Il fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello

Di Washoe

Quello delle maschere è un tema carissimo a Luigi Pirandello, tanto che chiunque di noi abbia studiato l’autore alle superiori non può evitare che la parola “maschera” riaffiori nella sua mente al solo sentire il nome dello scrittore siciliano, come fosse una conseguenza necessaria, un riflesso involontario, il clown a molla che salta fuori da una di quelle scatole a sorpresa. Perché si tratta di un accostamento su cui i professori insistono fino quasi alla nausea, e il rischio che venga a crearsi una relazione quasi meccanica tra la coppia Pirandello-maschera è più che concreto. Non si tratta tuttavia di un modo sano di accostarsi all’autore, perché una tematica così importante, anche a livello sociale e non solo puramente letterario, rischia di trasformarsi in una filastrocca ripetuta a memoria, e neppure molto originale. Come rimediare? C’è una sola via possibile: innamorarsi dell’opera del Premio Nobel di Agrigento, interiorizzarla, e comprenderne davvero le idee cardine.  E da quale opera cominciare, se non dal celeberrimo Il fu Mattia Pascal?

Mattia Pascal, il bibliotecario

La trama è iper-nota, ma un richiamo non fa mai male. Mattia Pascal, di famiglia benestante caduta in disgrazia a causa delle ruberie dell’amministratore Batta Malagna, è sposato con Romilda Pescatore e vive a Miragno, il Liguria, con lei e la suocera, sopravvivendo grazie ad una misera paga da bibliotecario. La moglie, che non lo ama, e la suocera, risentita con lui e con il mondo, gli rendono la vita insopportabile, e le cose non fanno che peggiorare dopo la morte della figlioletta primogenita e della sua amata madre. Sfruttando un piccolo gruzzoletto mandatogli dal fratello per le spese funebri, Mattia decide allora di allontanarsi da casa per qualche giorno nel tentativo di disintossicarsi dall’opprimente ambiente domestico e, per una serie di coincidenze, finisce a giocare al Casinò di Montecarlo.

Un’illustrazione di Mattia Pascal al Casinò (fonte: delvox)

La morte di Mattia

Lì, al tavolo della roulette, preso da un’ispirazione inspiegabile, comincia a vincere tutte le scommesse, e arriva ad accumulare una somma esorbitante di denaro (almeno rispetto a quelle a cui era abituato). Mentre torna a casa, tuttavia, il suo sguardo cade distrattamente su di una pagina di giornale, dov’è stampato il resoconto del ritrovamento a Miragno di un suicida. Incuriosito, continua a leggere, ma l’articolo porta in dote una sorpresa: con grande sgomento scopre… di essere morto! Il suicida, secondo il giornale, era proprio lui, Mattia Pascal! Ovviamente, a morire era stato un qualche povero disgraziato, e moglie e suocera si erano affrettate a riconoscerlo in quel cadavere senza nome, reso difficilmente identificabile da uno stato “di avanzata putrefazione”. Eppure, per lo stato civile in quel momento egli era effettivamente morto: in un frangente di eccitazione Mattia Pascal decide di non correggere l’errore e fuggire, dai creditori, dalla moglie, dalla suocera, per godersi la miracolosa vincita della roulette di Montecarlo.

La nascita di Adriano Meis

Comincia allora a costruirsi una nuova identità, partendo da un cambio di connotati (capelli più lunghi, barba rasata, occhiali, cappello a larghe tese), e assegnandosi un passato misterioso da rintracciarsi nelle Americhe; dà anche un nome al neonato personaggio, Adriano Meis, e forte della sua nuova personalità prende a viaggiare in giro per l’Europa. Ecco, la prima maschera che si può distinguere all’interno del romanzo è proprio questa, quella dei nuovi connotati di Mattia-Adriano, che simboleggiano in maniera visiva e concreta la creazione di un’immagine che, da quel momento in poi, la gente avrebbe dovuto collegare alla sua persona. La maschera-Adriano Meis non può però rimanere soltanto un fatto esteriore, e Mattia lo sa: il passo successivo è quello di farle corrispondere una personalità di cui si senta soddisfatto, diversa da quella del fu Pascal, ma che deve essere coerente con l’immagine di superficie affinché il complesso diventi credibile per le altre persone.

