Di Washoe
Gigante è il colossal diretto da George Stevens; gigante è il Texas, stato sconfinato del sud ovest degli Stati Uniti. Gigante è il ranch dei Benedict, Reata, gigante è la figura erculea di Rock Hudson, gigante è l’aura da star dell’indimenticata Elizabeth Taylor. Ma andando oltre a tutto ciò, a rendere davvero un gigante il film Il gigante (ci scusino il gioco di parole) è il carisma fuori dal normale di James Dean, che a distanza di sessant’anni ancora monopolizza lo schermo con il suo magnetismo di bello, giovane e dannato.
Bick e Leslie
Bick Benedict (Rock Hudson) è un ricco possidente, proprietario di un enorme ranch nelle aride pianure del Texas. Giunto nel Maryland per acquistare un cavallo, Bick si invaghisce della figlia del proprietario dell’animale, la bella e insolente Leslie (Liz Taylor); è un colpo di fulmine: l’amore è corrisposto e i due convolano presto a nozze. Rientrati in Texas, la coppia di novelli sposi si installa nella grandissima casa padronale di famiglia; qui Leslie si trova ad affrontare non solo i pregiudizi razziali e sessisti radicati nel profondo sud, ma anche l’ostilità della rocciosa cognata, la zitella Luz, e a fatica cerca di incastrarsi in una routine consolidata, pare, dai secoli dei secoli.
Jett Rink
Leslie fa immediatamente colpo sui texani con la sua bellezza, in particolare sul bracciante Jett Rink (James Dean), un giovane sognatore che cova in segreto il desiderio di crearsi un ranch tutto suo. Il ragazzo non va particolarmente a genio a Bick, ma Luz lo adora: quando la donna muore in seguito ad una tragica caduta di cavallo, si scopre che ha lasciato nel testamento una parte dei suoi terreni proprio a Rink. Scavando nel suo nuovo podere Jett trova il petrolio, e diventa improvvisamente ricco: tutto sporco di greggio si precipita da Bick per rinfacciargli la scoperta, forse nella segreta speranza di portargli via Leslie, guadagnandosi però così l’odio perpetuo dell’uomo. Nel frattempo Leslie e Bick mettono su famiglia, e tra alti e bassi riescono a far funzionare il matrimonio; quando i figli crescono, tuttavia, non rispettando le aspettative dei genitori, la coppia si trova a dover accettare i tempi che cambiano e a riconsiderare le proprie convinzioni.
Il motivo principale per cui oggi ancora si vede Il gigante
Diciamocelo chiaramente: il motivo principale, e forse l’unico, per cui oggi la visione de Il gigante ha ancora un qualche interesse è la presenza del mito eterno di James Dean, morto a ventiquattro anni poco prima che le riprese fossero concluse. Già dai titoli di testa infatti, oggi come allora, lo spettatore non può far altro che restare sulle spine fino al momento in cui la figura del giovane attore si staglia per la prima volta sullo schermo, con la sua silhouette inconfondibile. Da quel momento in avanti è indubbiamente lui a monopolizzare la scena, ed è incredibile che lo faccia persino quando al suo fianco c’è Elizabeth Taylor, che per fascino e carisma non è seconda a nessuno: rimane assolutamente negli occhi la sua performance fatta di scene indimenticabili, come la camminata sotto il sole dopo la notifica dell’eredità, o il discorso da ubriaco, o il momento della scoperta del petrolio, quando si lancia in una danza folle sotto la pioggia di oro nero.
Le affinità di Jett Rink con Cal Trask e Jim Stark
Sarebbe ingiusto però affermare che tutto il film si regga esclusivamente sulla presenza di Dean, perché sebbene la pellicola perda vigore dalla seconda metà in avanti essa ha dalla sua diversi pregi, a partire dalle vedute suggestive delle sconfinate distese del Texas fino ad arrivare al personaggio raggiante e moderno della bella Leslie. Tuttavia, Dean finisce per monopolizzare la scena, aiutato dal fatto che ancora una volta gli sia stata assegnata una parte che sembra cucita su misura: Jett Rink, un po’ come Cal Trask e Jim Stark, è un outsider nella società, un reietto, a cui la gente “perbene” guarda con disprezzo.
