DI WASHOE
La dolcezza dei suoi occhi blu, grandi, immensi, l’eleganza di quella silhouette fine, all’apparenza fragile, da preservare in una teca di cristallo. Se Colazione da Tiffany (1961) è oggi un classico del cinema è senza dubbio merito della presenza luminosa della bella e talentuosa Audrey Hepburn.
La trama di Colazione da Tiffany
La grande attrice britannica interpreta Holly Golightly, una ragazza di campagna che abbandona i luoghi in cui è cresciuta per cercare il proprio posto nel mondo nella New York degli anni ’60. Per guadagnarsi da vivere Holly fa l’accompagnatrice di uomini facoltosi che, nella speranza di poterla portare a letto, le elargiscono mance generosissime; nel frattempo, però, la donna è alla ricerca di un matrimonio di interesse: un marito ricco che la mantenga e soddisfi tutti i suoi capricci. Le cose cambiano però quando incontra Paul Varjak (George Peppard), uno scrittore emergente che si fa mantenere da una donna sposata in cambio di relazioni sessuali; i due scoprono una connessione inaspettata, che li porta a mettere in discussione il proprio modo di essere e di stare al mondo.
La comicità, tra mimica e grottesco
Colazione da Tiffany è forse una delle prime commedie romantiche hollywoodiane, con il più classico dei lieto fine e il bacio sotto la pioggia. La comicità del film è quella tipica del mimo, a tratti sottile e a tratti grossolana ma sempre con un tocco di surreale, come nella scena del furtarello in negozio in cui Peppard e la Hepburn si esibiscono in una sorta di balletto, fluido, elegante, accompagnato da sguardi e sorrisetti sapientemente diretti. La comicità grossolana è invece condensata nel personaggio del signor Yunioshi, fotografo giapponese, una sorta di clown piuttosto imbarazzante. È grottesco il personaggio, come grottesco è il fatto che non sia stato interpretato da un attore asiatico bensì dal caucasico Mickey Rooney, (in)opportunamente truccato: una scelta in fase di casting infelice, di cui il regista si è detto pentito. Una caricatura dei giapponesi davvero difficile da digerire.
Il cinismo di Holly e Paul
Colazione da Tiffany, tuttavia, al contrario della maggior parte delle commedie romantiche moderne, non si limita ad essere un’accozzaglia di cliché buttati nel calderone a formare una sorta di assicurazione contro il flop al box-office, ma vuole offrire uno sguardo denso di ironia sulla realtà americana dell’epoca. L’accento posto dalla pellicola è senza dubbio sul cinismo, impersonato sfacciatamente dai protagonisti, due giovani che dopotutto vivono tramite lo stesso espediente: approfittano della propria avvenenza per trarre vantaggio da relazioni amorose interessate, senza curarsi troppo di intesserne di vere, di significative. Fino a quando non finiscono per specchiarsi l’uno nell’altra e vedere il proprio vero volto.
La felinità della protagonista
Ad attirare quasi tutta l’attenzione su di sé, e non solo per la bellezza irresistibile dell’attrice che la interpreta (e per il talento della stessa, che il fascino non oscura per nulla ma anzi rafforza), è Holly Golightly, adorabile nella sua ingenuità un po’ folle, forse reale, forse recitata. Una donna che ama definirsi uno spirito libero, che non vuole appartenere a nessuno e vuole decidere tutto da sé, persino il proprio nome di battesimo. Non è un caso che il suo fedele compagno sia un gatto come lei senza un vero nome, raccolto dalla strada non si sa bene perché; e lo spirito felino di Holly si palesa presto, nella scena in cui si arrampica nell’appartamento di Paul, fa capolino da dietro le tende, gioca con l’uomo avvicinandosi, allontanandosi, stuzzicandolo e infine facendo le fusa, ignara (ma non troppo) della nudità che il giovane nasconde sotto le lenzuola, con l’innocenza tipica dell’animale domestico incapace di pudore.