L’attore Daniele Pecci nel ruolo di Mattia Pascal a teatro, nel 2018 (fonte: teatro.it)

L’inconsistenza di Adriano

Tuttavia, non appena cerca di stabilirsi a Roma in casa Paleari, stanco del suo viaggiare perpetuo, la maschera rivela tutta la propria pochezza, il proprio carattere artificiale ed imperfetto. Mattia, ora Adriano, si accorge ben presto di trovarsi sempre a rischio di essere scoperto per quello che è, una maschera teatrale, e realizza che senza un riconoscimento legale il suo nuovo personaggio non potrà mai essere davvero una persona in carne ed ossa. Perché Adriano cerca sì di vivere la nuova vita che si è costruito, ma si deve continuamente trattenere: si innamora della padrona di casa, Adriana, ma non la può sposare; viene offeso, ma non si può vendicare; viene derubato e individua il colpevole, ma non lo può denunciare. Adriano Meis è un’ombra, senza diritti e per questo senza un posto nella società; dopo aver sbattuto il naso contro la sua nuova, inconsistente condizione, si rende conto di come il vero furto non l’abbia subito a Roma, ma a Miragno, ad opera della moglie e della suocera. 

Il furto dell’identità e il potere delle leggi

Quando l’hanno riconosciuto con troppa fretta (e non senza malafede) nel cadavere in putrefazione, Romilda e la vedova Pescatore l’hanno infatti spogliato della propria identità, per assegnarla senza pietà ad un pover uomo che non avrà mai una lapide con sopra il suo vero nome. Nel momento in cui aveva creduto di potersi creare una nuova individualità, Mattia era caduto nell’errore di credere che l’identità fosse un attributo intrinseco della persona; a Roma capisce invece che essa esiste ed ha un senso soltanto in relazione alle altre persone, ed alla società di cui si fa parte. L’identità è una maschera che ci viene assegnata da persone terze, e che da quel momento diventa un tutt’uno con la nostra persona; e siccome le leggi sono fatte da quegli stessi uomini che hanno bisogno di assegnare delle maschere per riconoscersi a vicenda, esse non si possono applicare nei riguardi di coloro che scelgono di spogliarsene per crearsene una ad’arte, o per rimanere nudi con la propria persona, unica, indipendente ma irriconoscibile.

La formazione delle maschere

Un uomo da solo non è in grado di decidere quale possa essere la propria maschera, per quanto provi a cambiare: Mattia trasforma le proprie apparenze, correggendo persino lo strabismo dell’occhio sinistro, e si assegna un passato, inventandolo di sana pianta; ma non basta. Alla formazione delle maschere che ci caratterizzano concorre tutto un insieme di fattori impossibili da controllare, di cui noi siamo responsabili solo in parte, non potendo modificare le percezioni altrui e il pensiero dominante all’interno della società a cui apparteniamo. Mattia ci prova, ed è un fallimento: Adriano Meis è come un libro, un film, una serie tv che non riesce ad essere realistica perché dal sapore troppo artificiale. È costruito a tavolino e si vede, si percepisce, e non convince. Certo, ad uno sguardo superficiale l’identità di Adriano appare perfettamente normale; ma non appena si vuole approfondire la sua conoscenza la maschera va in frantumi, e resta soltanto l’ombra di un uomo che non si capisce bene chi, o cosa, sia.

Le maschere e la libertà umana

Senza le maschere potremmo dunque avere un’identità? Forse no; ma la lezione che si può trarre da Il fu Mattia Pascal è un’altra. Sebbene ci sentiamo a volte ingabbiati all’interno dell’immagine che ci è stata assegnata da chi ci sta attorno, la sua esistenza è una condizione necessaria alla vita sociale e ad una libertà che sia umana, nel senso profondo del termine. Perché sì, potremmo forse anche fare a meno delle maschere che indossiamo ogni giorno, e acquisteremmo così una libertà senza limiti né condizioni; ma si tratterebbe di una libertà animale, selvaggia, che ci costringerebbe a vivere al di fuori dei confini sociali, che la ucciderebbero. Tuttavia, non è questo ciò a cui aspira l’essere umano, che per un bisogno atavico (e persino biologico) anela invece al contatto con l’altro e alla libertà di vivere in maniera piena le proprie relazioni, senza preoccupazioni; cosa possibile soltanto in un mondo regolato dalla società e dalle sue leggi che, come già visto, hanno bisogno delle maschere per essere applicate. E quindi, purtroppo o per fortuna, si può affermare senza troppe remore che le maschere sono un elemento necessario all’uomo per il perseguimento della felicità.

Luigi Pirandello (fonte: raiplay)

Leggi altri articoli della categoria Letteratura o sulla Letteratura Italiana

Seguici sui nostri social:

Facebook: Aquile Solitarie

Instagram: Aquile Solitarie (@aquilesolitarieblog)

Twitter: Aquile Solitarie (@AquileSolitarie)