L’illusione del riscatto ne Il gigante
Al contrario dei protagonisti di La valle dell’Eden e di Gioventù bruciata, però, Rink sembra trovare nel giacimento di petrolio la via per il riscatto; riscatto che tuttavia si rivela ben presto essere illusorio, perché incapace di dargli l’unica cosa al mondo che desideri davvero: l’amore di Leslie. Jett prova persino a surrogarla con la figlia minore di lei, ma la povera ragazza non sarà mai abbastanza: le parole deliranti di Rink ubriaco, disteso sul tavolo dopo un grande ricevimento naufragato, ne sono la riprova. Non solo: oltre a non ottenere l’amore della sua vita, Rink non riuscirà neppure a conseguire l’approvazione di quell’elite texana che prova ad impressionare ostentando la sua ricchezza: per quanto ci provi non potrà mai scrollarsi di dosso l’etichetta di arrivista, di miserabile; un miserabile molto fortunato, certo, ma pur sempre un miserabile.
I temi del film
Il regista, George Stevens, ha voluto inserire ne Il gigante moltissimi temi, correndo il rischio di mettere troppa carne al fuoco; e così forse è stato. Ha voluto parlare del maschilismo di una parte della società americana, quella che non vuole permettere alle donne nemmeno la partecipazione alle discussioni politiche. Ha voluto parlare delle convenzioni sociali, troppo rigide e difficili da rimodellare per chi è nuovo in un ambiente non suo. Ha voluto parlare di arrivismo, o del fatto che i nordamericani, sedicenti portatori di democrazia e giustizia nel mondo, abbiano molto spesso approfittato della povertà delle popolazioni confinanti per rubar loro la terra. Ha voluto parlare del progresso, che trasforma il mondo e divora chi non si adatta, ma soprattutto ha voluto parlare di razzismo, specie quello contro i messicani: piaga non ancora sanata negli Stati Uniti di oggi.
Il razzismo
Non appena giunta in Texas, infatti, Leslie si rende conto delle discriminazioni patite dai messicani: le è sufficiente osservare la maniera in cui li tratta il marito, che grida ordini e pretende che la moglie si allontani da loro. La donna, di vedute decisamente più ampie, non ci sta, e la sua gentilezza e la sua affabilità nei confronti dei latinos le attira le antipatie di molti. Eppure non è difficile dar ragione a Leslie quando prova ad evidenziare i problemi: i messicani vivono in un villaggio separato da quello dei bianchi, fatto di case in lamiera, sporco, senza servizi di alcun genere, in condizioni sanitarie tremende. Vengono insomma trattati come persone di serie B, alla stregua quasi di animali: l’unico caso in cui gli si concede lo status di esseri umani è in tempo di guerra, quando agli americani fa comodo che siano loro ad andare a morire al posto dei loro figli. Per Bick è allora uno smacco enorme vedere il figlio Jordan (Dennis Hopper) sposarsi con una ragazza messicana, una wetback come li chiamano loro: è una scelta difficile da accettare, e in prima battuta la tollera solamente per amore del figlio. Con il passare del tempo, però, non può restare indifferente di fronte alle discriminazioni subite dalla nuora e dal nipote, figlio di lei e di Jordan: all’improvviso scopre cosa significhi trovarsi dall’altra parte della barricata, e l’indignazione lo porta persino a fare a cazzotti con un ristoratore che rifiutava di dare da mangiare a una famiglia di messicani.
Il dolce finale de Il gigante
Forse nemmeno alla fine della narrazione è avvenuta in realtà in lui una conversione completa, ma George Stevens vuole lanciare un messaggio di speranza: il film termina con una tenera inquadratura dei due nipoti di Bick e Leslie, uno bianco e l’altro messicano; un’immagine suggestiva che lascia intravedere l’alba di un nuovo giorno, un giorno in cui bambini appartenenti ed etnie diverse potranno stare uno accanto all’altro senza che nessuno vi trovi qualcosa di strano, un giorno in cui anche in America il colore della pelle non sarà più un motivo di discriminazione. Un ottimo modo, questo, di concludere il monumentale Il gigante: un film fatto di paesaggi sconfinati, di grandissime case padronali, di ricchi petrolieri, di un cast davvero stellare, ma che si chiude con semplicità, con tutta la tenerezza nascosta nello sguardo innocente di due bambini.
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