degli Anelli. D’altronde, è l’opera che lo ha reso celebre nel mondo, la cui fama è stata riaccesa enormemente agli inizi del Terzo Millennio con la colossale trilogia cinematografica di Peter Jackson, quella che ha coinvolto Viggo Mortensen, Ian McKellen e Orlando Bloom, per intenderci. Eppure, né Il Signore degli Anelli, né tantomeno Lo Hobbit (altro suo celebre romanzo, anch’esso al centro di una trilogia di film), può ambire al titolo di opera principe di Tolkien, in quanto esiste un terzo scritto che (iniziato prima degli altri, portato avanti per decenni, continuamente arricchito ed aggiornato e mai completato) dovrebbe essere considerato come il suo vero capolavoro: Il Silmarillion.

Il Silmarillion, pubblicato a quattro anni di distanza dalla morte del suo autore, è un racconto sui Tempi Remoti, ovvero sulla Prima Era del Mondo. Ne Il Signore degli Anelli si riferiscono i grandi eventi verificatisi alla fine della Terza Era, mentre i racconti de Il Silmarillion sono leggende che provengono da un passato assai più remoto, l’epoca in cui Morgoth, il primo Signore Oscuro, dimorava nella Terra di Mezzo, e gli Alti Elfi gli mossero guerra per riconquistare i Silmaril.

Christopher R. Tolkien nel 1977. Christopher è il figlio di JRR Tolkien, curatore della prima edizione de Il Silmarillion.
Christopher Tolkien (fonte: L’Osservatore)

La struttura de Il Silmarillion e l’idea alla base

Il Silmarillion è il tentativo di Tolkien di dare un substrato mitologico al proprio universo fantastico di Arda (dove ha ambientato tutte le sue narrazioni), e si divide in cinque parti: la prima, Ainulindalë,  è il racconto della creazione; la seconda, Valaquenta, descrive i Valar, le “Potenze del mondo”, le divinità di Arda; la terza, Quenta Silmarillion, narra della cosiddetta “Prima era del mondo”; la quarta, Akallabêth, racconta della caduta di Númenor; la quinta, infine, riferisce la storia degli Anelli del Potere, ricongiungendosi idealmente a Il Signore degli Anelli. È un’idea ambiziosa, in quanto si propone di costruire a tavolino un corpus di miti che nelle varie popolazioni della Terra (quella vera) ha richiesto secoli di storia, il tramandamento orale di generazione in generazione, e l’intervento nel tempo di centinaia di autori diversi, fino alla creazione delle mitologie greco-latina, ebraica, norrena, atzeca, indiana e via dicendo. Tolkien era pienamente consapevole della portata titanica dell’impresa in cui si stava imbarcando, e per questo si era lasciato ispirare dalle mitologie esistenti (specie quella norrena, quella finnica e, in maniera piuttosto evidente, quella giudaico-cristiana), rielaborandole secondo il proprio gusto e la propria sensibilità e aggiungendo molto di personale. Dal suo grande lavoro è dunque venuta fuori un’opera originale (seppure non conclusa), che prende il nome da uno dei suoi elementi centrali: i Silmaril, pietre preziose in cui è racchiusa la luce divina.

Uno dei tre Silmaril in mano a Beren, tra i personaggi più celebri dell’opera (fonte: pinterest)

Prima il popolo, poi il mito

È bene sottolineare, prima di proseguire, come Tolkien non fosse uno sprovveduto, né tantomeno un folle che viveva nel suo mondo fantastico (come tenderebbe a credere chi ha una conoscenza soltanto superficiale della sua opera): era invece un accademico di primo piano, eminente linguista, filologo ed appassionato di mitologia, professore per quattordici anni ad Oxford e tra i curatori del New Oxford English Dictionary. Egli aveva piena consapevolezza, pertanto, di come la forza delle mitologie andasse ricercata nella misura in cui esse erano radicate nella storia e nei costumi del popolo che le aveva create, e che la loro nascita rispondeva alla necessità sentita dalle popolazioni antiche di dare una risposta alle grandi domande universali. Tolkien non commise l’ingenuità di costruire la mitologia e successivamente assegnarle una popolazione, ma seguì la strada opposta, mimando in un certo senso il percorso di tutte le leggende umane. Prima definì un popolo e le sue caratteristiche, dando loro il nome di Elfi; una volta stabilito il punto di partenza, poté cominciare a costruire una cosmogonia che fosse in armonia con le peculiarità della “civiltà” che avrebbe dovuto raccontarla. 

Il risveglio degli Elfi, da un’illustrazione di Ted Nasmith

Eru Ilúvatar e la Musica degli Ainur

Gli Elfi di Tolkien sono un popolo profondamente connesso con le arti ed in particolar modo con la musica, dove sembra risiedere il loro potere “magico”; se essa è tanto importante per loro, dunque, l’Universo, Ëa, “il Mondo che È”, non poteva che essere stato generato attraverso una grande sinfonia. Raccontano gli Elfi che in principio era Eru, chiamato anche Ilúvatar, associabile al Dio Unico dei monoteisti, attorniato dagli Ainur, “Coloro che sono santi” e progenie del suo pensiero, paragonabili al contempo agli angeli dei cristiani e agli dèi delle religioni politeiste. Dal pensiero di Ilúvatar nacque un tema musicale, che egli affidò agli Ainur affinché lo arricchissero con melodie che derivavano dalla parte di sé che aveva infuso in ciascuno di loro; unite in armonia, le melodie formarono la Ainulindalë (letteralmente Musica degli Ainur), la quale diede effettivamente forma all’Universo: ognuna delle parti cantate dagli Ainur fu l’origine di una delle cose del mondo (il fuoco, le montagne, gli alberi, gli animali…).

