Il Gattopardo – Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Il Gattopardo

DI WASHOE

La facoltà di fare poesia scrivendo righe di prosa è merce rara in letteratura, forse oggi più di un tempo. Ma di poeti travestiti da romanzieri ce ne sono stati alcuni nella storia, che ci hanno tramandato gioielli preziosi da custodire con cura; uno dei casi più celebri nel mondo è italiano, siciliano per la precisione: Giuseppe Tomasi, Principe di Lampedusa. La sua opera maestra? Non c’è alcun dubbio: Il Gattopardo.

Il Principe Fabrizio

La vicenda narrata è quella dei Principi di Salina e del capofamiglia Fabrizio, il quale ha la malasorte di tenere in mano le redini dell’antico casato nei tumultuosi anni delle Camicie Rosse e del Risorgimento, in una Sicilia che odora di vecchio e di stantio. Il nome del romanzo deriva dallo stemma di famiglia, che raffigura appunto un Gattopardo, animale simbolo delle doti antiche di quegli uomini grandi e aristocratici che ha il compito di rappresentare: forti, eleganti, austeri, predatori. Il Principe Fabrizio, arroccato nella superiorità ereditata dalla lunga tradizione di dominio dei suoi antenati, è innamorato della matematica ma soprattutto delle stelle e dell’astronomia, materia, questa, a cui dedica lunghe ore della sua vita e che diventa spesso un pretesto per tenersi fuori dalla società e dalla Storia.

Burt Lancaster Il Gattopardo
Il Principe Fabrizio (interpretato da Burt Lancaster) nel film del 1963 di Luchino Visconti

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”

Tra una sessione astronomica e l’altra, però, la Storia continua a scorrere, e il Principe Fabrizio non può continuare all’infinito a disinteressarsi delle vicende del suo tempo; come tutta l’aristocrazia del Regno delle Due Sicilie non può fare a meno di preoccuparsi per il futuro proprio e per quello della sua classe sociale, che traballa pericolosamente sotto le cannonate garibaldine. Si accorge presto però, grazie anche alle celebri parole dell’amato nipote Tancredi («Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»), di come l’esaltante esperienza di Garibaldi e del Risorgimento non sia altro che fumo, una rappresentazione teatrale sicuramente spettacolare ma che quando sarà conclusa lascerà il teatro in cui ha avuto luogo esattamente come l’aveva trovato.

La decadenza della nobiltà ne Il Gattopardo

Forte di questa nuova consapevolezza, Salina si siede ai margini del flusso degli eventi, intenzionato ad assistere agli sviluppi dell’esperienza dei Mille per vedere confermate le proprie supposizioni. Ed in effetti la Storia sembra non toccarlo minimamente, poiché non modifica nulla all’interno della sua vita di nobile altolocato: i balli, le villeggiature, le battute di caccia, tutto rimane come è sempre stato. All’improvviso però, vedendo il parvenu Calogero Sedara arrivare in frac ad un suo ricevimento, don Fabrizio si rende conto di ciò che in realtà sapeva da tempo: la nobiltà sta perdendo il proprio prestigio, e sarà preso soppiantata da una borghesia che non vede l’ora di prenderne il posto. Si tratta tuttavia di un processo in atto da tempo e non, come credono alcuni nel suo ambiente, figlio del Risorgimento; ben consapevole di questo, il Principe Fabrizio comprende l’ineluttabilità del destino di un’aristocrazia ormai condannata a morte, e con grande dignità si limita ad attendere l’ora fatale, senza lasciarsi andare a ridicoli tentativi di restaurazione.

«Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»

La Sicilia, terra immobile e bruciata dal Sole

Il paesaggio in cui ha luogo la narrazione è di certo il posto più adatto per un’attesa passiva, perché la Sicilia bruciata dal Sole e asciugata dalla polvere sembra essere ferma in una bolla in cui il tempo non scorre ma si arrotola su se stesso, in una spirale senza fine che non porta da nessuna parte. E quella terra, ancora «nell’identico stato di intrico aromatico nel quale la avevano trovata Fenici, Dori e Ioni», non poteva che essere abitata da genti restie al cambiamento, aggrappate ad un passato fatto di miti troppo recenti e di un’antica gloria che non è mai esistita. A loro Salina guarda non con disprezzo ma quasi con paterna compassione, come una divinità che osserva dall’alto le sue creature inciampare sempre nei medesimi errori, senza fare nulla per aiutarli ma limitandosi a constatare quelle debolezze che sono in fondo la loro caratteristica peculiare.