Oltre le maschere
E il parallelismo tra Miss Golightly e il gatto si ripropone ancora nella forma della maschera che la donna ruba nel negozio di cianfrusaglie, scelta non a caso ma piuttosto utilizzata per palesare quello che già si sospettava: il suo comportamento da gatta smarrita non è altro che un travestimento, l’ologramma dietro cui si nasconde la vera Holly. Dietro alla maschera felina c’è un’anima sola, impaurita, che non riesce a mettere ordine nella propria vita, a distinguere ciò che vorrebbe davvero da ciò che invece crede di desiderare. Il caos interiore viene simbolicamente rappresentato dalla stanza che lei stessa mette in disordine dopo essere venuta a sapere della morte del fratello, con piume, cocci, oggetti sparsi sul pavimento e lei coricata, inerme, incapace di reagire e di affrontare quello scompiglio che sente di non essere in grado di sistemare da sola. Lentamente affiora in lei la consapevolezza di ciò che sta cercando in realtà: non un marito milionario, né la stabilità economica, ma un uomo di cui potersi fidare, che riesca a calmare le sue paturnie; un uomo che sia in grado di sostituire le vetrine di Tiffany.
Tiffany
«Non voglio possedere niente finché non avrò trovato un posto che mi vada a genio. Non so ancora dove sarà, ma so com’è: è come Tiffany. […] Io vado pazza per Tiffany, specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie. […] Le paturnie sono orribili, è come un’improvvisa paura di non si sa che. […] In questi casi mi resta solo una cosa da fare, prendere un taxi e correre da Tiffany. È un posto che mi calma subito. Quel silenzio e quell’aria solenne… lì non può accaderti niente di brutto. Se io trovassi un posto in questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany, comprerei i mobili e darei al gatto un nome.»
L’atteggiamento stupito di Paul la prima volta che sente Holly parlare di Tiffany è dopotutto una reazione comprensibile, poiché i gioielli sono spesso associati alla superficialità, o peggio ancora all’ipocrisia borghese. Tuttavia, la donna dimostra di avere un modo differente di vedere le cose: non è attirata dal luccichio delle vetrine (come le gazze ladre), ma da quell’aria da cattedrale, ben sorvegliata, sicura, popolata di commessi cortesi e comprensivi. Non sono i preziosi ad attirarla, ma piuttosto il granito ed il marmo che conferiscono solidità alla gioielleria: solidità che Holly crede derivare dal denaro e che dunque pensa di poter trovare nel possidente brasiliano José da Silva Pereira. Il corso degli eventi la porterà tuttavia a capire di essersi sbagliata, poiché il suo Tiffany non è altri che Paul: per quanto provi a ripeterselo ad alta voce, José non sarà mai in grado di renderla felice.
La gabbia di Holly
Anche quando il ricco brasiliano manifesta la propria debolezza e dimostra dunque l’erroneità della tesi di Holly (denaro = sicurezza), la reazione di lei è quella di mettersi il rossetto e proseguire per la propria strada. A trionfare è la paura di veder crollare tutte le sue convinzioni, di scoprire che la ricchezza che aveva agognato per tutta una vita non sarebbe mai stata in grado di curare le sue paturnie come invece sapeva fare Paul. Solo sul finale, quando si ritrova sola al mondo, Holly si rende conto di non essere libera come credeva, ma di vivere in una gabbia forgiata dal timore, che soffoca brutalmente tutti i suoi sentimenti più profondi. Un feroce litigio con Paul le fa aprire gli occhi e la porta finalmente ad uscire dalla propria prigione, metaforicamente rappresentata da un taxi giallo; sotto una pioggia scrosciante che lava via il fango del passato si riunisce finalmente con l’uomo della sua vita, pronta ad iniziare il proprio viaggio nel mondo delle relazioni sincere.
Il gioiello di Colazione da Tiffany: Moon River
Si potrebbero dire mille altre cose sul film, sul suo impatto sul mondo della moda o sulla cultura di massa. Le ultime righe non possono però che essere dedicate al diamante nascosto in Colazione da Tiffany, la conclusione perfetta per questo articolo: Moon River, canzone del film premiata con l’Oscar; non c’è miglior ricamo di quello che ci regala la melodia delle sue note e la dolcissima voce dell’indimenticabile Audrey Hepburn. Lasciatevi incantare.
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