Il Male ne Il Silmarillion

Essendo essa la sorgente di ogni cosa, dalla musica nacque anche il Male, originato da una distorsione del tema di Ilúvatar operata dal ribelle Melkor, l’Ainu caduto (nota: Ainu è il singolare di Ainur nel linguaggio elfico), il più potente tra i suoi pari e figura parallela a quella del Lucifero biblico. La caduta di Melkor, che gli Elfi chiameranno Morgoth, si discosta tuttavia da quella di Satana, in quanto non è soltanto ribellione contro l’autorità divina ma parte essenziale dell’opera di creazione di Ilúvatar. Le cose del mondo discendono infatti direttamente dalle melodie pensate dagli Ainur, la cui capacità di creazione è tuttavia limitata; Melkor, con la sua distorsione, arricchisce suo malgrado la creazione dei fratelli, generando ad esempio, attraverso l’invenzione degli sbalzi termici, la bellezza della neve e dello scrosciare della pioggia dove, creando le acque, gli Ainur avevano pensato soltanto ai mari, ai fiumi e agli stagni. Si può dire dunque che quello che gli Elfi e gli Uomini percepiscono come Male sia in realtà parte integrante del disegno di Ilúvatar, e che dunque i concetti di Bene e Male spariscano quando subentra l’Assoluto, Eru, l’Unico. Quest’idea era completamente assente ne Il Signore degli Anelli e a dire il vero sparisce nel prosieguo della narrazione de Il Silmarillion, dove si torna ad una visione dialettica di Bene e Male, Luce ed Oscurità, come è legittimo aspettarsi dalla mitologia; tuttavia, si tratta di un principio interessante, alla luce del quale può essere riletta tutta la narrazione guardandola, si potrebbe dire, da un piano più alto.

Melkor, da un’illustrazione di Ted Nasmith

Il potere dell’Arte e i Figli di Ilúvatar

Per contrastare la dissonanza di Melkor, Ilúvatar pensò ad altri due temi musicali, e con il terzo e ultimo riuscì a sovrastare le note stridenti dell’Ainu ribelle; posta successivamente fine alla musica, mostrò in una visione agli Ainur ciò che essi avevano modellato attraverso la sinfonia: il Mondo e le sue vicende. Essi ne furono meravigliati, specie quando assistettero alla venuta dei cosiddetti Figli di Ilúvatar: gli Elfi, i Primogeniti, e gli Uomini, i Successivi. Stupore che derivava dall’origine dei Figli, generati non con il primo tema, quello a cui gli Ainur avevano dato effettivamente il proprio contributo, ma con il terzo, quello attraverso cui Ilúvatar aveva sconfitto definitivamente Melkor: Elfi e Uomini erano dunque creature diverse da loro, “straniere e libere”, in cui poterono vedere “la mente di Ilúvatar nuovamente riflessa”. Gli Ainur, attraverso la visione, scoprirono dunque qualcosa che non avrebbero mai immaginato: la musica che per loro aveva come unico fine la Bellezza esisteva in realtà in funzione dei Figli, per la creazione della loro dimora. Tolkien intende forse, con questo, esprimere un concetto filosofico: l’Arte pura è fine a se stessa ed è già in sé piena di Bellezza, ma ha anche la facoltà di modificare in meglio la realtà in maniere che esulano dalla volontà (e dall’immaginazione) dell’artista. Il racconto della creazione dei Figli ha tuttavia un’altra implicazione: essa pone sullo stesso piano gli dèi (o gli angeli) con gli Elfi e con gli Uomini, dando loro uno status differente da quello degli umani delle altre mitologie. Certo, gli Ainur ne Il Silmarillion avranno un ruolo di primissimo piano, di artefici e giudici, con poteri immensamente superiori a quelli dei Figli; tuttavia, c’è tra loro un’uguaglianza sostanziale, per la quale si potrebbe forse dire che l’opera di Tolkien è un’opera profondamente “umanista”. 

Dagli Ainur ai Valar: la modellazione di Arda

Arda, il Mondo, nel quale si trova la Terra di Mezzo de Il Signore degli Anelli, deriva quindi in maniera diretta da una Musica, la Ainulindalë: quando la visione di Ilúvatar scompare, gli Ainur sentono il desiderio di darle corpo, o meglio di darle Essere. Per assecondare la loro volontà, Eru dà il via al mondo dicendo «Ëa» (vengano queste cose all’Essere), e una parte degli Aiunur sceglie di scendere effettivamente nell’Universo per dargli forma, assumendo per questo il nome di Valar, “Potenze del Mondo”: il loro scopo è quello di modellare Arda lottando contro il desiderio di distruzione di Melkor, anch’egli disceso nel mondo, per prepararla alla venuta dei Figli di Ilúvatar. Dei Figli e delle loro caratteristiche, nonché delle vicende dei Valar e di Melkor, si parla più diffusamente nelle altre sezioni de Il Silmarillion; con la creazione di Arda si chiude dunque l’Ainulindalë, ossia la straordinaria cosmogonia del mondo di Tolkien.

J.R.R. Tolkien (fonte: ilmanifesto)

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