Palermo
Palermo, la città dove si svolge parte della narrazione

Il tema della morte ne Il Gattopardo

Tra le pagine de Il Gattopardo si nasconde però un tema che accompagna tutta la narrazione come una presenza scomoda: è la morte, su cui il pensiero del Principe Fabrizio ama soffermarsi forse perché in qualche modo associata al cielo e alle stelle. Nel capitolo che narra la dipartita del protagonista si trova una delle immagini più belle e suggestive mai trovate per descriverla: uno stagno che lentamente evapora andando a comporre le grandi nuvole del cielo: l’acqua, simbolo di vita, abbandona sì una pozza che lentamente si prosciuga, ma così facendo sfugge alla gravità che la teneva a terra prigioniera, libera di percorrere i grandi spazi del cielo, di elevarsi, di abbassarsi, di mutare forma quando e come ne sente il bisogno. È un ribaltamento della visione comune della morte, che non è più quell’attimo in cui il respiro si ferma e il cuore trova finalmente pace, ma è un percorso che procede di pari passo con la vita, che inizia nella culla e nell’ora ultima semplicemente si completa. La morte e la vita sono profondamente interconnesse, e da occasione di tristezza il decesso diventa parte naturale dell’esistenza, il suo punto esclamativo, l’ultima meravigliosa riga del libro.

Il capitolo finale e il volo di Bendicò

Leggermente discostato dal resto del romanzo (per via dell’assenza del Principe Fabrizio, morto anni prima), è il capitolo finale de Il Gattopardo, che è però il compimento delle le profezie pronunciate nelle pagine precedenti. Le tre figlie di don Fabrizio rimaste zitelle rappresentano la sterilità, ormai palese, dell’aristocrazia siciliana, che all’inizio del Novecento ha perso il potere ed il fascino che l’avevano contraddistinta nei secoli. Le numerosissime reliquie certificate come dei falsi sono simbolo di una nobiltà sbugiardata da una società che non crede più alle vecchie favole medievali; il mondo è cambiato, e l’aristocrazia sognante e trasognata non vi trova più posto. Un ultimo lampo dell’antico splendore viene dalla carcassa impagliata di Bendicò, il vecchio cane del Principe, che per un secondo, volando giù da una finestra, assume la posa del Gattopardo dello stemma nobiliare; si tratta però solamente di un riflesso del passato, il manifestarsi di un ricordo che in realtà i servi stanno gettando nella spazzatura.

Ballo Il Gattopardo
Il Principe, suo nipote Tancredi (Alain Delon) e la moglie del giovane, Angelica (Claudia Cardinale) nel film di Visconti

Il Gattopardo, un romanzo impossibile da catalogare

Per quanto riguarda il genere in cui rientra Il Gattopardo, le molte idee diverse espresse dalla critica negli anni dimostrano che tentare di ingabbiare il romanzo di Tomasi di Lampedusa in un filone solo sia non solamente difficile, ma anche inappropriato. Certo, l’ambientazione precedente di quasi un secolo rispetto alla stesura del testo (avvenuta nel 1957) potrebbe far propendere verso il genere del romanzo storico, ma la mancanza di documentazione e il fatto che le vicende dei personaggi restino in qualche modo al margine delle dinamiche della Storia fanno forse decadere questa ipotesi; si tratta piuttosto delle memorie di una famiglia intera, quella dei Lampedusa trasfigurati nei Salina, e della descrizione psicologica dell’animo malinconico di un uomo perso in un mondo che non sente suo. 

«Appartengo a una generazione disgraziata, a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due.»

Un gioiello della letteratura italiana

La critica non è stata clemente negli anni con questo romanzo, forse a ragione, forse a torto; certo è però che ci si trova di fronte, quando si legge Il Gattopardo, ad un’opera assolutamente unica nel suo genere. Il linguaggio ricercato, le immagini scolpite col cesello, le descrizioni dei paesaggi, di una Sicilia dalla bellezza bruciante, di una società in decadenza ma che sorride ipocrita come se niente fosse si incidono nella memoria del lettore e lasciano la soddisfazione che solo una vera opera d’arte è capace di dare. Se la letteratura italiana possiede dei gioielli, dunque, uno dei più belli è senz’altro Il Gattopardo.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Giuseppe Tomasi di Lampedusa

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